Le audizioni desecretate di Ingroia, Teresi e Scarpinato
I verbali delle audizioni condotte il 31 luglio 1992, desecretati ieri dal plenum del Csm, sono chiari: Paolo Borsellino nel luglio del 1992 stava indagando in segreto su una vicenda tutt'oggi ignota che riguardava i rapporti tra un politico importante e un mafioso. Lo stesso magistrato ne avrebbe parlato con i colleghi Antonio Ingroia, Vittorio Teresi e Roberto Scarpinato, ma sempre raccomandando i colleghi di tenere il massimo riservo perché l’allora procuratore capo Giammanco poteva venirne a conoscenza.
Nello specifico, come riportato dal ‘Fatto Quotidiano’, il 31 luglio Antonio Ingroia era stato sentito dal gruppo di lavoro del Csm e aveva raccontato che Borsellino, "in ragione al nostro rapporto di confidenza e di amicizia" gli aveva riferito "i fatti relativi a queste indagini, raccomandandomi però di non farne parola con nessuno, perché temeva che circolassero...e queste potessero arrivare anche al procuratore...e lui non gradiva che pervenissero alle orecchie del procuratore Giammanco". Scarpinato, sentito il 29 luglio 1992, aveva già parlato di questo: “Borsellino conduceva indagini su fatti di grande rilevanza all’insaputa del procuratore Giammanco. Su queste indagini non posso dire niente per motivi di ufficio...sul fatto che Borsellino raccomandava il segreto nei confronti del procuratore Giammanco potrà essere sentito il dott. Ingroia”. Invece altri magistrati avevano detto che Borsellino aveva sempre riferito sempre tutto al suo capo.
Ingroia aveva detto anche che “non tutte le emergenze di queste indagini lui (Borsellino n.d.r) le riferiva al procuratore”.
Cosa molto anomala secondo Scarpinato poiché, secondo quanto aveva dichiarato, Borsellino diceva sempre tutto a Giammanco: “Si tratta di fatti specifici, di un fatto specifico...questa cosa io la attendo (apprendo, Ndr) da Ingroia e poi me la conferma Borsellino.... Questa circostanza è nota soltanto a me, a Ingroia e forse a uno, al massimo ad altri due sostituti. Borsellino raccomandò la segretezza e questo fatto mi inquietò molto”.
Il 'Fatto' ha riportato che l'unico pm che al tempo aveva aggiunto qualche elemento in più era stato Vittorio Teresi nell’audizione del 31 luglio 1992: “A un certo punto Paolo mi comunicò una notizia molto riservata che aveva appreso da un organo di polizia, quello stesso che ieri mi ha fatto quella battuta e riguardava un politico, riguardava un grosso mafioso eccetera. Era una notizia ovviamente tutta da controllare, da verificare ma comunque era una delle tante ipotesi di lavoro. Paolo disse espressamente di non parlarne in giro perché temeva che finisse all’orecchio di Giammanco...qual è l’indagine non lo posso dire...questa non era affatto notizia confermata era semplicemente una pur fondata confidenza di un organismo di polizia, però era molto scottante, era molto delicata”. Quando i membri del Csm chiedono cosa aveva detto Borsellino, Teresi aveva risposto “di non parlarne in giro perché non finisse nelle orecchie di Giammanco, è stata l’unica volta che è capitata una cosa del genere”.
Va precisato che l’assegnatari del processo erano Teresi e Borsellino, mentre Ingroia non lo era. Scarpinato invece era assegnatario di un processo che, secondo Ingroia, "poteva essere collegato a queste indagini condotte diciamo ‘riservatamente’ dal dott. Borsellino”.
Prevista la stagione stragista del '93
Tra le carte ora desecretate c'è anche il verbale delle dichiarazioni di Scarpinato finito tra gli atti più "riservati". La particolare riservatezza assegnata al verbale si spiega con il racconto, fatto da Scarpinato, di una riunione improvvisata in Procura qualche ora dopo l'attentato. Alcuni magistrati manifestarono il convincimento (indicando dunque una pista da tenere in quel momento riservata) che ci sarebbero stati altri attacchi della mafia. E così poi era avvenuto: 14 maggio 1993 un'autobomba era esplosa in via Fauro a Roma subito dopo il passaggio dell'auto di Maurizio Costanzo. Due settimane dopo, il 27 maggio, a Firenze un'altra esplosione davanti all'Accademia dei Georgofili: cinque morti e 48 feriti. Il 27 luglio altre due bombe era esplose davanti alla basilica di San Giovanni Laterano a Roma e in via Palestro a Milano, quattro persone uccise. Il giorno dopo, il 28 luglio, altra esplosione davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro, a Roma. Dopo una mancata esplosione davanti allo stadio Olimpico a Roma, il 14 aprile 1994 era stato trovato esplosivo lunga una strada dove doveva passare il pentito Totuccio Contorno. Da dove veniva la previsione di questi altri attentati? Scarpinato aveva dato due indicazioni. La prima: Tommaso Buscetta aveva parlato di una mafia che cercava di fermare il contrattacco dello Stato a suon di bombe. Mentre la seconda parlava di un gruppo interno a Cosa Nostra che stava cercando di prendere il sopravvento sui corleonesi di Salvatore Riina. In ogni caso era subito apparso chiaro che le stragi avrebbero avuto varie repliche.
La strage di via D'Amelio "poteva essere evitata"
"Quando siamo corsi tutti sul luogo del delitto della strage e abbiamo visto quello che era accaduto e abbiamo concretizzato immediatamente con grande lucidità che quella strage, per le modalità in cui era stata eseguita, nel luogo in cui era stata eseguita, poteva essere evitata" aveva detto Scarpinato. "È stata una strage indiretta, noi l'abbiamo vissuta momento per momento. Dinanzi la bara di Giovanni Falcone, quando migliaia di persone andavano a Palazzo di giustizia e parlavamo tra di noi, Borsellino disse: 'Ciascuno di noi deve avere la consapevolezza che se resta il suo futuro è quello' e indicò la bara di Falcone". "Borsellino sapeva che doveva morire - aveva detto Scarpinato - E nella consapevolezza sapevamo che stavano preparando qualcosa di importante, i Carabinieri avevano segnalato che si stava organizzando un attentato, si aveva incertezza sull'obiettivo, sapevamo che era arrivato il tritolo, sapevamo che il prossimo della lista era Paolo Borsellino. Ecco perché è una strage in diretta. Sapevamo che Paolo aveva l'abitudine di frequentare la casa della madre a cui era molto legato”. Cosa gravissima in via D'Amelio "non c'era una zona di rimozione", e che "non c'era una garitta che consentisse di visualizzare i movimenti nella strada. Quella strage non era un fatto inevitabile".
Paolo Borsellino "è morto per il tritolo e per l'incapacità di questo Stato di proteggere i servitori dello Stato". "Lì è scattata dentro di me la mia indignazione morale perché mi sono venute in mente altre cose, altre stragi annunciate, altri fatti che potevano essere evitati. Mi è venuta in mente, ad esempio, il fatto del servizio di elicotteri che era stato abolito per sorvegliare le autostrade di Punta Raisi perché ogni volo costava 4 milioni e che Giovanni (Falcone ndr) era addolorato di questo fatto. Mi è venuto in mente che era stato abolito il servizio di bonifica".
Nei verbali desecretati viene fatto riferimento anche ad una telefonata intercettata a Catania in cui presumibilmente si stava parlando di Falcone.
Scarpinato ha detto che gli era venuta in mente quella telefonata il giorno prima della strage. "'Lo facciamo domani'. Giovanni Falcone doveva arrivare il giorno dopo e poi non partì quel giorno per un inconveniente, viene con la moglie. Era abitudine di Giovanni tornare con la moglie. 'Lo facciamo saltare al secondo casello, al secondo ponte'". “Può darsi che la strage sarebbe avvenuta lo stesso, – ha detto Scarpinato – ma non sono con la coscienza a posto io Stato, perché tutto quello che potevo fare non l’ho fatto”.
La tutela dopo l’uccisione di Borsellino non era cambiata: “Oggi a Palermo si può uccidere un magistrato con assoluta facilità”, aveva detto Scarpinato temendo per la sua vita e per quella dei suoi familiari: “La zona di rimozione dinanzi alla mia abitazione dove abito io e dove abita mia moglie Teresa Principato, che sta seguendo la pista tedesca, la pista che si immagina sia anche una delle cause dell’omicidio di Borsellino...è la zona di rimozione di 15 metri. Se qualcuno mette una macchina al sedicesimo metro con una carica di esplosivo...saltiamo tutti quanti”. Per far rimuovere un cassonetto della spazzatura è dovuto intervenire un collega con una telefonata in prefettura: “Mi hanno fatto una cortesia...Se bisogna fare una lotta per rimuovere un cassonetto, immaginate voi a che livelli di inefficienza siamo...”.
Gli attriti dentro la procura
In audizione davanti al Csm, Scarpinato aveva parlato anche delle divergenze di quegli anni con l’allora procuratore capo Pietro Giammanco, soprattutto su certe indagini come quella su Gladio: “La nostra posizione, la mia e quella di Falcone, era di acquisire tutti gli atti. Ci viene obiettato, noi non possiamo fare un’indagine su Gladio, se ne sta occupando Roma, certo...ma si tratta di verificare se per caso una cellula impazzita all’interno di una struttura che in ipotesi può essere legittima abbia operato in quegli anni terribili in Sicilia in collegamento con la mafia”. Alla fine si era deciso "...che Falcone sarebbe andato nella sede dei servizi segreti, a guardare gli atti e a verificare se per caso c’era qualcosa che ci poteva interessare. Soluzione che mi lasciò insoddisfatto in quanto disse il collega si decise di affiancarlo con il collega Pignatone, fatto che lui visse male perché lo visse come una specie di mancanza di fiducia...”.
Un clima di poca fiducia che dalle parole di Scarpinato permaneva anche dopo la morte di Falcone quando Borsellino stava seguendo le indagini “all’insaputa del Procuratore. Naturalmente non posso dir niente per motivi di ufficio". "Mi inquieto perché Borsellino è una persona che gode della mia assoluta stima e fiducia. Perché fosse stato qualsiasi altro magistrato avrei potuto pensare a qualche cosa di deteriore".
Fonte: ilfattoquotidiano.it
Foto © Shobha
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