L’ex terrorista ritenuto il quinto uomo del commando stragista. Bolognesi: “Sentenza che farà scuola”
In silenzio religioso e dignitoso, come i loro 40 anni di immani sforzi per ottenere giustizia e verità sulla morte dei loro cari, ma anche felici, con le lacrime agli occhi, più sollevati. E’ così che i familiari delle vittime della strage di Bologna hanno accolto la sentenza di oggi sui mandanti dell’attentato che il 2 agosto 1980 provocò, nella stazione della città, 85 vittime e 200 feriti. La corte d’Assise di Bologna, presieduta da Francesco Caruso, giudice a latere Massimo Cenni, ha condannato Paolo Bellini, ex terrorista di Avanguardia Nazionale, all’ergastolo con un anno di isolamento diurno per concorso nell’attentato del 2 agosto 1980. Insieme a lui, la Corte ha condannato a sei anni, con l’accusa di depistaggio, l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, e a quattro anni Domenico Catracchia, ex amministratore del condominio dei misteri in via Gradoli, per false informazioni al pm al fine di sviare le indagini. Secondo il quadro accusatorio, Bellini avrebbe agito in concorso con l’ex capo della Loggia P2 Licio Gelli, Umberto Ortolani, ex braccio destro di Gelli, Federico Umberto D'Amato, ex direttore dell'Ufficio Affari Riservati del Ministero dell'interno e Mario Tedeschi, ex piduista e senatore del MSI, individuati quali mandanti, finanziatori o organizzatori dell’attentato, finanziato grazie ai soldi del Banco Ambrosiano. Sono state quelle movimentazioni di denaro di milioni di dollari, riassunte in un foglietto finito nell’oblio per decenni e casualmente ritrovato solo due anni fa nell’archivio di Stato di Milano sul cui frontespizio era scritto “Bologna 525779- X.S”, estratto dal portafoglio di Gelli il giorno del suo arresto nel ’82, che alla procura generale di Bologna hanno fornito la traccia per riaprire le indagini sull’attentato. Indagini che poi hanno portato a un processo il cui esito odierno si è rivelato essere quello auspicato dall’associazione dei familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna. “E’ un giorno importante perché si conclude in maniera positiva un lavoro di 40 anni”, ha detto il presidente dell’associazione Paolo Bolognesi. "Bisogna ringraziare in maniera principale la Procura Generale di Bologna che ha fatto un'inchiesta eccezionale, un lavoro mastodontico e il nostro collegio di difesa che ha operato alacremente prima impedendo che fosse archiviato tutto poi adesso collaborando col corso processuale per approfondire certi aspetti che poi hanno portato a questo magnifico risultato". I magistrati bolognesi sono infatti riusciti a dimostrare (ma restano due gradi di giudizio) che - oltre agli ex Nar Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, condannati in via definitiva (i primi due all'ergastolo, il terzo a 30 anni), e Gilberto Cavallini (il quarto Nar condannato anch’egli all’ergastolo ma in primo grado) - anche Paolo Bellini avrebbe partecipato all’attentato come quinto uomo del gruppo neofascista. Tutti e cinque - Bellini compreso - si sono sempre dichiarati innocenti. Anche questa mattina l’ex di Avanguardia Nazionale ha ribadito la sua innocenza dicendo all’AdnKronos di non essere stato “a Bologna il 2 agosto 1980”. Bellini, 69 anni, era stato già indagato per la strage all'inizio degli anni '80 e prosciolto nel 1992, ma nel marzo del 2019 la procura generale di Bologna - che aveva avocato l'inchiesta sui presunti mandanti, organizzatori e finanziatori della strage, vale a dire Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D'Amato e Mario Tedeschi, tutti deceduti - ha chiesto la revoca del proscioglimento iscrivendolo nel registro degli indagati insieme all'ex capocentro del Sisde di Padova Quintino Spella (contro il quale non si è potuto procedere perché deceduto nel gennaio 2021), Piergiorgio Segatel, entrambi accusati di depistaggio, e Domenico Catracchia. A carico di Bellini sono emersi, fra gli altri, quelli che per i magistrati bolognesi sono elementi certamente probanti: un fotogramma di un filmino amatoriale, girato da un turista a Bologna la mattina del 2 agosto 1980, nel quale si vedrebbe quello che per gli inquirenti è il volto dell'imputato; un'intercettazione ambientale in cui l'ex capo di Ordine nuovo, Carlo Maria Maggi, afferma che alla strage prese parte un aviere (Bellini aveva il brevetto di pilota) che avrebbe portato la bomba; infine, come emerso nel processo di Palermo sulla Trattativa Stato-mafia (nel quale Bellini è stato sentito come collaboratore di giustizia), i rapporti fra l'imputato e Sergio Picciafuoco (morto di recente), vicino all'estrema destra e presente alla stazione di Bologna il 2 agosto del 1980 (Picciafuoco è stato assolto dall'accusa di aver preso parte all'attentato).
Il processo e la svolta del Super 8
Il 15 febbraio del 2021, il gup di Bologna, Alberto Gamberini, ha rinviato a giudizio l’ex primula nera insieme a Segatel e Catracchia (per i quali, oltre al risarcimento dei danni, la corte oggi ha stabilito l’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale durante l'esecuzione della pena). “Abbiamo rischiato che fosse tutto archiviato”, aveva commentato Bolognesi. La procura generale è riuscita a fare “una completa 'discovery’”, come aveva dichiarato l'avvocato generale della Procura di Bologna, Alberto Candi, dopo la decisione del gup di mandare a processo gli indagati. “Vedremo se ci saranno ulteriori elementi che affioreranno”, aveva aggiunto. E ulteriori elementi sono difatti emersi, di primissima importanza. Si tratta di un filmino amatoriale Super 8 di Arold Polzer, un turista svizzero, girato la mattina del 2 agosto, contenente riprese dei momenti immediatamente precedenti e successivi alla Strage dal quale pare si intraveda tra la folla un uomo avente le fattezze di Bellini. Da quel filmino, che già nel 2019 aveva catturato l’attenzione della procura generale, è stato estrapolato un fotogramma che dopo alcune perizie, insieme alla ripresa della scena, è stato mostrato per la prima volta in aula all’ex moglie di Bellini il 21 luglio scorso che ha affermato: ''Sembra mio marito, è Paolo, perché ha una fossetta qua, ha i capelli più indietro ma è comunque lui''. Da qui, la svolta del processo. Bellini ha continuato a proclamarsi estraneo alla strage: ''Non ho niente a che spartire'' con l'attentato, ha sostenuto in udienza parlando di ''delitto infame'', per poi aggiungere: ''Nel modo più assoluto non sono io nel filmato del turista straniero''. Bellini ha sostenuto che la notte fra l'1 e 2 agosto del 1980 era in ospedale a Parma dal fratello, e che la mattina sarebbe partito da Scandiano per Rimini con la nipote Daniela. Un alibi di ferro, che per anni è stato confermato dall’ex moglie. Ma che solo di recente la donna ha ammesso di essere una falsità, la donna ha infatti confessato di aver mentito agli inquirenti nel 1983. "Nel 2010 sono stata male e ho avuto una crisi di coscienza dopo un percorso spirituale. In quel momento mi vennero i dubbi, perché Paolo arrivò tardi a Rimini e in auto accese la radio e disse 'vediamo che è successo', poi mi guardò con occhi non sinceri”, ha detto in aula la Bonini lo scorso dicembre. Tornando al Super 8, la ''non compatibilità'' fra Bellini e l'uomo ritratto nel filmato è stata poi sostenuta anche dai consulenti della difesa. Nella sua requisitoria il pg Umberto Palma ha sostenuto, al contrario, che Bellini era "presente in stazione a Bologna il 2 agosto", che ''è stato un killer di Avanguardia Nazionale'', killer ''protetto dai servizi segreti, a partire dall'omicidio di Campanile''. Avanguardia Nazionale, ha sottolineato il pg, ''non può essere stata tenuta fuori dalla strage, non può essere resa estranea a questo attentato, che coagulava varie forze eversive". Avanguardia Nazionale, ha chiosato, è "l'anello di congiunzione tra il vertice finanziario-organizzativo della strage di Bologna" e Bellini, ''che fu un militante operativo di Avanguardia Nazionale, quanto meno nella metà degli anni settanta". Per il pg, inoltre, l'ex moglie di Bellini ''merita una patente di assoluta credibilità'' per aver ''demolito l'alibi dell'ex marito, che lei stessa aveva aiutato a creare". I magistrati, che il 25 febbraio scorso avevano chiesto la condanna all'ergastolo con isolamento diurno per 3 anni a Bellini (chiesti 6 anni per Segatel e 3 anni e 6 mesi per Catracchia), sostengono di avere in mano ''macigni probatori'' nei confronti dell’ex primula Nera. Nella sua arringa l'avvocato Antonio Capitella, uno dei difensori di Bellini, ha tentato di smontare le accuse: ''Noi - ha sostenuto - pensiamo che Bellini sia qui, in parte per il video, ma anche perché questo processo necessitava di un imputato vivo per tenere in piedi l'azione penale, altrimenti ci sarebbe stata una archiviazione". E poi: ''Cosa c'è nel processo che fa incrociare la strada di Bellini con quelle di Fioravanti, Cavallini, Mambro e Ciavardini? Niente". Quanto alla versione dell'ex moglie di Bellini, il legale ha aggiunto: ''Le dichiarazioni di Maurizia Bonini'' sono ''un po’ costruite, qualcuno ha convinto la signora Maurizia che Paolo aveva predisposto l'alibi portandosi la nipote, ma questo presuppone che sapesse che l'attentato era il 2 agosto. Eppure non lo sapeva Cavallini, non lo sapeva Ciavardini, come poteva saperlo Bellini?''. Tutte osservazioni che i legali cercheranno di far valere nuovamente in appello che hanno annunciato presenteranno.
La lunga strada per la verità
Come detto, insieme a Paolo Bellini, ci sono altri neofascisti ritenuti responsabili dell’attentato del 2 agosto: gli ex Nar Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini (quest'ultimo minorenne all'epoca dei fatti e pertanto il suo percorso giudiziario seguirà un’altra strada). Tutti e tre si sono sempre dichiarati innocenti. Nonostante le indagini si instradarono immediatamente sulla pista neofascista - un atto terroristico da molti indicato fin da subito come parte della strategia della tensione in cui sarebbero stati coinvolti criminalità organizzata e servizi segreti deviati - l’iter giudiziario, negli ultimi 42 anni, è stato lunghissimo.
È l'11 luglio del 1988 quando Mambro e Fioravanti vengono condannati all'ergastolo come esecutori materiali della Strage insieme ai presunti complici estremisti di destra (la stessa sentenza condanna per depistaggio, fra gli altri, il numero uno della P2 Licio Gelli, mentre per banda armata viene condannato anche Cavallini). Il 18 luglio del 1990, però, il colpo di scena: la Corte d'Assise d'Appello di Bologna, infatti, assolve dall'accusa di strage tutti gli imputati, Mambro, Fioravanti e gli estremisti di destra Massimiliano Fachini e Sergio Picciafuoco (Licio Gelli e Francesco Pazienza vengono assolti dall'accusa di calunnia, mentre il Venerabile e tutti gli altri imputati sono assolti anche dall'accusa di associazione eversiva). Mambro, Fioravanti e Cavallini vengono invece condannati per banda armata. Il 12 febbraio del 1992 è il giorno del secondo colpo di scena. Le Sezioni unite penali della Corte di Cassazione, infatti, se da un lato rendono definitive tutte le assoluzioni per associazione sovversiva, dall'altro, definendo la sentenza d'appello ''illogica, priva di coerenza, scarsamente motivata'', rispediscono sul banco degli imputati per strage Mambro, Fioravanti, Fachini e Picciafuoco. Il 16 maggio del 1994, nel processo d'appello bis, Mambro, Fioravanti e Picciafuoco vengono condannati all'ergastolo come autori dell’attentato, assolto l'ideologo 'nero' Franchini (confermata l'accusa di depistaggio per Gelli e Pazienza e gli ex vertici del Sismi, e per banda armata di Fioravanti, Mambro, Cavallini e Picciafuoco).
Secondo la sentenza, dunque, furono gli ex Nar a collocare la bomba nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione di Bologna. Sentenza confermata dalla Corte di Cassazione il 23 novembre del 1995, quando Mambro e Fioravanti vengono condannati definitivamente all'ergastolo (assolto Fachini, mentre per Picciafuoco la Suprema Corte annullò la sentenza disponendo un nuovo processo, che si è concluso con la sua assoluzione definitiva per la strage). La Cassazione condanna per depistaggio anche Gelli, Pazienza e gli ex ufficiali del Sismi. Quanto a Ciavardini, nel marzo del 1991 il Gip del Tribunale dei minorenni di Bologna respinse la richiesta di archiviazione nei suoi confronti per la strage del 2 agosto, fissando l'udienza preliminare. Un anno dopo Ciavardini, che si trovava in carcere per l'omicidio del giudice Mario Amato, viene rinviato a giudizio per concorso nella Strage. Il 30 gennaio del 2000 il Tribunale dei minori lo assolve per il reato di strage, condannandolo a 3 anni per banda armata. Il 9 marzo del 2002, però, la Sezione minori della Corte d'Appello di Bologna lo condanna a 30 anni di carcere indicandolo come esecutore dell'attentato alla stazione, accusato di aver portato la valigia con l'esplosivo. Ma la sentenza viene annullata con rinvio il 17 dicembre del 2003 dalla Prima sezione penale della Corte di Cassazione (che rende definitiva, invece, la condanna per banda armata). Poco meno di un anno dopo, il 13 dicembre del 2004, la Sezione minori della Corte d'Appello di Bologna si pronuncia nuovamente su Ciavardini, condannandolo per la seconda volta a 30 anni quale esecutore della strage.
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L’11 aprile del 2007 la Seconda sezione penale della Cassazione dichiara inammissibile il ricorso presentato dai legali di Ciavardini. La sentenza diviene definitiva. Ma intoppi giudiziari ci sono stati anche per quanto concerne l’inchiesta che ha portato al processo sui mandanti. Il 26 ottobre 2017 la Gip Francesca Zavaglia era entrata in aula per decidere la richiesta di archiviazione del fascicolo presentata dalla Procura ordinaria che riteneva che l’indagine andava cestinata perché anni di indagini non avevano portato a risultati apprezzabili. A inizio udienza, a sorpresa, si erano presentati però l'avvocato dello Stato Alberto Candi e il sostituto procuratore Nicola Proto con in mano una richiesta di avocazione dell'inchiesta: la Procura generale ha deciso di estromettere la Procura ordinaria e di continuare a scavare. Zavaglia ha quindi concesso “due anni per indagare, poi basta". I pm del procuratore Giuseppe Amato gestiranno solo il processo contro Gilberto Cavallini che ha portato alla sua condanna all’ergastolo il 9 gennaio 2020 per quella che i giudici della Corte d’Assise di Bologna presieduta dal giudice Michele Leoni hanno definito come “strage politica”. I magistrati del Procuratore Ignazio De Francisci invece continueranno a dare la caccia ai mandanti. Per completare il pool, a dare man forte a Candi e Proto, è arrivato il sostituto Umberto Palma. Oggi, a fine udienza, la procuratrice generale reggente Lucia Musti, ha ringraziato “il personale amministrativo e i magistrati tutti della Procura generale per l'eccezionale sforzo che hanno dovuto affrontare a seguito dell'avocazione delle indagini sulla Strage del 1980”. Musti, dicendosi soddisfatta “per la giustizia resa” ha anche ringraziato “la Corte di assise di Bologna per il lavoro svolto in tempi contenuti e ragionevoli in rapporto alla grande complessità della vicenda” e “le parti civili per il valido e sapiente contributo offerto nel corso di oltre quattro anni”. “Uno speciale ringraziamento - ha aggiunto - agli organi di polizia giudiziaria e ai servizi di intelligence, che hanno con efficacia e grande professionalità coadiuvato l'ufficio. Grazie anche alla stampa e i media che hanno seguito il processo e contribuito alla diffusione della conoscenza".
L’impegno di familiari e magistrati
Ed è proprio alla luce di questo marasma giudiziario, reso tale da innumerevoli reticenze istituzionali e depistaggi, che Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage del 2 agosto ha detto augurarsi in appello e Cassazione “non ci siano più rinvii e depistaggi e che i processi si svolgano senza intoppi". Quella di oggi, ha commentato Bolognesi a Lapresse, è una sentenza “che farà scuola" perché "il materiale emerso in fase istruttoria può riaprire tanti altri processi che, invece, si sono chiusi molto male". Bolognesi si è detto soddisfatto ma ha voluto sottolineare “non si può ancora dire che sia stata fatta completamente giustizia”. “Aspettiamo il processo di appello e poi la Cassazione”, ha affermato. Quel che è certo è che senza il loro sforzo, pazienza e tenacia, non si sarebbe ottenuta la riapertura di questo procedimento dopo quarant’anni, avvenuto in primis grazie all'opera di digitalizzazione degli atti e al proprio impegno istituzionale. Tuttavia, per Bolognesi non finisce qui. “Confido nel fatto che la mole di documenti uscita da questo processo potrà essere utile anche per altri processi riguardanti le stragi e non solo. E' l'inizio del percorso verso la verità, mancano le responsabilità politiche”, ha concluso.
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