Il Consiglio salva una parlamentare e poi magistrato chiedeva le nomine a Palamara
Il plenum di Palazzo dei Marescialli ha approvato ieri a maggioranza - con 13 voti a favore, 8 contrari, tra cui quello del consigliere togato Nino Di Matteo, i togati di AeI Marra e Pepe, i laici Gigliotti (M5S), Cavanna e Basile (Lega), Lanzi (FI), e un astenuto - la proposta di archiviazione avanzata dalla Prima Commissione (con l’astensione di Di Matteo) competente sui trasferimenti d'ufficio per incompatibilità, nei confronti di Donatella Ferranti, magistrato di Cassazione e deputata del Pd dal 2008 al 2018. Per la maggioranza infatti non ci sono state effettive ricadute sulle funzioni svolte nella sede attualmente occupata dal magistrato. Sullo sfondo ancora le chat dell'ex magistrato Luca Palamara. Le conversazioni hanno riguardato sia il periodo del 2017, in cui Ferranti era parlamentare e Palamara componente del Csm; sia quello di marzo-settembre 2018, in cui Ferranti era tornata in magistratura e Palamara era ancora membro del Consiglio Superiore; sia quello dopo settembre 2018, in cui anche Palamara era tornato in magistratura, ma continuava a esercitare una forte influenza sulla nuova consigliatura.
Per fare chiarezza la procura non ha mai indagato Ferranti, ritenendo le chat prive di rilievo penale. Inoltre la Procura generale della Cassazione ha archiviato la sua posizione senza avviare alcuna azione disciplinare.
Sempre dalle chat emerge un pressante e insistente interessamento da parte di Ferranti, sia come parlamentare che da giudice, a supportare due colleghi nella corsa a due posti di vertice: Francesco Salzano ad avvocato generale della Cassazione (numero tre della Procura nella suprema corte) ed Eugenio Turco come presidente del tribunale di Viterbo.
La decisone del Csm di archiviare la pratica alla luce di questi elementi desta molte perplessità, soprattutto se si considera che in un caso analogo era stata applicata maggiore severità. La memoria non può che andare al caso di Cosimo Ferri, toga di Magistratura indipendente (Mi), dal 2013 "prestata" alla politica, sottosegretario alla Giustizia di ben tre governi (Letta, Renzi, Gentiloni), presente alla cena dell'hotel Champagne con Luca Palamara e Luca Lotti in cui nel maggio 2019 si decideva chi dovesse essere il procuratore di Roma. L’impianto accusatorio a carico di Ferri era per buona parte caduto dopo la decisione della Camera di rendere inutilizzabili alcune intercettazioni (tra Palamara e Ferri) nell'ambito di un provvedimento disciplinare.
Tornando al caso in esame, la Commissione ha disposto l’inutilizzabilità delle chat del periodo in cui Ferranti era deputata, perché ritenute non essenziali.
Il consigliere togato Nino Di Matteo ha contestato la proposta di delibera, sottolineando una "contraddizione intrinseca": cioè proprio la mancata utilizzazione delle chat del periodo in cui la Ferranti era parlamentare. Ne ha lette alcune in plenum, suscitando le rimostranze di altri consiglieri, e ha argomentato che "le richieste della dottoressa Ferranti hanno esposto l'istituzione Consigliare e anche indirettamente gli assetti della corte di Cassazione". Tali interlocuzioni, ha continuato il magistrato, "costituiscono la rappresentazione più plastica" e "più evidente del patologico rapporto tra la politica e il Consiglio superiore della magistratura. Costituiscono la plastica rappresentazione di una deviazione del principio fondamentale della separazione dei poteri". "Noi abbiamo un magistrato - ha detto - che in due vesti diverse, da parlamentare prima, responsabile del settore giustizia del suo partito e da giudice della Cassazione dopo" che ha perorato “la nomina di un avvocato generale della Cassazione, cioè di un esponente della dirigenza dell'ufficio che rappresenta l'accusa innanzi alla sezione penale della dottoressa Ferranti". Il Csm, ha domandato Di Matteo, "può rivendicare la sua assoluta autonomia della politica se facciamo finta di non vedere in questo caso una clamorosa ingerenza della politica per orientare importanti scelte consiliare?" Tali argomentazioni, anche se ben motivate e corroborate da fatti oggettivi, non hanno convinto la maggioranza del plenum che infine si è espressa a favore dell’archiviazione.
Foto © Imagoeconomica
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