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Luca Tescaroli: "Iniziativa pone attenzione nel salvaguardare normativa sui sequestri"

L’attico con terrazzo che si affaccia sulla Fontana di Trevi al quale si accede da via San Vincenzo de Paoli, n. 32, diventerà la sede della direzione della Scuola Superiore della Magistratura. L'immobile, come riportato su 'Il Fatto Quotidiano' in un articolo a firma del procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli era nelle disponibilità di Ernesto Diotallevi (in foto) dal 29 luglio 1981. Tale iniziativa è stata promossa dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione Giovanni Salvi.
L'attico "ha rappresentato un simbolo della potenza e dell’invincibilità del crimine organizzato" ha scritto il magistrato, sottolineando che "l’iniziativa consente, al contempo, di porre l’attenzione sulla necessità della salvaguardia della normativa sui sequestri e sulle confische di prevenzione, frutto del sangue versato che i mafiosi stragisti volevano con gli attentati del 92-94 far cancellare e che oggi è oggetto di vibrate critiche e di iniziative legislative proiettate a narcotizzarla".
Lo stesso Tommaso Buscetta aveva parlato del caso nel lontano 9 dicembre 1993: aveva riferito che all'epoca per i discorsi che facevano “Calò e Diotallevi, quest’ultimo era in trattative per l’acquisto di una villa al centro di Roma. Il problema del Diotallevi...era quello di giustificare la provenienza del denaro necessario per l’acquisto della villa valutata circa novecento milioni di lire”. In seguito si era accertato che Diotallevi aveva pagato un prezzo di 925 milioni di lire per l’acquisto del complesso immobiliare, pur in assenza di redditi adeguati. L'uomo era stato già condannato in sede definitiva per favoreggiamento derivante dal coinvolgimento nella fuga di Roberto Calvi a Londra, ove fu trovato morto impiccato il 18 giugno 1982. Inoltre erano stati accertati legami, anche finanziari, con esponenti di Cosa Nostra (tra cui lo stragista Giuseppe Calò) e della banda della Magliana (fra i quali Domenico Balducci, assassinato il 16 ottobre 1981, e Danilo Abbruciati, ucciso il 27 aprile 1982, nel corso dell’attentato in pregiudizio del direttore generale del Banco Ambrosiano, Roberto Rosone) e dell’associazione mondo di mezzo.
L’immobile, si legge, verrà intitolato a Mario Amato il pubblico ministero di Roma, assassinato il 23 giugno 1980 dai terroristi appartenenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR) Francesca Mambro e Valerio Cavallini, che in seguito furono condannati quali mandanti per la strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Era l’8 ottobre 2013 quanto Tescaroli assieme ai colleghi Giuseppe Cascini e Paolo Ielo aveva firmato la richiesta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale del sequestro anticipato dei beni, in vista della confisca, riconducibili a Diotallevi.
Tale proposta al tempo era stata condivisa anche dal Procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone.
L'inchiesta da cui era scaturito il procedimento, ha scritto il magistrato, teneva in considerazione "lo studio degli atti di numerosi procedimenti penali e della ricostruzione attenta del patrimonio dell’interessato e dei soggetti prestanome" riconducibili a Ernesto Diotallevi.
Dopo diversi anni si era giunti al verdetto definitivo ma l’iter procedimentale non aveva avuto vita facile: come ha scritto Tescaroli, "dopo essere approdato al decreto del 26 gennaio 2015 di confisca del Tribunale sezione per le misure di prevenzione di Roma (presieduto dalla dottoressa Anna Criscuolo), che aveva condiviso integralmente l’impostazione del pubblico ministero, vagliata nel contraddittorio serrato con il proposto e i terzi prestanome e interessati costituitisi in giudizio, sul presupposto della pericolosità sociale di Diotallevi, l’iter procedimentale subì una battuta d’arresto dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, che confermava la confisca solo per alcuni beni, quelli acquistati nel periodo ricompreso dal 2009 al 2013, disponendo la revoca per tutti i beni acquisiti dal giugno del 1982 al 2009, fra i quali, l’attico con vista su Fontana di Trevi. Grazie alla tenacia e alla determinazione della Procura generale presso la Corte d’Appello di Roma - guidata all’epoca da Giovanni Salvi, il quale, impegnandosi in prima persona, riuscì a far convogliare le energie di più colleghi - fra le quali le mie - e della polizia giudiziaria - quella pronuncia venne capovolta, a seguito dell’accoglimento del ricorso proposto, da parte della seconda sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta dal dottor Piercamillo Davigo, con sentenza del 31 gennaio 2018 (la cui motivazione venne depositata in cancelleria il 31 marzo 2018) che annullò il decreto della corte d’appello con rinvio per un nuovo esame".
Il nuovo giudizio era giunto a confiscare l’intero patrimonio di Diotallevi. Si trattava di beni per un valore di complessivo stimato pari a 25.136.097,00 euro, costituito da 43 unità immobiliari site in Roma e provincia, a Gradara (provincia di Pesaro e Urbino), Olbia e Corsica; 8 società, 5 autoveicoli e 5 tra depositi bancari e polizze vita. Tale confisca, si legge sul 'Fatto' deriva dall'applicazione specifica dello strumento di "prevenzione introdotto dalla legge Rognoni-La Torre (La Torre per la presentazione del relativo progetto di legge venne assassinato il 30 aprile 1982). Legge che fu approvata solo il 13 settembre 1982, dieci giorni dopo l’uccisione del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa".

Fonte: ilfattoquotidiano.it

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