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La storia venuta alla luce in questa specifica vicenda giudiziaria non è derubricabile a caso isolato, ma è paradigmatica del ritorno in campo della borghesia mafiosa”. Si apre così l’intervista fatta dalla giornalista di Repubblica Alessia Candito all’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, con tema fresco di cronaca: l'arresto, con l'accusa di scambio elettorale politico-mafioso, di Pietro Polizzi (tra i candidati di Forza Italia al Consiglio comunale di Palermo nelle imminenti elezioni del 12 giugno). Un'indagine importante, quella condotta dalla Procura di Palermo, che ha svelato l'esistenza di un patto politico-elettorale tra il candidato di FI e uomini vicinissimi a Totò Riina.
Secondo l'accusa, infatti, Polizzi avrebbe siglato un accordo con i boss dell'Uditore, i costruttori Sansone, con l'obiettivo di essere eletto. Così a finire in manette sono anche Agostino Sansone ed un suo collaboratore, Manlio Porretto.
Sansone è fratello di Gaetano e Giuseppe, noti costruttori con la passione per la politica nonché gli imprenditori di riferimento di Riina nel campo dell’edilizia.
Ma non si sorprende Scarpinato, secondo cui - citando Hegel - “il demonio si nasconde nel dettaglio”. “Una diagnosi lineare per un magistrato che grazie alla sua trentennale esperienza in materia di antimafia, ha acquisito le chiavi di lettura per comprendere le due facce di cui si compone la realtà - continua Scarpinato -: quella che si manifesta sulla scena pubblica e quella che resta nell’ombra”.
Uomini simbolo della borghesia mafiosa - ha risposto il procuratore alla giornalista -. Importanti costruttori edili specializzati nella gestione degli appalti, legati a Riina che abitava nel loro medesimo complesso edilizio e imparentati con Matteo Messina Denaro”.
L’ex procuratore generale di Palermo, da grande magistrato qual’è, in questa vicenda intravede le precondizioni per “un ritorno al vecchio modo di fare politica e di gestire la spesa pubblica e ci sono personaggi che lo hanno fiutato”.
Se un tempo le ingenti somme di denaro destinate allo sviluppo del meridione venivano spartite da una parte “tra i potentati locali, incluso il sistema di potere mafioso”, e dall’altra parte per “finanziare enormi circuiti clientelari necessari per assicurarsi un voto di scambio fidelizzato che permettesse la perpetuazione del potere locale e nazionale”, oggi con il Pnrr il paradigma è cambiato.
Per il Sud il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede la “privatizzazione dei servizi pubblici locali: è li che si giocherà la vera partita”, sottolinea Scarpinato. Questo ha spinto i potentati locali ad assalire “la cabina di regia che gestirà i fondi e le privatizzazioni”. Basta osservare “la discesa in campo di protagonisti della storia politica della prima Repubblica - suggerisce il procuratore -: tra i quali specialisti della gestione del voto di scambio che portano in dote enormi catene clientelari già fidelizzate, e uomini simbolo della borghesia mafiosa già condannati per reati di mafia, la cui voce diventa determinante e risolutiva per sedare gli antagonismi dei gruppi locali e imporre la linea e i candidati”.
C’è un presidente della Regione Siciliana - ha concluso Scarpinato -, che in una terra nella quale il suo predecessore Piersanti Mattarella si è fatto uccidere per dire no al sistema di potere mafioso, ritiene oggi normale e compatibile con il suo ruolo di massimo vertice istituzionale dell’Isola, fare pubblicamente accordi elettorali con Marcello Dell’Utri”.

Foto © Paolo Bassani

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