Sentiti Angelo Fontana e Santo Di Matteo. Il pentito nega la versione su quanto disse circa i poliziotti infiltrati in via d’Amelio
“Se Scotto aveva rapporti con soggetti esterni a Cosa nostra? In Cosa Nostra c’era questa voce, più volte… posso raccontare episodi”. A dirlo è il collaboratore di giustizia Angelo Fontana, sentito stamani nell'ambito del processo sul duplice omicidio Agostino-Castelluccio che vede imputati il boss Gaetano Scotto, accusato di duplice omicidio aggravato in concorso e Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento. Fontana, ex mafioso del mandamento di Resuttana, di cui faceva parte anche il boss, l’imputato presente in video-collegamento, è stato chiamato a deporre sui rapporti fra esponenti del mandamento ed esponenti di apparati di polizia e di sicurezza oltre che sui rapporti fra Gaetano Scotto e Nino Madonia, il capo mandamento di Resuttana condannato in primo grado, con rito abbreviato per l’omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie. In aula sono stati acquisiti tutti i verbali di Fontana, inclusi quelli di Giovanna Galatolo, cugina di Fontana (il padre è Vincenzo Galatolo, zio di Fontana ed ex capo famiglia dell’Acquasanta), anche lei collaboratrice di giustizia e anche lei chiamata a deporre questa mattina dinnanzi alla Corte d'Assise di Palermo, presieduta da Sergio Gulotta, ma assente per “malattia cronica”. L’avvocato Fabio Repici, però ha comunque voluto porre alcune domande di chiarimento al teste circa, appunto, i presunti rapporti di Scotto con soggetti esterni alla mafia. Fontana ha risposto che “un accenno” glielo fece “Antonino Pipitone”, “ma non me lo disse chiaro”. “Frequentavamo il ristorante Villa Igea quindi tantissime volte vedevamo Gaetano Scotto che saliva verso il monte Pellegrino. Un giorno - ha raccontato in aula - mi girai verso Nino Pipitone, ed essendo che lassù si appartavano le coppiette, chiesi che ‘va a fare da solo la?’ ‘Il guardone?’ E Pipitone mi disse: ‘no, ci sono amici, ci sono persone che va a vedere’”. “Però non si è mantenuta la conversazione più di tanto”, ha rammentato. Con quelle parole, ha spiegato il collaboratore di giustizia, “forse potevo capire persone di Cosa nostra… però poi dentro Cosa nostra girava voce, dentro le famiglie, che lui aveva contatti con persone dei servizi deviati”. “Dentro Cosa Nostra lei come fa a dire che correva questa voce lei l'ha sentita da qualcuno?”, gli ha chiesto l’avvocato Repici. “Sì, se ne parlava con Giuseppe Galatolo, se ne parlava con Antonino Pipitone”. Durante l’esame, Repici, sempre a proposito del Monte pellegrino, ha chiesto al teste se avesse mai frequentato il ristorante Aloha D’Oro, lo stesso ristorante che Bruno Contrada, ex capo della Mobile di Palermo ed ex numero tre del Sisde, sempre a processo e sempre su domanda di Repici, aveva ammesso di aver frequentato, almeno una volta, precisamente il 24 agosto 1989, in compagnia dell’avvocato Seminara, come appuntato dall’ex 007 nella sua agenda.
“Ho frequentato il ristorante Aloha D’Oro”, ha risposto Angelo Fontana in aula. “Il titolare si conosceva come ‘Pasqualetto’ e si metteva a disposizione per il ristorante che si trovava al monte San Pellegrino”, ha aggiunto. Lì “si mangiava e si facevano riunioni attinenti a Cosa Nostra, si stava là giornate intere”, ha detto ancora. Alla domanda su chi partecipava a queste lunghe mangiate e riunioni Fontana ha fatto i nomi di “Nino Madonia, mio zio Vincenzo Galatolo, Antonino Pipitone”. Inoltre, è stato fatto presente in aula dal collaboratore di giustizia, che “dalla strada che percorreva Scotto al San Pellegrino si poteva arrivare a Castello Utveggio”, ovvero la sede del Centro Ricerche e Studi Direzionali che si pensava in passato essere stata anche luogo anticamera dei servizi segreti.
Santo Di Matteo e quell’intercettazione con la moglie su via d’Amelio
In aula è stato sentito, ma in presenza e con l’utilizzo di un paravento per ragioni di sicurezza, anche il collaboratore di giustizia Mario Santo Di Matteo, ex boss di San Giuseppe Jato, nonché padre del piccolo Giuseppe, il bambino sequestrato, torturato, ucciso e dissolto nell’acido l’11 gennaio 1996 da Giovanni Brusca e i suoi uomini. Il piccolo Giuseppe, che aveva solo 12 anni, venne rapito come ricatto per far desistere il padre dal parlare con i magistrati. In quel periodo drammatico, seguito al rapimento di Giuseppe, avvenuto il 23 novembre 1993 in un maneggio di Piana degli Albanesi, Francesca Castellese, madre del bambino e Santo Di Matteo, che nel frattempo era stato inserito nel programma di protezione dopo aver iniziato a collaborare, avevano avuto alcuni colloqui tenuti in segreto. “Ho parlato una o due volte con la mamma di mio figlio”, ha detto in aula il teste rispondendo alle domande di Fabio Repici. Uno di questi colloqui, avvenuto il 14 dicembre 1993, venne intercettato dall’autorità giudiziaria e le conversazioni dei due genitori vennero ascoltate dagli investigatori della DIA. In quell’occasione Castellese, in sostanza, avrebbe intimato il compagno a non parlare mai ai pm dei poliziotti infiltrati nella mafia, riguardo alla strage Borsellino, ricordandogli che hanno un altro figlio. La vicenda, come le intercettazioni, sono note e il collaboratore di giustizia ha ribadito l’inesattezza delle parole riportate nelle intercettazioni dagli investigatori. “Non ho mai parlato di qualcuno della polizia infiltrato nella mafia nella strage di via d’Amelio”, ha detto. “Sono trent’anni che parliamo della stessa cosa. Secondo me c’è stato qualche equivoco perché delle volte succede che quando fanno queste intercettazioni basta scambiare una parola”. Di Matteo ha ribadito che “nella mia vita non ho mai conosciuto uomini dei servizi segreti, ne ho conosciuto uno che era falso che gli hanno dato pure di recente l’ergastolo che si chiama Paolo Bellini (l’ex estremista di Avanguardia Nazionale, condannato per la strage di Bologna, ndr)”. “Questo conosco, è da trent’anni che conosco e me lo diceva già Gioè (il boss di Altofonte Antonino, morto in cella in condizioni poco chiare, ndr), erano amici, erano stati in carcere assieme. Non conosco nessuno dei servizi segreti. E se conoscessi qualcuno di loro per quale motivo dovrei nascondermi?”, ha affermato per poi concludere sul punto: “Non ho nulla da aggiungere né da togliere rispetto a quanto già detto in questi trent’anni su questo invito che mi fece mia moglie”.
Il sospetto di Di Matteo della collaborazione di Gioè
Sempre parlando di Nino Gioé, di cui Santo Di Matteo afferma di essere “l’ultima persona con cui ha parlato prima del suicidio”, il teste ha riferito di un colloquio avuto con lui nel periodo in cui erano detenuti insieme a Rebibbia a seguito del quale ha avuto il sospetto che questi avesse iniziato a collaborare con la giustizia. “La mattina sono andati all’aria (ora d’aria, ndr) mi sono preso un giornale e c’erano delle finestre… Affacciato alla finestra c’era Antonino Gioè con una barba lunga e gli ho detto per scherzare: ‘Ma che ti stai preparando per il 19 marzo?’ Che da noi in Paese si festeggia San Giuseppe. ‘Com’è che stai così tutto abbandonato… che è successo?’ Mi dice ‘no niente’”, ha ricordato il teste. “Gli faccio: ‘ma mangi?’. ‘Sì come no’, mi risponde. ‘Ieri o l’altro ieri è venuto mio fratello e mi ha portato del pesce’. ‘Ah sì?’ E gli chiedo ancora ‘ma colloqui non ne fai con la famiglia?’ mi risponde ‘sì, sì mio fratello sta facendo un corso a Roma e viene tutti i giorni’. Io allora ho capito subito la situazione, non c’era bisogno che me lo spiegava. Gli ho detto ‘ma che stai a cumbinà?’ ‘tu mangi, e a noi ci passano il pane e l’acqua a stento, com’è che tu fai tutte queste cose?’”. “E allora ho capito - ha detto Di Matteo - che c’era qualcosa che non andava, cioè che stava collaborando, è chiaro. E appena gliel’ho detto ha chiuso la porta”. Dell’inizio di collaborazione con la giustizia - ancora non accertato - del boss ne sono convinti anche alcuni magistrati. Sarebbe questa infatti, si pensa, la ragione della sua misteriosa morte, un suicidio dagli aspetti poco chiari, su cui la Procura di Roma, diretta da Francesco Lo Voi, su input della Direzione nazionale antimafia avrebbe di recente riaperto un fascicolo.
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