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Nel servizio di Report il focus su quelle riforme che danneggiano la magistratura

La classe dirigente italiana ha sempre avuto un grave problema da risolvere: una Costituzione che garantisce indipendenza e autonomia alla magistratura. Il sistema, cercando di smarcarsi, ha messo in atto nel tempo due distinte manovre.
Il primo passo era stato la depenalizzazione selettiva dei reati della classe dirigente: abuso d'ufficio, traffico di influenza e così via. Successivamente la politica aveva abbassato le pene, ridotto i termini di prescrizione e allungando i termini dei processi, così da creare un triangolo delle Bermuda che sostanzialmente ogni anno continua a fagocitare migliaia di processi.


csm report

Il secondo, e forse più importante step che la classe dirigente ha attuato, è stato quello di tentare ripetutamente di sottoporre il pm al controllo politico.
Nel 2006 la politica aveva assestato un primo colpo all'indipendenza e all'autonomia della magistratura emanando la 'Riforma Mastella', proposta dal Guardasigilli Roberto Castelli in forza al Governo Berlusconi l'anno precedente e poi promulgata durante il Governo Prodi, che introduceva una gerarchizzazione estrema delle procure e rendeva il Procuratore della repubblica il capo esclusivo dell'azione penale e il padrone assoluto del distretto giudiziario.  Ma non solo: la riforma "attribuisce i poteri anche di revocare le assegnazioni già fatte (togliere un indagine n.d.r)" ha detto il consigliere togato al Csm Nino Di Matteo nella puntata di Report "Toghe Rotte" di Giorgio Mottola, andata in onda ieri su Rai3.


dimatteo nino csm report


"Quando la politica non riesce a controllare il potere diffuso dei singoli magistrati, dei 2000 pubblici ministeri italiani - ha detto - può essere indotta a tentare di controllare i procuratori capo. Controllare magari quelle 5 - 6 - 8 procure nevralgiche attraverso un sistema per il quale se controlli quegli uffici hai controllato la magistratura" ha concluso il consigliere.
Questo 'Sistema' richiamato dal magistrato Di Matteo esiste e gode di ottima salute: in questa sorta di 'dark web' si trovano magistrati, politici, alti esponenti delle istituzioni che, con il beneplacito di buona parte dell’informazione, si spartiscono nomine, incarichi, avanzamenti di carriera, anche a danno della richiesta di giustizia.
Il “Grande scandalo” del Csm legato al caso Palamara ne è la prova. E sono proprio le sue confessioni a scoperchiare i meccanismi di quel 'Sistema' le cui fondamenta sembrano sorrette da un accordo non detto, una sorta di mutua protezione: ‘Nessuna indagine, nessun reato’. Sullo sfondo di questo contesto la mancata nomina di Gratteri alla Direzione nazionale antimafia (Dna) non può che sollevare più di un dubbio.


cartabia marta report


"Temo che questa scelta potrà apparire come una bocciatura del dottor. Gratteri. E anche agli occhi del contesto criminale mafioso questa scelta avrà il significato di una pericolosa delegittimazione". Aveva detto il 4 maggio Nino Di Matteo ai microfoni di Report. "Il CSM - ha aggiunto - non doveva ripetere delle scelte infelici che nel passato hanno contraddistinto vicende relative Giovanni Falcone ad altri magistrati particolarmente esposti".
La 'tagliola' finale è arrivata con la ennesima riforma della giustizia. La firma è differente (Marta Cartabia) ma l'intento è la stesso: spezzare il principio della separazione dei poteri e rendere la magistratura servente al potere politico.


gratteri nicola report


Infatti ora ad indicare quali reati dovranno perseguire le procure sarà direttamente il Parlamento. Non solo: il procuratore della repubblica, tenendo conto delle indicazioni della politica dovrà redigere un progetto di lavoro che necessiterà dell'approvazione del Ministro della Giustizia. "È l'apertura di uno squarcio. Di un vulnus al principio sacro della separazione dei poteri - ha detto Di Matteo - questa riforma disegna un sistema che limita la autonomia non solo dei singoli magistrati ma anche della magistratura, soprattutto delle procure che costituiscono il cuore nevralgico dell'azione penale".
Una giustizia 'cucita su misura' per la maggioranza politica di turno, che non serve a "risolvere i problemi e i drammi della gente" ha detto Nicola Gratteri. "C'è una cosa che mi rattrista: e che proprio da un po' di anni stavamo riprendendo fiducia. C'è la fila per venire qui. Io incontro ogni settimana 40 - 50 persone vessate dalla 'Ndrangheta usurati e storti".


gratteri csm dna report


Un'altra novità della riforma Cartabia è l'introduzione della 'improcedibilità': una sorta di vincolo temporale per il quale un processo, se dura più di due anni in Appello e uno in Cassazione, viene automaticamente estinto. A rischio numerose sono i procedimenti per i morti sul lavoro, per incidenti stradali, per tragedie come il ponte Morandi o il Mottarone, per non parlare poi di quelli che sono considerati reati minori, vale a dire le truffe, le lesioni, le aggressioni e la violenza sessuale semplice.
Il 50 percento di questi processi "non si celebreranno. Lo hanno detto i procuratori Generali presso le corti di Appello" ha detto Gratteri. Così come tutti quei processi per inquinamento ambientale. "E i reati contro la pubblica amministrazione non vi scandalizzano? Corruzione, concussione peculato. Perché non sono gravi? E sono anche processi senza detenuti. Che non si celebreranno. Metà di questi non arriveranno in Appello", ha concluso il magistrato. Questa riforma, aveva spiegato Di Matteo, è diretta non ad “incidere sui grandi mali della giustizia ma a ridimensionare il ruolo del magistrato e renderlo servente nei confronti degli altri poteri dello Stato”. L’impianto normativo presentato nel testo risponde ad “una voglia di vendetta nei confronti di quella parte della magistratura che è stata capace di portare a processo la politica, la grande finanza, le grandi deviazioni dello Stato”.
Una magistratura, in soldoni, che non si è piegata a quell'accordo non detto.


robelto alfredo report


La strategia, purtroppo, sembra aver funzionato. Le statistiche e i numeri snocciolate da Report sono dati inoppugnabili. È evidente il drastico calo delle condanne definitive inflitte ai 'colletti bianchi' dopo il 2005: per il reato di concussione che riguarda chi fa pressioni per ottenere una mazzetta, le condanne definitive erano state 110, ma nel corso di un ventennio sono scese a 9, una diminuzione del 91 percento. Per il reato di corruzione le sentenze di condanna sono calate da 248 a 90, meno del 63 percento. Mentre invece per voto di scambio politico-mafioso in 16 anni ci sono stati solo 15 politici condannati in via definitiva.
"Sono sempre meno i magistrati disposti ad andare veramente a fondo quando si tratta di indagare sui reati dei colletti bianchi" ha sottolineato Di Matteo. I dati statistici disegnano una "giustizia a due velocità: efficiente e spietata con la criminalità dei poveracci, e timorosa, se non addirittura con le armi spuntate, nei confronti dei colletti bianchi".


palamara luca report


Un de profundis infine anche per la libertà di informazione: nell'ambito della legge sulla presunzione di innocenza è stata introdotta una sanzione più incisiva per quei magistrati che parlano con i giornalisti. Nello specifico i procuratori potranno solamente parlare con comunicati o nell'ambito di conferenze stampa. Inoltre la riforma Cartabia ha introdotto il diritto all'oblio anche per tutti quei soggetti che sono stati coinvolti in un caso concluso con l'archiviazione o per cui il procedimento è finito con un 'non luogo a procedere'.
La riforma entrerà a pieno regime il primo gennaio 2025. Vedremo cosa accadrà.

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