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In esclusiva sul settimanale Oggi il collaboratore di giustizia si toglie la maschera e si fa fotografare

Voglio tornare a Palermo, un giorno, per parlare alle donne di mafia, alle mogli, alle figlie, affinché convincano i loro uomini a cambiare strada, perché la mafia è morte, ti impedisce di vivere da uomo e di apprezzare le cose belle. Ho 82 anni, negli anni che mi restano, voglio scontare con la sofferenza il male che ho fatto e lasciare qualcosa di utile, attraverso le parole e i quadri”. Sono le parole del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo che per la prima volta - dopo oltre 30 anni - scopre il suo volto con una serie di scatti realizzati da James Hill, fotografo del New York Times e vincitore del premio Pulitzer, pubblicati dal settimanale Oggi (direttore Carlo Verdelli) con un articolo a cura di Luigi Garlando.
Autore di 20 omicidi e complice di altri 70; amico intimo di Totò Riina e di Rosario Riccobono; nipote di zii mafiosi; ex killer, estorsore e rapinatore di Cosa nostra; ex trafficante di droga. Insomma, Gaspare Mutolo è stato un feroce manovale di Cosa nostra a tutti gli effetti: “Ero un soldato. Eseguivo”. Ma sono passati tanti anni e la vita di “Asparinu” è cambiata. Nel 1991, infatti, iniziò a collaborare con lo Stato sollecitato dal giudice Giovanni Falcone, divenendo uno dei più importanti collaboratori di giustizia certificato sia da Falcone, sia da Borsellino. Oggi un altro cambiamento: dal 7 aprile, infatti - dopo oltre 30 anni -, è uscito dal programma del Servizio Centrale di Protezione. Ora è un uomo libero a tutti gli effetti anche se continua a vivere sotto falso nome, in un domicilio segreto.
Ma, nonostante ciò, continua a fare la sua parte mettendo la faccia contro la mafia. Distruggendo la maschera che per oltre 30 anni lo aveva protetto.
In questa prima parte di intervista realizzata da Garlando, Mutolo parla della sua storia, di come ebbe inizio la sua affiliazione e di come la stessa cessò. Parla "dell'incontro con Riina in carcere", di un "piano per rapire Berlusconi" e dei suoi due grandi amori "la moglie Marò e la pittura". Ma parla anche dei suoi rapporti con Totò Riina e Rosario Riccobono (alias “Zu Sarò”, capomandamento di Partanna Mondello) e degli affari fatti con il narcotrafficante singaporiano Koh Bak Kin. Per poi concludere con un riferimento a Giovanni Falcone, per cui ha nutrito sempre una profonda stima.
Falcone, dice Mutolo, “non era vendicativo”, “aveva una nobiltà d'animo”. “Quando parlavo con Provenzano, mi ripeteva sempre: ‘Gaspare, questo Falcone è intelligentissimo. È un pericolo’. Non mi diceva: ‘È un cornuto’”. E ancora: “Falcone era troppo intelligente e vedeva le cose nascoste, sembrava che avesse la sfera di cristallo. Per questo l'hanno fatto fuori, non solo i mafiosi, ma anche i colletti bianchi che sono più pericolosi dei mafiosi. L'hanno fatto fuori perché non guardava in faccia a nessuno. Purtroppo, tanti non lo accettavano, perché c'era una collusione diffusa”.
Basti pensare a una cosa, continua Gaspare Mutolo, “nel Maxiprocesso che ha fatto Giovanni Falcone, con tanti magistrati che hanno rischiato la vita, non c'è stato un solo magistrato di ruolo che abbia voluto presiederlo. Lo ha fatto Alfonso Giordano, ma veniva dalla sezione civile. Gli altri avevano tutti paura. Quando noi vediamo che il presidente del Maxiprocesso lo fa Giordano ci mettiamo a ridere... Una bella soddisfazione per i mafiosi che hanno messo tanta paura. Questa era la Palermo degli anni Ottanta. Con la maggior parte dei politici succubi dei mafiosi e Riina che terrorizzava tutti: basta, non perdo più tempo, o fanno così o li ammazzo”.

Foto © Paolo Bassani

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