Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Pubblicate le motivazioni di annullamento della condanna d'Appello

Era marzo quando la Corte di Cassazione ha annullato 10 condanne inflitte nel gennaio 2021 dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria. Una decisione eclatante, specie quella presa nei confronti di Giorgio De Stefano, l’avvocato che la Dda di Reggio Calabria ha indicato come una delle due teste pensanti della ‘ndrangheta reggina e che era stato condannato in appello a 15 anni e 4 mesi, la cui condanna è stata annullata senza rinvio in relazione a tutti i fatti avvenuti fino al 2005, ritenuti già “coperti” da precedenti pronunce giudiziarie. De Stefano, infatti, con un passato politico in riva allo Stretto, è stato già condannato definitivamente negli anni ’90 per concorso esterno in associazione mafiosa.
La Suprema Corte ha motivato la propria decisione sostenendo che "essendo il De Stefano stato già condannato con la sentenza 'Olimpia' per il reato di concorso esterno nell'associazione per delinquere denominata 'Ndrangheta sino al 1991 (e tale condanna implica necessariamente la sua estraneità alla associazione criminale in detto periodo) ed essendo egli stato anche giudicato nel processo 'Caso Reggio', per il contributo da lui offerto all'associazione 'Ndrangheta fino al 2005, la sentenza impugnata in questa sede deve, in relazione alla condotta contestata sino a tale anno compreso, essere annullata senza rinvio non potendo procedersi per ostacolo derivante da precedente giudicato".
Per quanto concerne invece i fatti successivi al 2005, la Cassazione ha annullato la condanna nei confronti di De Stefano con il rinvio del caso alla Corte d’Appello per un nuovo processo.
L'imputazione nei confronti del legale era quella di essere stato “appartenente, con un ruolo apicale, alla componente “segreta o riservata” della 'ndrangheta, quale promotore, dirigente ed organizzatore di tale componente, e l'appartenenza con ruolo apicale all'articolazione territoriale della 'Ndrangheta denominata cosca De Stefano di Archi di Reggio Calabria. Un fatto contestato come commesso in Reggio Calabria e provincia (in cui è radicata la componente apicale visibile del più ampio sistema criminale di tipo mafioso) e altre località del territorio nazionale ed all'estero, fino al 15 luglio 2016, quanto alla appartenenza alla componente segreta o riservata della 'Ndrangheta, e in Reggio Calabria e provincia, nell'anno 2014 e con condotta permanente fino al 15 marzo 2016, quanto alla appartenenza alla cosca De Stefano”.
Gli ermellini, “quanto alla contestazione di avere fatto parte con un ruolo apicale della componente 'segreta o riservata' della ‘Ndrangheta” hanno osservato proprio che “nel processo 'Olimpia', al De Stefano era stata inizialmente contestata la partecipazione alla 'Ndrangheta e solo in grado di appello il fatto è stato diversamente qualificato come concorso esterno”. E poi ancora scrivono i giudici che “per effetto di tale pronuncia, l'odierno ricorrente non può essere nuovamente processato per il reato di partecipazione alla medesima associazione commesso sino al 1991, essendo irrilevante che in questa sede si contesti al De Stefano la partecipazione alla 'Ndrangheta quale associazione unitaria e non quale partecipazione alla singola cosca, atteso che, stante la unitarietà della 'Ndrangheta, affermata anche nel presente processo, la partecipazione alla cosca vale anche quale partecipazione alla ‘Ndrangheta unitariamente intesa, laddove si affermi che tale associazione è unitaria. La condanna del De Stefano per il reato di concorso esterno, a seguito di riqualificazione del fatto originariamente contestato quale concorso interno, vale quale giudicato assolutorio in relazione alla condotta di essersi associato alla 'Ndrangheta, atteso che il concorso esterno è incompatibile con una condotta di piena partecipazione”.
Sui collaboratori di giustizia la Cassazione, a differenza della Corte d'Appello, non ritiene utilizzabili le dichiarazioni di quei soggetti che hanno riferito fatti per il periodo fino al 2005 compreso.
La Corte d'Appello, sulla base di quelle dichiaraiozni “ha concluso che già in tale periodo il De Stefano rivestiva un ruolo apicale in seno alla componente riservata della 'Ndrangheta” e alla luce di tale conclusione “ha ritenuto provata la prosecuzione della medesima condotta anche per il periodo successivo; in particolare, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno riferito di condotte successive al 2005 sono state ritenute riscontrate da quelle di coloro che avevano iniziato a collaborare con la giustizia prima del 2006”.
Quelle dichiarazioni, grazie alle quali De Stefano fu giudicato colpevole, secondo i Supremi giudici però, “essendo collocate nel periodo coperto da giudicato, non possono essere valutate a tale scopo, per quanto sopra esposto”.
Ai giudici di appello, di fatto, viene chiesto di motivare meglio su alcuni aspetti cruciali, come ad esempio rispetto all'intervento del commercialista Giovanni Zumbo per aggiustare i procedimenti per l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali.
Spiega la Corte che “trattasi di fatti risalenti agli anni '90 e come tali coperti da giudicato”. E per quanto riguarda la rivelazione che lo Zumbo avrebbe fatto a Giorgio De Stefano sul “posizionamento di una microspia all'interno dell'ospedale ove l'odierno ricorrente nel 2009 era stato sottoposto ad un delicato intervento chirurgico, nella motivazione non si chiarisce perché tale circostanza, laddove vera, dimostrerebbe l'appartenenza del De Stefano ad una struttura occulta della 'Ndrangheta finalizzata a favorire gli interessi del sodalizio criminale avvalendosi di rapporti con la massoneria deviata o con ambienti politici o giudiziari. La motivazione della sentenza qui impugnata non chiarisce perché la circostanza non possa trovare spiegazione anche nei rapporti di amicizia che legavano lo Zumbo ai De Stefano”. Gli ermellini esprimono anche alcune considerazioni rispetto la conversazione in cui Giorgio De Stefano e Paolo Romeo parlavano delle elezioni regionali del 2010. Secondo i giudici “nella conversazione non si fa alcun accenno all'utilizzo di metodi mafiosi per influire sul voto o ad un intervento della ‘Ndrangheta nella competizione elettorale, che risulta contraddetto dalla pochezza dei voti che i due affermano di poter assicurare al Loiero in occasione delle elezioni regionali. Il voler ravvisare in tale conversazione una elaborazione della strategia della 'Ndrangheta unitaria per influire sulla competizione elettorale regionale appare un'evidente forzatura logica e nella motivazione neppure viene data risposta ai rilievi formulati in proposito nell'atto di appello. Né nella sentenza si chiarisce in cosa si sarebbe concretamente sostanziato il contributo arrecato dal De Stefano, quale componente della struttura invisibile della 'Ndrangheta unitaria, al sodalizio criminale, a prescindere da un suo intervento nella vicenda del bar Malavenda”.

Processo da rifare
Per la Cassazione, i giudici della Corte d'Appello hanno sbagliato a considerare De Stefano "colpevole anche per il periodo successivo al 2005 sulla base di condotte che si assumono rivelatrici della sua appartenenza alla componente segreta e che, tuttavia, essendo collocate nel periodo coperto da giudicato, non possono essere valutate a tale scopo". Sul punto va ricordato che ci sarà un nuovo processo nei confronti dell'avvocato, ma anche di altri nove imputati: Antonino Nicolò (condannato in secondo grado a 13 anni e 10 mesi di carcere), Antonino Araniti (8 anni), Roberto Franco (13 anni e 8 mesi), Domenico Marcianò (9 anni e 4 mesi), Emilio Angelo Frascati (8 anni), l’ex sindaco di Villa San Giovanni Antonio Messina (2 anni), Lorena Franco (un anno e 4 mesi) e Giovanni Pellicano (10 mesi). Anche per loro la Cassazione ha stabilito che la sentenza della Corte d’Appello deve essere annullata. Diversamente è uscito dal processo Pasquale Massimo Gira al quale, in appello, erano stati inflitti 2 anni e 4 mesi di carcere.

L'invisibile
Ma torniamo al ruolo di De Stefano. Nelle motivazioni della sentenza d'appello la Corte aveva riconosciuto il ruolo "apicale occulto della componente 'riservata' della ‘Ndrangheta e componente apicale dell’articolazione territoriale denominata cosca De Stefano".
Inoltre si evidenziavano gli elementi emersi nel processo con cui si dimostra il ruolo avuto da De Stefano in qualità di "capo ed organizzatore del sodalizio unitariamente inteso, in qualità di partecipe della componente invisibile della ‘Ndrangheta, struttura di vertice chiamata a svolgere compiti di direzione strategica e, in ultima analisi, di gestione occulta delle scelte di politica criminale del sodalizio di stampo mafioso denominato ‘Ndrangheta".
Secondo quella corte, dunque, De Stefano si inseriva in un contesto criminale perfettamente capace di interagire stabilmente "attraverso associazioni segrete caratterizzate dalla 'segretezza' dei 'fini' e dalla 'riservatezza' dei 'metodi' (massoneria deviata), con il mondo dell’imprenditoria, della finanza, della magistratura e, più in generale, delle istituzioni".
I giudici di Cassazione evidenziano come, secondo l'accusa, il De Stefano sarebbe intervenuto in una vicenda complessa (la riapertura del bar Malavenda, prima tentata invano da Antonino Nicolò e poi riuscita a Carmelo Nucera, che ha costituito un momento di fibrillazione negli equilibri ‘ndranghetisti della città di Reggio Calabria, ndr) sia come nuovo soggetto assurto al ruolo di capo della omonima cosca a partire dal 2014, sia quale membro della struttura “invisibile” della 'Ndrangheta unitaria, interessata a smorzare un potenziale conflitto che avrebbe potuto arrecare grave pregiudizio ed anche condurre ad una nuova guerra di 'Ndrangheta.
Per gli ermellini “la affermazione secondo la quale il De Stefano sarebbe intervenuto in tale vicenda sia come componente della struttura invisibile posta al vertice della struttura unitaria, sia come soggetto posto al vertice della cosca De Stefano è di per sé illogica e si pone in contrasto con la funzione che a detta struttura viene attribuita nella stessa sentenza impugnata. Se la struttura invisibile deve essere composta da soggetti la cui appartenenza alla ‘Ndrangheta è sconosciuta a coloro che compongono la struttura visibile ed operativa del sodalizio criminale, onde evitare che i componenti della struttura invisibile possano essere indicati quali appartenenti al sodalizio criminale da eventuali collaboratori di giustizia, appare illogico sostenere che Giorgio De Stefano potesse contemporaneamente far parte sia della struttura invisibile, sia della struttura visibile ed operativa in qualità, peraltro, di capo della cosca De Stefano”. “Peraltro - aggiunge la Suprema Corte - non si vede perché, stante la assoluta segretezza che avrebbe dovuto ammantare la partecipazione alla ‘Ndrangheta di Giorgio De Stefano quale componente della struttura occulta, venendo questa celata anche agli appartenenti al sodalizio criminale, Giorgio De Stefano avrebbe dovuto rivelare tale sua qualità al Nucera, che non è un associato al sodalizio, tanto da necessitare delle spiegazioni di Franco Roberto in ordine alla ripartizione del territorio del quartiere di Santa Caterina tra le varie cosche”.
La Cassazione non ha tenuto conto di quanto fu spiegato con estrema lucidità dal procuratore aggiunto Lombardo nella requisitoria del processo contro Paolo Romeo.
Se Paolo Romeo e Giorgio De Stefano fossero stati dotati dell’invisibilità assoluta non saremmo stati qua. Certamente non sono invisibili per i soggetti che da loro dipendono nelle manifestazioni che segnano la loro necessaria azione e alcuni dei quali sono imputati in questo processo. Per quei soggetti in contesti criminalmente rilevanti sono ben visibili e operativi. In realtà mantengono la loro invisibilità nei confronti di tutti gli altri. E chi sono questi altri? Tutti quegli uomini e donne di ndrangheta che non devono sapere nulla rispetto a quello che va oltre la struttura criminale di base, cioè quella struttura fatta di doti, cariche, rituali, immaginette”. Nessuna considerazione equivoca.
L'invisibilità, dunque, non vuol dire che non se ne conosca neanche il nome, ma il ruolo vero. E infatti i clan presenti sul territorio sono solo una componente, tanto necessaria quanto sacrificabile, dell'organizzazione criminale.
Lombardo aveva spiegato l'esistenza di un “sovramondo” e di un “sottomondo” collegati tramite dei “grandi generali” che “abitano” una sorta di “terra di mezzo”.
Al di sopra c'è un Elité riservata che non si vede, ma governa. Ed ogni tanto, in particolari episodi, come quando le pretese del clan Serraino nel quartiere polveriera di Santa Caterina avevano rischiato di scatenare una nuova guerra fra clan, chi sta sopra è costretto a manifestarsi.
Non a caso una pletora di collaboratori di giustizia, di grado e provenienza diversi, non sono mai riusciti a indicare con precisione la carica, il grado o la struttura di cui facciano parte - e del resto è regola base di funzionamento della 'Ndrangheta che chi sta sotto non sappia chi sta sopra e che carica abbia - ma erano certi che Giorgio De Stefano e Romeo fossero gli uomini giusti per aggiustare processi, governare la politica o addomesticare i grandi appalti.
E non possiamo dimenticare i contributi di collaboratori di giustizia “esterni”, provenienti da altre organizzazioni criminali, ai quali invece qualche dettaglio era stato dato in forma più completa.
Un esempio è il pentito catanese Giuseppe Di Giacomo. Ricordiamo le sue dichiarazioni al processo 'Ndrangheta stragista in cui ricordava i passaggi che portarono al coinvolgimento della criminalità organizzata calabrese all'interno della strategia stragista degli anni Novanta.
A detta del pentito l'adesione a quella strategia fu decisa dal direttorio della criminalità organizzata, un organo di vertice, “un livello supremo” che, secondo la ricostruzione del pentito catanese, sarebbe stato composto dai capi crimine: Pino “Facciazza” Piromalli, Luigi Mancuso, Franco Coco Trovato, Pasquale Condello “il Supremo”, Giuseppe De Stefano, un rappresentante dei Pesce ed uno dei Bellocco. "Tutti loro erano capo Crimine, ma con la dote dei punti della Stella. Un gergo che usano come riconoscimento per le cariche più elevate. E quel livello, stellare, sta ad indicare proprio qualcosa di molto in alto" aveva spiegato allora il teste.
Tra le prove emerse nel processo Gotha la Corte sembra non dare peso al fatto che il nome di De Stefano emerga anche in vicende che hanno segnato profondamente la storia del Belpaese come i moti di Reggio, il golpe organizzato del principe nero Junio Valerio Borghese, la copertura della latitanza di terroristi neri come Franco Freda, fino ad arrivare alle stragi degli anni Novanta e quel progetto politico separatista delle leghe meridionali, nato per la prima volta al Sud proprio in Calabria.
E secondo l'accusa, il ruolo di De Stefano era ampio.
Assieme a Paolo Romeo, imputato con il rito ordinario e condannato in primo grado a 25 anni di carcere, De Stefano era il “motore immobile del sistema criminale”. Entrambi erano stati descritti come “soggetti ‘cerniera’ in grado di interagire tra l’ambito ‘visibile’ e quello ‘occulto’ dell’organizzazione".
Il processo “Gotha” è il maxiprocesso nato dalla unione delle inchieste “Mamma Santissima”, “Reghion”, “Fata Morgana” e “Sistema Reggio” nell’ambito delle quali i carabinieri del Ros, la guardia di Finanza e la polizia avevano acceso un faro su quello che la Dda considera il “direttorio” della ‘Ndrangheta, una struttura con una strategia programmatica che puntava ad alterare “l’equilibrio degli organi costituzionali”.
Ora che sono giunte le motivazioni della sentenza non resta che attendere per capire quella che sarà la prossima mossa della Procura. 

Foto © Imagoeconomica

ARTICOLI CORRELATI

Cassazione, da rifare una parte del processo 'Gotha': dieci annullamenti in abbreviato

Processo Gotha, anche la 'Ndrangheta ha una direzione strategica

Processo Gotha, in appello condanna a 15 anni per boss De Stefano

'Ndrangheta, massoneria e non solo. È il sistema criminale degli ''Invisibili''

Processo Gotha, ''ecco i veri volti e il programma criminale della direzione strategica della 'Ndrangheta''

Processo Gotha, Romeo: ''Aiutai la latitanza del terrorista Franco Freda a Reggio Calabria''

TAGS:

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos