"Se si arrivasse a chi la prese scopriremmo i veri assassini di Paolo"
"Uccidere Paolo Borsellino, senza far sparire l'agenda rossa non sarebbe servito a nulla. L'agenda rossa rappresenta la scatola nera della strage di via d'Amelio. Non c'è mai stato un processo, mai una fase dibattimentale. Io sono convinto che se si arrivasse a chi ha preso quell'agenda si arriverebbe ai veri assassini di Paolo. A quegli 'altri' di cui parlava Paolo ad Agnese quando disse che sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, ma che altri lo avrebbero permesso". Sono queste le parole di Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso il 19 luglio 1992 in via d'Amelio assieme agli agenti di scorta, intervenendo all'incontro organizzato dal sindacato di Polizia Siap di Palermo presso la Real Cantina Borbonica di Partinico per parlare proprio di "Memoria, oblio e ricerca di verità" con la presentazione di quattro libri.
Nel corso dell'intervento il fratello di Borsellino ha commentato la recente sentenza emessa dal tribunale di Caltanissetta nel processo sul depistaggio delle indagini di quell'eccidio contro tre poliziotti, conclusosi con un'assoluzione e la prescrizione del reato per altri due imputati.
"La ricerca della verità è un dovere. Purtroppo in questo Paese spesso la ricerca della verità e della giustizia è stata affidata ai familiari vittime di mafia. E spesso questa ricerca è ostacolata. Io ho 80 anni e speravo, nel corso della mia vita, di avere verità e giustizia. C'era stata una svolta con certi processi (Borsellino quater e Trattativa Stato-mafia in primo grado), e invece dopo quella svolta la strada è divenuta più impervia. Soprattutto nell'ultimo periodo con certe sentenze della magistratura che mi hanno fatto capire che la verità e la giustizia che cerco non riuscirò a vederle".
Proseguendo nel ragionamento Salvatore Borsellino ha ricordato le stesse parole del fratello: "Paolo prima di morire diceva: 'Quando mi uccideranno, sarà stata la mafia a farlo, ma saranno stati altri a volerlo'. Oggi forse c'è stata una parziale giustizia su quelli che hanno materialmente ucciso Paolo, anche se restano tanti punti oscuri, ma nessuna delle 'menti raffinatissime' che hanno voluto la sua morte è stata neppure indagata. Siamo stati noi del movimento delle Agende rosse a mettere insieme tutti gli spezzoni di pellicole girate in via d'Amelio il 19 luglio e ad identificare i movimenti delle persone presenti sul posto, a chi Arcangioli consegna la borsa dopo averla prelevata dalla macchina di Paolo. E quando abbiamo presentato il video, durante l'arringa del nostro avvocato nel processo, i magistrati non erano neanche presenti in aula".
Oggi, forse, per arrivare alla verità sulle stragi servirebbero dei pentiti di Stato che non ci saranno mai, perché a prendere quell'agenda sono stati pezzi dello Stato.
Borsellino ha comunque detto di voler "aspettare le motivazioni della sentenza" per capire il motivo per cui si è arrivati a questa decisione. "La condanna è stata di fatto annullata per prescrizione - ha proseguito - Una sconfitta perché ciò significa che c'è voluto troppo tempo per portare avanti il processo. Ma oggi ci sono riforme della giustizia che permettono cose anche peggiori. Oggi addirittura non si parla più di prescrizione, ma improcedibilità. Lo Stato rinuncia a rendere giustizia a chi è vittima del reato e anche a chi è accusato e non potrà più né essere dichiarato colpevole né innocente. E' la rinuncia dello Stato a essere uno Stato di diritto e la rinunzia dello Stato a dare giustizia ai propri cittadini. E questo è molto grave".
Borsellino ha anche detto di voler attendere di leggere le motivazioni della sentenza del processo trattativa Stato-mafia. "La chiamano presunta, ma quella fu una trattativa scellerata. Il reato non c'è nel codice, ma è questo quello che è successo. A seguito della sentenza d'appello hanno proclamato eroi i funzionari dello Stato che l'hanno portata avanti come Mori e quel Subranni di cui Paolo, negli ultimi giorni della sua vita, confida ad Agnese che era punciuto. Io vi assicuro che Agnese prima di morire non era fuori testa. Agnese riferisce queste cose solo nell'ultimo periodo della sua vita, quando non temeva più per i suoi figli. Prima aveva ricevuto minacce, anche dalle istituzioni, in stile mafioso. Gli dicevano che suo marito era stato ucciso, ma che ancora aveva dei figli da proteggere".
Parlando dei motivi che portarono all'accelerazione dell'attentato, consumato appena 57 giorni dopo la strage di Capaci, Borsellino si è concentrato in particolare su due punti.
"I motivi per cui si accelera la strage sono due. Non sicuramente per il dossier mafia-appalti, che non rappresenta altro che il primo depistaggio del Ros per allontanare l'attenzione dalla trattativa". Una posizione diametralmente opposta rispetto a quella espressa dall'avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli del giudice Borsellino, che tra dibattiti e arringhe sconclusionate nel processo contro i poliziotti ha attaccato apertamente magistrati come Scarpinato, accusato di aver archiviato il dossier mafia-appalti dopo la strage, e Di Matteo, ingiustamente accusato di aver avuto un ruolo nel depistaggio nonostante sulla sua persona non sia mai stata aperta neanche un'indagine.
Accuse da cui Borsellino, in maniera forte e determinata, ha preso pubblicamente le distanze dissociandosi ("Mi dissocio nella maniera più assoluta dalle affermazioni su Scarpinato. Queste sono parole dell'avvocato Trizzino e al massimo dei figli di Borsellino che rappresenta. Non certo le mie”) ed in passato chiedendo anche scusa a Di Matteo per gli attacchi che venivano effettuati dai suoi familiari ("Ti chiedo scusa se qualche mio familiare ti ha accusato di essere coinvolto nel depistaggio Scarantino. Sono sicuro che per quel depistaggio sono altri i magistrati che debbono essere portati a processo. Quindi ti chiedo scusa per le amarezze che ti hanno portato queste incaute affermazioni che sono state fatte da membri della mia famiglia").
Salvatore Borsellino, nel suo intervento, ha quindi affermato che "quando Paolo chiede di incontrare alla Caserma di Carini i vertici del Ros, non va per parlare di mafia appalti, ma per contestare quella trattativa che aveva scoperto e a cui si sarebbe opposto".
E poi ancora: "Lui rappresentava un ostacolo di fronte a quella scellerata trattativa. Poi rappresentava un pericolo per quella sua richiesta, fatta il 25 giugno a Casa Professa, di essere sentito come testimone dalla Procura di Caltanissetta per la strage di Capaci. Lui disse che era stato l'unico a vedere in vita i diari di Falcone. E non era ancora stato chiamato dalla Procura. Quella stessa procura che poi chiamò Bruno Contrada a collaborare con le indagini". Infine Borsellino ha anche sottolineato il cambio di strategia di Cosa nostra nel momento in cui non vengono più colpiti magistrati e le stragi vengono trasferite in "Continente". "Ci furono delle menti raffinatissime che hanno suggerito ai criminali che se si uccide un giudice ne può venire fuori un altro. Se si uccide Giovanni Falcone c'è Paolo Borsellino. Se si uccide Borsellino c'è Roberto Scarpinato, c'è Di Matteo, c'è Gratteri, c'è Tescaroli, c'è Lombardo ed altri giudici che ne possono prendere il posto. Ma se si distrugge il patrimonio artistico dello Stato questo non può essere recuperato". Ed è così che si arriva a quelle stragi di Firenze, Roma e Milano.
Da ultimo Salvatore Borsellino ha accusato la politica di voler "distruggere il patrimonio di leggi lasciato da Falcone e Borsellino per dare alla magistratura e alle forze dell'ordine le armi per combattere la criminalità organizzata". Ha ricordato lo smantellamento di norme come l'ergastolo ostativo o il 41 bis. Punti che erano nel papello di Riina. Oggi più che mai "mi sembra come se a trent'anni di distanza, per qualche motivo, vengano pagate quelle cambiali contratte trent'anni fa in quella scellerata trattativa che costata la vita a Paolo Borsellino".
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