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Ospiti alla XVI edizione dell’International Journalism Festival di Perugia il procuratore capo di Catanzaro e la giornalista Bulfon

L’Europa non ha capito la gravità e la pervasività delle mafie. L’Ue si interessa solo di finanza, di economia e poco di sicurezza. Oggi si inizia a parlare di sicurezza a causa della guerra e dell’invasione della Russia in Ucraina e si ha paura che la follia di Putin possa allargarsi. Ma c’è un altro grosso problema in Europa, un problema che non si vede ad occhio nudo ma è forte e pervasivo: le mafie. Un tempo avevamo capito di essere in guerra con la mafia, ma oggi ci stiamo dimenticando di esserlo ancora”. Ha esordito così il procuratore capo della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri all’International Journalism Festival di Perugia in cui è stato invitato lo scorso 9 aprile per parlare di “Mafie d'Europa ai tempi della pandemia”. Un evento - svoltosi al Teatro Morlacchi del capoluogo umbro - in cui si è parlato degli affari milionari delle organizzazioni criminali fuori dai nostri confini, del filo rosso di sangue e di denaro teso da decenni e dei nuovi padrini che non sparano ma aprono filiali nel mondo. Ma assieme alle giornaliste Anna Milan (moderatrice) e Floriana Bulfon, si è anche discusso e analizzato come - in questi anni segnati dalla pandemia - 'Ndrangheta, Cosa Nostra e Camorra si siano globalizzate diventando le più grosse imprese italiane all'estero, rendendo l’attuale lotta alle mafie scarna e non sufficiente. A chiudere l’incontro è stata la cerimonia di premiazione dei vincitori del premio in memoria di Nunzio Bassi.


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Il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri


Gli affari internazionali delle mafie europee
In Europa vi è un grande cambiamento nelle mafie”, ha detto la Bulfon che da anni si occupa del tema. La giornalista per far comprendere meglio il tutto ha analizzato uno “strano matrimonio a Dubai”, a cui hanno partecipato anche “un irlandese, un bosniaco, un cileno, un olandese e un napoletano”. Potrebbe sembrare una barzelletta ma non lo è. Si tratta, infatti, della fotografia di “un super cartello che ha operato dall’Italia all’Europa passando per Dubai. Una vicenda che evidenzia l’incapacità e la non volontà di alcuni Paesi di fare cooperazione internazionale e di applicare delle leggi che potrebbero essere molto restrittive per le organizzazioni criminali - ha continuato la Bulfon -. Le organizzazioni criminali hanno trovato un porto franco negli Emirati dove trafficare cocaina, riciclare denaro e addirittura ordinare omicidi via chat. Tutto questo si è amplificato notevolmente con la pandemia”.
Una rete fluida come fosse “una specie di telelavoro”, anche molto hi-tech con strumenti finanziari e tecnologici di comunicazione all’avanguardia, ha proseguito la giornalista, che “riesce a muoversi su più Paesi senza confini etnici e nazionali”. In quel matrimonio vi era Daniel Kinahan: “Rampollo di un clan irlandese spostatosi in Spagna - poi approdato a Dubai -, che traffica cocaina e si occupa anche di dispensare consigli e soldi nel mondo della box internazionale (anche se lui nega) e mentre da Dubai ordina regolamenti di conti a Dublino”. “Un altro signore - ha continuato Floriana Bulfon - era Edin Gačanin, capo di un clan che ha creato una rete di traffico di stupefacenti dal Perù e la cocaina arriva in tre porti fondamentali per il traffico di droga: Rotterdam, Anversa e Amburgo. Luoghi in cui passa il commercio mondiale di cocaina dal Sudamerica, e a controllare quei porti c’è il signore della droga irlandese Ridual Daghi (assieme al suo socio Richard Riquelme Vega, alias “El Rico”, considerato a Santiago il cileno più pericoloso al mondo, ndr). Tutti si trovavano in quel matrimonio celebrato all’hotel Burj al Arab di Dubai”.
Come se non bastasse, alla cerimonia partecipò anche Raffaele Imperiale: manager di Camorra - espulso da Dubai e rimpatriato in Italia lo scorso 25 marzo - che ha creato una rete triangolare delle importazioni di cocaina: dall’Olanda alla Colombia, passando per la Spagna. Un soggetto che “da latitante internazionale girava con passaporti diplomatici”, ha detto la Bulfon, oltre ad essere indagato per 416bis ed essere conosciuto come il boss dei Van Gogh in quanto in uno scantinato a Castellammare di Stabia (Napoli) di sua proprietà furono trovati due quadri del pittore olandese trafugati nel 2002 dal museo a lui dedicato ad Amsterdam.
Ebbene, cosa c’entrano questi soggetti con le mafie in Europa? La risposta si trova nelle parole degli investigatori, i quali hanno definito quei soggetti come “controllori di un terzo dell’arrivo della cocaina in Ue”.


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La platea del Teatro Morlacchi di Perugia



Le “nuove” mafie in Europa
È stata poi la volta di Nicola Gratteri che in risposta alle domande di Anna Milan ha fatto luce sulle nuove mafie nel continente europeo. “C’è una mafia emergente che sta galoppando sul piano della credibilità e del radicamento - ha detto il procuratore -: la mafia albanese. Noi abbiamo sempre parlato di mafia albanese considerando quei quattro morti di fame che in un anno hanno fatto 12 assalti nelle ville. Io però penso ad un'altra mafia albanese: quella cresciuta in modo galoppante in Albania dove c’è un livello di corruzione altissimo. Ci sono grandi estensioni di marijuana e anche la ‘Ndrangheta si approvvigiona di marijuana dall’Albania utilizzando come canale Otranto oppure l’ex Jugoslavia, e questa mafia albanese si sta radicando molto in Olanda. Cito l’Olanda perché è un Paese che in passato ha fatto come le tre scimmiette: ‘Non vedo, non sento, non parlo’”. E a causa di questo ora ne paga caro prezzo e “sbattono la testa contro il muro perché sono terrorizzati dopo che gli hanno ammazzato un avvocato, un giornalista, un testimone di giustizia. Ora si trovano con  tre mafie: la ‘Ndrangheta, la mafia albanese e la ‘Maffia’, ovvero una mafia di 3° generazione del nord Africa ferocissima che si sta creando spazi in maniera molto violenta. E gli olandesi si sono pentiti di aver creato un sistema giudiziario a maglie larghe e per essere stati tanto tolleranti con il contrasto delle droghe”, ha proseguito Gratteri. Un film già visto, verrebbe da dire, perché non è molto diverso da quanto avvenuto nel nord Italia dove la ‘Ndrangheta invece che sparare si è recata al Nord con valigie piene di soldi. “Ci fu un abbraccio tra la ‘Ndrangheta e alcuni imprenditori ingordi che hanno preso i soldi per interessi e per arricchirsi - ha sottolineato il procuratore -. Ma così salta tutto, perché le mafie sono in grado di offrire smaltimento di rifiuti con ribassi del 40%, manodopera sottopagata, movimento terra, lavori a cottimo e tanto altro. Quindi gli imprenditori del Nord pensando di diventare ancora più ricchi e competitivi rispetto agli altri si sono sbagliati perché non hanno capito che l’obiettivo dello ‘ndranghetista, del camorrista o dell’uomo di Cosa nostra non è quello di arricchirsi, bensì rilevare l’attività commerciale”. È il cosiddetto processo di normalizzazione.


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La giornalista, Floriana Bulfon


La libertà di stampa: il primo strumento di contrasto alle mafie
Il procuratore Nicola Gratteri ha poi voluto fare quadro generale su ciò che sta avvenendo in Italia sotto l’attuale governo Draghi. E per farlo si è rivolto ai tanti giovani aspiranti giornalisti presenti in sala dicendo loro: “Non è edificante pensare ai vertici della vostra categoria giornalistica che quando adesso è stata approvata l’ultima legge sulla presunzione di innocenza la vostra categoria non ha trovato il tempo perché ‘non si è trovato il tempo o di preparar o di capire bene la norma’ per andare in Commissione giustizia per criticare o cercare di modificare questa legge che nella sostanza vi impedisce di lavorare”. E ancora: “Oggi i comunicati stampa che leggete dalle procure o dalle forze dell’ordine non si capisce niente. Impieghiamo più tempo a scrivere un comunicato stampa piuttosto che un’ordinanza, proprio perché non si può dire nulla, non si possono indagare le persone, ad ogni capoverso devi scrivere ‘presunto’”. Un problema che fuoriesce dalla sfera della giustizia e va ad intaccare il cuore della libertà di stampa che con questa riforma, ha precisato il procuratore, “ha subito una grande involuzione”. “Se la stampa non è libera di scrivere, la notizia non c’è e il problema non esiste - ha continuato con gusto amaro -. Il problema esiste solo se per tre giorni lo stesso argomento viene trattato sui giornali o telegiornali più importanti d’Italia. Altrimenti il problema non esiste. Quindi questa è una bella legge che l’anno prossimo porterà l’Italia al 200° posto per la libertà di stampa. Ma su questo nessuno dice nulla perché il potere non vuole essere disturbato”. Al potere, infatti, “non interessa l’orientamento politico, ma se sopra di te ci sia uno che garantisca per te" ha concluso.


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Le cointeressenze tra potere e mafie
In ultima istanza il procuratore capo della Repubblica di Catanzaro si è espresso sul rapporto bilaterale tra potere e mafie. "Il potere ha bisogno delle mafie - ha detto -. Ecco perché le mafie non sono state sconfitte e non lo saranno, perché ce né bisogno nel mondo del potere e dell’economia. Non a caso nel Pil si calcolano anche gli introiti del traffico di cocaina”.
A riprova della necessità di questo legame di cointeressenze basti pensare che “non ci sono state elezioni comunali, regionali, nazionali dove le mafie non abbiano offerto pacchetti di voti ai candidati e candidate che, presi dalla paura di non farcela, nelle ultime 48 ore sono pronti a fare accordi con il diavolo. Le mafie votano, fanno votare e non hanno ideologia. Votano per il candidato che gli offre più garanzie”.
Ma questo l’Ue sembra non capirlo. “In Europa c’è un elettroencefalogramma piatto - ha continuato Gratteri -. Non c’è l’idea né la volontà di creare un sistema giudiziario proporzionato alla realtà criminale in modo tale che non sia conveniente delinquere. Ma questo sta accadendo anche in Italia oggi. Ci sono delle modifiche normative. E queste sono modifiche che spesso si fanno con i governi di larghe intese. Modifiche normative che rallentano la possibilità di creare un sistema giudiziario efficiente per arginare non solo i fenomeni mafiosi ma anche di criminalità comune e altri tipi di reati. Modifiche normative che mettono nella testa della gente che alla fine tutto si aggiusta e alla fine comunque uno sconto ci sarà”. Un “dramma” acuito dall’onda della normalizzazione e del garantismo: “Termine usato in modo dispregiativo purtroppo - ha concluso Gratteri -. Io sono il primo garantista perché voglio l’osservanza ortodossa delle regole, e voglio un sistema tale nel rispetto della costituzione che non sia conveniente delinquere”.

Foto © Davide de Bari

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