Le parole dei consiglieri togati al Csm Di Matteo e Ardita su 'L'Espresso'
La riforma della giustizia a firma Cartabia è "una rivalsa nei confronti della magistratura di una certa politica. Si vogliono regolare i conti con quella parte della magistratura che in passato ha saputo alzare il tiro e occuparsi di indagini e processi nei confronti della criminalità dei potenti". È “dannosa per tanti altri aspetti che riguardano l’ordinamento giudiziario: renderanno sia i giudici che i pm meno liberi, meno indipendenti, più burocrati e più attenti alle statistiche, a non dispiacere nessuno per fare carriera: i propri dirigenti, gli avvocati. Questa riforma prevede anche che i progetti organizzativi delle procure della Repubblica, cioè il programma di lavoro di ogni procura della Repubblica su base triennale, debbano essere trasmessi non solo al Csm ma anche al ministro, che potrà fare delle osservazioni in merito. Un chiaro sintomo della volontà della politica di controllare l’attività delle procure". Sono state queste le parole del consigliere togato al Csm Nino Di Matteo su l'edizione odierna de 'L'Espresso', in un articolo a firma di Simone Alliva. La riforma è andata in porto con la recitazione del solito mantra: 'ce lo chiede l'Europa'. In soldoni alcuni esponenti istituzionali ne hanno motivato l'approvazione con il pretesto di ottenere i soldi del Pnrr. Una motivazione che non ha mai convinto Di Matteo: "Questa litania del Pnrr e dell’Europa è un alibi. L’Europa non ci chiede che la politica controlli il pubblico ministero, non ci chiede pubblici ministeri con carriere diverse dai giudici, non ci chiede pubblici ministeri che debbano essere valutati anche dagli avvocati. Ci chiede di andare nella direzione di una più tempestiva definizione dei processi. Su questo non si fa nulla. Con questa riforma gli organici dei magistrati e del personale amministrativo rimangono sguarniti, si creano condizioni perché i processi col meccanismo delle improcedibilità vadano improvvisamente in fumo vanificando gli sforzi anche di anni di investigatori, magistrati, avvocati e il diritto di tutti i cittadini a una verità processuale".
Anche il consigliere togato Sebastiano Ardita ha evidenziato delle criticità: la riforma "non solo non risolve i problemi della giustizia ma li aggrava", "consolida un assetto di potere che vede aumentare la soggezione dei magistrati rispetto alle loro gerarchie ed anche rispetto alla politica".
I consigliere del Csm, Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo
Politica - si legge su 'L'Espresso' - che "finge di attaccare il sistema delle correnti e brandisce lo scandalo Palamara come argomento per colpire tutti i magistrati, ma non certo per colpire l’élite, uniche responsabili degli scandali e del malgoverno interno. In realtà il potere non ha nessun interesse a che le correnti scompaiano, perché il sistema delle correnti garantisce un modello verticistico di governo della magistratura, che rappresenta un vertice con cui si può 'dialogare' e che indirettamente limita l’autonomia e l’indipendenza della magistratura".
In sostanza, secondo il consigliere togato, si tratta di una riforma ambigua e dannosa, che "rafforza il sistema di potere per continuare a dialogare con i vertici della magistratura da una posizione di forza. Il sorteggio e la rinuncia alla gerarchia interna rappresenterebbero invece un modello orizzontale - che poi era quello voluto dalla Costituzione - nel quale l’indipendenza e l’autonomia del singolo magistrato sarebbe massima, specialmente se garantita da un organo di autogoverno formato senza la mediazione dei gruppi di potere interno. Ma questa rimane una utopia, perché la politica e tutti i poteri forti hanno paura di una magistratura orizzontale, realmente autonoma ed incontrollabile".
Infine anche il presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Giuseppe Santalucia, ha dato un giudizio netto: "Ci sono alcuni aspetti rilevanti che sono deludenti. Siamo consapevoli che una riforma non può, da
sola, arginare il correntismo, ma può creare un percorso interno anche alla magistratura per superare quei guasti. In questo senso non è adeguata: invece di stemperare il carrierismo tende ad accentuarlo, la carriera doveva essere in qualche modo ai margini e invece diventa centrale nella vita professionale dei magistrati. E ancora le pagelle che incentivano la spinta alla competizione e quindi al carrierismo. La legge elettorale modifica poco, il correntismo è stato figlio anche delle speranze di carriera. Non c’è dubbio che questa riforma limiti l’autonomia della magistratura. Ci sono segnali non tranquillizzanti: per esempio il potere del ministro di esprimere pareri consultivi sull’organizzazione degli uffici di procura. In un momento in cui la legge introduce criteri di priorità, anche dettati dal legislatore, inquieta questo segnale che dà la legge di riservare al ministro un potere di consultazione nella procedura di approvazione dei programmi organizzativi. Un passo forse non felicissimo che rischia di portare gli uffici di procura sotto l’area di vigilanza del potere politico". Ma allora come si fa? "Questa è anche una legge di delega, bisognerà scrivere i decreti delegati. Chiederemo in quella sede al governo quell’attenzione che non ci ha riservato e che non ha riservato a questi profili critici nella fase della delega. Questo è quello che possiamo fare per ora. Poi si vedrà. Insistiamo nella speranza che ci ascolti".
Fonte: espresso.repubblica.it
Foto © Imagoeconomica
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