In un capitolo l'impegno del pm Nino Di Matteo nelle parole del Presidente del Tribunale di Palermo
L'origine e l'evoluzione della Mafia, l'affermazione del suo potere, le sue cointeressenze economiche, l'espansione al Nord, la sua rete di relazioni internazionali, componendo un quadro coerente e persuasivo alla luce dei più recenti accertamenti giudiziari e di una serie di testimonianze inedite.
Sono questi solo alcuni degli argomenti che il Presidente del Tribunale di Palermo Antonio Balsamo ha voluto affrontare nella sua ultima pubblicazione, "Mafia, fare memoria per combatterla" edito da "Piccola biblioteca per un paese normale - Vita e pensiero".
Un libro in cui si attraversa la storia di un Paese, quello italiano, che è stato spesso condizionato dalla presenza di organizzazioni criminali che hanno depresso, e deprimono ancora oggi, lo sviluppo economico e civile di diverse regioni del Sud e che nel tempo ha trovato il modo di diffondersi in tutto il territorio nazionale.
Nella sua lunga analisi il giudice Balsamo non rinuncia di affrontare anche argomenti delicati come i segreti ed i misteri che ci sono dietro le stragi, con tanti quesiti che ancora oggi cercano una risposta. Misteri che si è trovato ad affrontare anche da giudice, come Presidente della Corte d'assise dei processi Borsellino quater e Capaci bis.
Così sono stati ripercorsi i dubbi che si annidano dietro l'omicidio di Piersanti Mattarella e delle stragi in cui rimasero uccisi Falcone e Borsellino, tra presenze di mandanti e concorrenti esterni che dimostrano come Cosa nostra non fosse sola e che mostra un'inquietante convergenza di interessi.
Una storia che è ancora da scrivere anche a causa di clamorosi depistaggi che sono stati condotti con clamorose azioni.
Il presidente del Tribunale di Palermo, Antonio Balsamo © Deb Photo
L'isolamento di Falcone
In alcuni passaggi del libro, pubblicato lo scorso maggio, ricordando l'eccidio di Capaci Balsamo ha ricordato come l'Attentatuni "ha segnato uno dei momenti più drammatici della strategia del terrorismo mafioso, ma anche un punto di svolta nella coscienza civile del Paese e nell’azione dello Stato contro la criminalità organizzata".
Dalla strage "Cosa nostra è stata percepita dall’intero Paese, e dalla comunità internazionale, come un fenomeno criminale di stampo eversivo capace di colpire al cuore lo Stato italiano, e non più come una componente strutturale della società siciliana, una subcultura meridionale, una situazione locale con cui diversi ambienti esterni potevano pensare di convivere in una posizione di malcelata indifferenza, interrotta da saltuarie spinte emozionali".
Quindi ha ricordato come "sulla responsabilità dei singoli, si sono ampiamente soffermate le sentenze emesse dall’autorità giudiziaria. Ma, nelle stesse sentenze, si evidenziano le zone d’ombra su cui resta fondamentale un ulteriore approfondimento. Attraverso le più recenti ricostruzioni giudiziarie, è venuto a formarsi un quadro, sia pure non ancora compiutamente delineato, che conferisce maggiore forza alla tesi secondo cui centri di potere esterni a Cosa nostra possono essersi trovati in una situazione di convergenza di interessi con l’organizzazione mafiosa, condividendone i progetti e incoraggiandone le azioni".
Secondo Balsamo "assumono un’indubbia rilevanza, sotto questo profilo, due aspetti: da un lato, l’attività ricognitiva e di ‘indagine’ di Cosa nostra volta a sondare la reazione di ambienti esterni rispetto al proposito di eliminare Giovanni Falcone; dall’altro lato, il cambiamento di programma comunicato da Salvatore Riina in data 4 marzo 1992, che pose fine alla ‘missione romana’ e diede avvio alla preparazione dell’attentatuni. L’idea che la strage di Capaci sia stata un fatto di mafia ‘pura’, immune da contaminazioni esterne e frutto di una decisione ‘autarchica’, si pone in insanabile contrasto con le dichiarazioni rese, nel corso della sua collaborazione con la giustizia, da un boss di primaria importanza che era stato capo del ‘mandamento’ di Caccamo, Antonino Giuffrè".
Il magistrato, Giovanni Falcone © Archivio Letizia Battaglia
Le "tastate di polso"
Proprio Giuffré, del resto "ha sottolineato che, prima di attuare la strategia stragista, erano stati effettuati da Cosa nostra dei ‘sondaggi’ con 'persone importanti' appartenenti al mondo economico e politico. Questi sondaggi si fondavano sulla ‘pericolosità’ di determinati soggetti non solo per l’organizzazione mafiosa, ma anche per i suoi legami esterni con ambienti imprenditoriali e politici interessati a convivere e a fare affari con essa". Secondo Balsamo "in un contesto nel quale forza della mafia derivava dai suoi rapporti, imperniati su interessi comuni, con ambienti dell’economia, della politica, delle professioni, della magistratura e dei servizi deviati, è chiaro che proprio da questo tipo di relazioni iniziava l’isolamento che portava all’uccisione di quei 'servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere".
Del resto sempre Giuffré aveva spiegato come Cosa nostra accolse la campagna di delegittimazione lanciata contro Giovanni Falcone "in tutti i settori" e "su tutti i livelli", nel campo imprenditoriale, politico e giudiziario, sottolineando il ruolo principale svolto da Cosa nostra nell’ambito di questa strategia.
"Quanto riferito da Antonino Giuffrè sulle ragioni dell’isolamento di Giovanni Falcone - scrive sempre Balsamo nel libro - corrisponde perfettamente ad alcune delle intuizioni più illuminanti e innovative del magistrato, che, invece di considerare Cosa nostra come una monade chiusa in sé stessa e confinata in una dimensione esclusivamente criminale, aveva puntato lo sguardo sullo sviluppo di un intero sistema di potere fondato sulle complicità mafiose. Giovanni Falcone aveva espresso con chiarezza la convinzione che Cosa nostra fosse coinvolta in tutti gli avvenimenti importanti della vita siciliana, e che alcuni gruppi politici si fossero alleati con Cosa nostra nel tentativo di condizionare il sistema democratico, eliminando personaggi che costituivano un ostacolo per gli interessi di entrambe le parti. Aveva chiarito che le logiche mafiose sono in realtà le logiche del potere, sempre funzionali a uno scopo. Aveva sottolineato la straordinaria contiguità economica, ideologica e morale tra mafia e non-mafia. All’ampiezza e alla profondità delle indagini del magistrato – estese alle sinergie degli esponenti mafiosi, in grado di intessere relazioni associative transcontinentali, con imprenditori, politici e amministratori – corrispondeva un attacco concentrico sferrato nei suoi confronti dai più diversi centri di potere criminale che avvertivano con chiarezza la minaccia che egli rappresentava per i loro interessi, presenti e futuri. Come ha esplicitato Antonino Giuffrè, Giovanni Falcone era «lottato da tutti», e alla strategia della delegittimazione e dell’isolamento aveva fatto seguito la sua uccisione ("è stato isolato e poi successivamente è stato ucciso"), senza che neppure la magistratura, cui egli apparteneva, avvertisse in modo compatto il dovere di difenderlo contro il fuoco concentrico proveniente da ambienti apparentemente molto differenti tra loro, ma uniti da una solida convergenza di interessi".
Strage di via d'Amelio © Imagoeconomica
Su via d'Amelio
Nel libro, ovviamente, si parla anche della strage di via d'Amelio e del depistaggio che vi fu sulle indagini, definito come il "più grave della storia". Balsamo ha ripercorso le inquietanti zone d'ombra che riguardano la sparizione dell'agenda rossa del giudice Borsellino o anche quelle "che coinvolgono pure la individuazione del soggetto che pressò il telecomando utilizzato per far deflagrare l’esplosivo collocato all’interno della Fiat 126 di provenienza furtiva precedentemente parcheggiata in via D’Amelio.
Le zone d’ombra rimaste si colorano di tinte decisamente fosche, alla luce di quanto riferito da uno degli autori del furto dell’autovettura, Gaspare Spatuzza, il quale nel corso della sua collaborazione con la giustizia ha parlato della presenza di un terzo estraneo a Cosa nostra al momento della consegna della Fiat 126, alla vigilia della strage, in un garage di via Villasevaglios, prima del caricamento con l’esplosivo".
Via via Balsamo mette in fila una serie di anomalie che si sono verificate come "la rapidità con la quale venne richiesta l’irrituale collaborazione del dott. Contrada, già nel giorno immediatamente successivo alla strage di via D’Amelio, che faceva seguito alla mancata audizione del dott. Borsellino nel periodo di 57 giorni intercorso tra la strage di Capaci e la sua uccisione, benché lo stesso magistrato avesse manifestato pubblicamente la propria intenzione di fornire il proprio contributo conoscitivo, nelle forme rituali, alle indagini in corso sull’assassinio di Giovanni Falcone, cui egli era legato da una fraterna amicizia. Venne così a realizzarsi il coinvolgimento diretto del SISDE, al di fuori di qualsivoglia logica e regola processuale, nelle prime indagini sulla strage di via D’Amelio, orientate verso la falsa pista che coinvolgeva un soggetto del tutto estraneo, Vincenzo Scarantino, indotto poi a rendere dichiarazioni gravemente calunniose nel quadro di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana, che ha condotto all’ingiusta condanna all’ergastolo di sette persone".
Il consigliere togato del Csm, Nino Di Matteo © Deb Photo
Elogio a Di Matteo
Nel libro si raccontano anche fatti più recenti. In un capitolo si parla, ad esempio, della condanna a morte subita da Di Matteo, raccontata in aula dal collaboratore di giustizia Vito Galatolo. Un intero passaggio in cui il giudice Balsamo, di fatto difende e mette in evidenza il lavoro svolto dal consigliere togato nel corso della propria storia.
"Nino Di Matteo è uno dei magistrati che hanno indossato la toga per la prima volta in una notte, quella del 24 maggio 1992, quando lui e gli altri giovani uditori giudiziari in tirocinio al Tribunale di Palermo (tra cui l’autore di questo libro), sono stati chiamati a fare il picchetto davanti ai corpi straziati di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, uccisi il giorno prima nella strage di Capaci - scrive Balsamo nella recente pubblicazione "Mafia. Fare memoria per combatterla" edito da "Piccola biblioteca per un paese normale - Vita e pensiero" - In quella notte, erano tanti i sentimenti che si agitavano nell’animo di quel gruppo di uditori: dolore, rabbia, ma anche voglia di riscatto per la propria terra, e orgoglio di far parte di una magistratura che aveva tra le proprie fila degli autentici eroi civili, capaci di dare la loro vita per lo Stato. Sono i sentimenti che hanno accompagnato in ogni giorno del suo percorso professionale Nino Di Matteo, che ha dedicato tutta la sua vita alla lotta alla mafia, prima alla Procura di Caltanissetta, poi a quella di Palermo, quindi alla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo. Un impegno coraggioso che è continuato anche quando è stato eletto al CSM nel periodo più difficile della storia dell’autogoverno della magistratura".
E poi ancora si legge: "Nel corso delle elezioni del Capo dello Stato, nel gennaio 2022, già dal terzo scrutinio si è evidenziato un notevole consenso per il nuovo incarico al Presidente Sergio Mattarella, che ha ricevuto il massimo numero di voti. Dal quarto scrutinio, svoltosi il 27 gennaio, è emersa spontaneamente la tendenza di numerosi parlamentari a esprimere il proprio sostegno per Nino Di Matteo, che è risultato al secondo posto tra i più votati. Nello scrutinio finale, tenutosi il 29 gennaio, all’elevatissimo consenso raggiunto dal Presidente Sergio Mattarella (rieletto con 759 preferenze), si sono accompagnati 37 voti per Nino Di Matteo: oltre l’80% dei componenti dell’assemblea elettrice ha visto rappresentato nel modo più alto il senso dello Stato da due persone che hanno sempre assegnato una priorità assoluta al contrasto alla mafia. È la riprova di quanto l’impegno contro la mafia - con i suoi valori, la sua storia e i suoi sentimenti più intensi - sia entrato a far parte della nostra identità nazionale".
Di fronte ai ripetuti attacchi e le delegittimazioni che si sono consumate in questi anni e che continuano ancora oggi, nei confronti di Nino Di Matteo, incuranti della sua storia personale e delle inchieste condotte proprio sui sistemi criminali ed alla ricerca di quei mandanti esterni rimasti fino ad oggi a volto coperto, basterebbe leggere queste poche pagine di stima per affermare, con certezza, che Nino Di Matteo non ha nulla a che fare con depistaggi e disegni criminali.
In foto di copertina: elaborazione grafica by Paolo Bassani
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