“Dobbiamo capire come mai Paolo Bellini, un soggetto legato ad ambienti dell’estrema destra, si sia messo in contatto con gli appartenenti a Cosa nostra, in particolare Antonino Gioè, instillando il progetto di colpire proprio il patrimonio storico, artistico e monumentale della nazione. E dobbiamo capire perché Antonino Gioè, che fu parte di questa trattativa con Bellini, sia morto in ragioni non del tutto chiarite nel carcere di Rebibbia il 29 luglio ’93”. Sono le parole del procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli, intervistato dal giornalista Walter Rizzo per analizzare, ventinove anni dopo, le tante domande ancora aperte sulla strage dei Georgofili che la notte tra il 26 e il 27 maggio 1993 dilaniò il cuore del capoluogo fiorentino. Quella notte Cosa nostra - e non solo - piazzò un Fiat Fiorino sotto la torre del Pulci, in pieno centro storico, tra l'Arno, gli Uffizi e l'Accademia dei Georgofili. Il furgone, imbottito di tritolo, brillò alle 1.04 trascinando con sé le vite di cinque persone: Angela Fiume e Fabrizio Nencioni (lei custode dell'Accademia e lui ispettore dei vigili urbani), le loro figlie Nadia e Caterina di appena nove anni e soli due mesi, e lo studente universitario fuori sede, di Sarzana, Dario Capolicchio. I feriti, invece, furono quarantotto.
Ebbene, nel servizio andato in onda ieri sera sul TGR Toscana, Tescaroli ha cercato di riassumere i punti salienti delle tante verità che ancora attendono risposta di quella stagione nata in Sicilia nel ’92 e poi prolungatasi meno di due mesi dopo anche a Milano e Roma.
Dietro la strage dei Georgofili “c’è stato un tentativo di condizionare la democrazia - ha detto Tescaroli -, e di qui la valenza terroristico eversiva. Lo stragismo non aveva una valenza solo di cesura rispetto al passato, bensì guardava al futuro e cercava di ottenere un assetto di potere che fosse funzionale alle proprie aspettative. Si sono create le premesse perché altri si affermassero sul piano della nostra democrazia”.
Un progetto eversivo che affondava le radici nel passato ma che era ugualmente proiettato verso il futuro, così come lo sono le indagini della Dda di Firenze che tutt’ora vanno avanti grazie al lavoro del procuratore Creazzo e degli aggiunti Turco e Tescaroli, appunto. Indagini che puntano a scoprire chi sono stati i protagonisti esterni a Cosa nostra. Uno degli sondi più importanti di queste indagini è Paolo Bellini, terrorista nero condannato per la strage di Bologna del 2 agosto ’80 (che portò alla morte di 85 persone), l’altro invece è il ruolo di Matteo Messina Denaro, l’ultimo superlatitante di Cosa nostra. “Matteo Messina Denaro era depositario di molti segreti - ha evidenziato Tescaroli -. Era a conoscenza della strategia stragista e dei contatti che correlativamente allo stragismo venivano portati avanti dai vertici dell’organizzazione mafiosa”.
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- Jamil El Sadi