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Non vi sono più dubbi “Mariupol è ora l’obiettivo principale dei combattimenti”. A confermalo è l’esperto militare Dmitry Boltenkov, secondo cui “la città è ormai circondata, le forze armate ucraine e quelle dei militanti del battaglione Azov sono frammentate in varie sacche di resistenza separate”.
Nel frattempo, unità delle forze armate russe stanno conquistando il villaggio di Novomikhailovka e la città di Ugledar nel Donbass; le truppe della Repubblica popolare di Donetsk hanno invece occupato il villaggio di Sladkoe.
Non è facile mettere fuori combattimento un raggruppamento numeroso e caparbiamente difensore dalle solide costruzioni della zona industriale e del porto, ma le sue forze stanno diminuendo costantemente a causa della mancanza di rifornimenti” ha affermato Boltenkov.
Secondo il portavoce del ministero della Difesa russo Igor Konashenkov il traffico radio intercettato da Mariupol indica che sarebbero addirittura presenti molti mercenari stranieri che parlano principalmente lingue europee nelle parti occupate della città.
Sono ore di fermento in cui i giornali nostrani rimarcano su un ipotetico impantanamento delle truppe russe, che con il ritiro da Kiev sarebbero cadute in una profonda crisi strategica. Sul Messaggero, dà voce a questa teoria l'esperto di Relazioni internazionali, Francesco Strazzari, secondo cui “il gigante russo arranca” e “potrebbe esser finito in trappola…
Insomma la soluzione consisterebbe nell’invio di ulteriori armamenti a Kiev, poiché “se la situazione viene opportunamente protratta dagli ucraini” sostiene l’esperto, “basta armare in modo sufficiente e adeguato gli ucraini per tenere la Russia sotto scacco. Ma non si tratta più di arrivare alla pace, bensì di vincere la guerra”.
Una pillola di speranza per un popolo europeo trascinato direttamente allo scontro con Mosca e prossimo a subire le più catastrofiche conseguenze date da un probabile embargo sulle forniture di gas e petrolio dalla Russia.
Un’eventualità che secondo il capo della Deutsche Bank, Christian Sewing, porterebbe l'economia della Germania e dell'Europa nel suo insieme a cadere in una recessione crescente, fino al crollo totale.
"Sono profondamente convinta che l'Ucraina vincerà questa guerra, che vinceranno la libertà e la democrazia. Noi lavoreremo assieme all'Ucraina per ricostruirla, con investimenti e riforme” ha affermato venerdì la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, incontrando a Kiev il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Parole lapidarie che sembrano non lasciare più spazio ad una forma di dialogo con la controparte; la Russia insomma sarebbe destinata a perdere la guerra.
Non è della stessa opinione il generale Marco Bertolini, ex comandante del Comando operativo interforze (Coi) e della Folgore: Il “riposizionamento” delle forze russe in corso con il ripiegamento da Kiev non sarebbe affatto una ritirata, ma la logica conseguenza dei progressi tattici conseguiti sul campo dall’esercito di Putin, che ora può concentrare lo sforzo sul Donbass, reale obiettivo della guerra.
Intervistato sul Fatto Quotidiano, Bertolini ha sostenuto che per perseguirlo la Russia “ha impegnato una parte importante dell’esercito su obiettivi che possiamo definire sussidiari, utili cioè ad impegnare le forze ucraine nella difesa della capitale e a tenere alta la tensione internazionale sulla portata del conflitto e il rischio di eventuali ingerenze. Il ritiro da Kiev e Chernihiv sembra anche funzionale a diminuire la pressione politicamente sensibile in una fase in cui, dal punto di vista tattico-strategico, sta ottenendo risultati apprezzabili”.
Per quanto riguarda Mariupol, confermando la presenza delle milizie neonaziste del battaglione Azov a difesa della città, Bertolini ha sottolineato come il defluire di armi e cibo non saranno mai sufficienti a sovvertire un epilogo che appare scontato.
L’invio di aiuti militari servirebbe in pratica solo a “mantenere acceso un fuocherello che invece sarebbe bene spegnere, prima di assistere ad altri massacri e prima che si arrivi a farlo con la resa di uno dei due e non con un negoziato tra i due”.
Incredibile che a sostenere uno stop sulle consegne proprio un generale della Folgore, in questo delirante palcoscenico dove ogni invito al dialogo viene immediatamente ostacolato, soppresso e tacciato di filo-putinismo.
Il Pentagono ha recentemente pubblicato la lista aggiornata degli armamenti forniti dagli Stati Uniti all’Ucraina, per un valore complessivo di aiuti militari pari a 1,7 miliardi di dollari dall’inizio dell’invasione russa avviata il 24 febbraio.
Il pacchetto è certamente di tutto rispetto: oltre 1.400 sistemi antiaerei Stinger; 5.000 sistemi anti-carro Javelin; 7.000 altri sistemi anti-carro, centinaia di munizioni Switchblade (droni suicidi); 7.000 armi leggere; oltre 50 milioni di munizioni; razzi a guida laser; droni tattici Puma.  Fermeranno la catastrofe umanitaria in corso? Qualche dubbio nel merito è più che lecito.
È evidente come le ultime accuse rivolte a Mosca per strage di Bucha siano state funzionali a far deragliare quei negoziati del 29 marzo al Palazzo Dolmabahce di Istanbul, quando la Russia aveva ricevuto proposte scritte da Kiev rispetto alla questione chiave dello status neutrale e non nucleare dell’Ucraina.
Le potenze occidentali lo hanno già deciso, l’ecatombe non si fermerà. Lo ha ricordato recentemente anche il segretario generale della Nato Jens Stoltemberg: “la guerra (in Ucraina, ndr) può durare mesi, anche anni, dobbiamo essere pronti ad un lungo confronto”.

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