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Ieri la presentazione dell’ultimo libro di Palazzolo sul potentato dei boss di Brancaccio

“Se mi succede qualcosa i picciotti sanno tutto”. Così diceva Totò Riina a Giovanni Brusca nel dicembre 1992. I picciotti erano due: Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano. Sono loro i custodi dei segreti di Cosa nostra. Uno è latitante, l’altro è in carcere. Sono loro i “simboli” di quella Mafia che ha compiuto le stragi costringendo lo Stato a scendere a patti. Patti che trent’anni dopo sembrano trovare un loro compimento con lo smantellamento di normative antimafia come quella sull’ergastolo ostativo. Anche di questo si è parlato ieri alla libreria “Feltrinelli” di Palermo, dove è stato presentato il libro “I Fratelli Graviano - Stragi di mafia, segreti, complicità” scritto da Salvo Palazzolo ed edito da Laterza.
All’evento, moderato dalla giornalista Elvira Terranova, oltre all’autore hanno partecipato il neo Procuratore generale di Cagliari, Luigi Patronaggio e l’attore Salvo Piparo.


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Il giornalista-scrittore, Salvo Palazzolo


Tanti anche i presenti. Del resto la storia dei Graviano, da qualche tempo, riscuote un certo interesse nell’opinione pubblica. Specie se si considera che lo stesso capomafia di Brancaccio, boss che ordinò la morte di don Pino Puglisi e che fu protagonista assoluto delle stragi del 1993, è tornato a lanciare messaggi all’esterno, accettando di rispondere alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nel processo ‘Ndrangheta stragista e a quelle dei procuratori aggiunti di Firenze, Luca Tescaroli e Luca Turco, che indagano sui mandanti esterni delle stragi.
“In questo libro, documentato con aneddoti esclusivi, Palazzolo racconta gli ultimi 30 anni attraverso il filo rosso dei fratelli Graviano - ha ricordato la Terranova - Loro, arrestati 28 anni addietro, ancora oggi recitano un ruolo per quello che dicono e, soprattutto non dicono. Anche in delle barzellette sembrano lanciare dei messaggi. Messaggi contenuti in lettere spedite al cugino Salvo. Ma a chi erano veramente rivolti quei messaggi?”.
Sono tanti gli interrogativi perché ci sono personaggi che usano linguaggi criptici, come il gelataio di Omega, Salvatore Baiardo. E c’è il linguaggio dei due boss di Brancaccio, così diversi tra loro ma entrambi figure chiave. Don Pino Puglisi li definiva come “la cappa del quartiere”.
Ed anche la storia del prete ucciso nel 1993 è presente nelle pagine del libro.





Le parole di 3P

Di quell’omicidio si occupò proprio Patronaggio che ha portato la sua testimonianza, ricordando come l’antimafia di Don Pino fosse concreta e reale, e non di facciata, come invece è tanta antimafia oggi. Per quel suo agire nel territorio venne isolato.
“Padre Pino Puglisi aveva un grande spessore e dava realmente fastidio - ha detto Patronaggio - Ci fu contro di lui un isolamento grande della società, ma anche della Chiesa che ebbe la pecca di non costituirsi parte civile al processo per l’omicidio. Questo delitto si inserisce nella logica di Brancaccio, ma anche in quell’atteggiamento che la Chiesa stessa stava adottando in quel momento. Poco tempo prima, infatti, ad Agrigento c’era stato il famoso discorso del Papa alla Valle dei Templi in cui si gridava: ‘Convertitevi!’. E in quell’anno c’erano anche state le stragi del 1993, con luoghi di culto che vennero colpiti. Una cosa strana. Perché se la strage di Capaci è di logica mafiosa con punti opachi, le stragi del 1993 è certo che sono altra cosa, con altra logica. Perché non si capisce come Riina possa decidere di colpire gli Uffizi o le chiese di San Giovanni in Laterano o San Giorgio al Velabro a Roma. O come si fosse programmata la strage alla torre di Pisa. Quindi nell’omicidio Puglisi c’è l’offesa ai Graviano, ma anche una strategia di attacco più vasta di Cosa nostra, non solo contro lo Stato, ma anche contro la Chiesa”.


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La moderatrice dalla serata, Elvira Terranova


Le notizie che ci sfuggono

Successivamente Palazzolo, oltre ad aver ricordato la propria esperienza vissuta accanto a Pino Puglisi, ha parlato dei troppi misteri che ancora sono presenti in questi trent’anni. “C’è bisogno di un racconto nuovo - ha detto - Perché c’è qualcosa che ci sfugge. Questo libro vuole essere un invito a guardarci attorno e raccontare, ognuno nel proprio ambito, ciò che non abbiamo capito. Nel libro ho cercato di mettere insieme appunti e cercato le carte spulciando anche le indagini dei nostri martiri. Così mi sono imbattuto in un vecchio rapporto del commissario Cassarà in cui si parla in maniera chiara di Michele Graviano, il padre dei due fratelli stragisti. Padre che forse rappresenta il vero nodo degli investimenti a nord. Ho quasi la sensazione che in questa città ci siano notizie, ma non ce ne accorgiamo. Come è possibile che non ci siamo accorti di questo rapporto di Cassarà? Quante altre intuizioni i nostri martiri avevano scoperto? Rileggere oggi le loro analisi è fondamentale per capire l’oggi”.
Sul punto Patronaggio è tornato spiegando il concetto di verità: “Oggi ci sono tre tipi. Quella reale, che è difficile da raggiungere. Quella processuale, che è molto limitata e che conta sulle carte. E quella dell’intellettuale, per dirla come Pasolini: ‘io so ma non ho le prove’”. Patronaggio ha espresso, da cittadino, anche la propria indignazione rispetto al tempo presente in cui personaggi condannati in via definitiva (Marcello Dell’Utri o anche Totò Cuffaro) siano tornati protagonisti di una certa attività politica invitando i presenti anche ad andare oltre a ciò che è scritto nella realtà processuale, che è comunque parziale.
Particolarmente coinvolgente è stato poi l’intervento di Salvo Piparo che ha letto alcuni passaggi del libro ed in particolare la riflessione su certe barzellette che tutto fanno tranne che ridere.


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Le parole non dette dai Graviano e l’ergastolo ostativo
Palazzolo, che per il libro ha anche riletto le trascrizioni delle dichiarazioni del boss di Brancaccio nel processo ‘Ndrangheta stragista, ha evidenziato come il capomafia “non citi mai Matteo Messina Denaro. E’ una strategia precisa. I mafiosi delle stragi non sono archeologia giudiziaria e carceraria. Loro hanno ancora segreti con cui possono ricattare il mondo della politica e della finanza e questi segreti, forse, fanno paura a qualcuno”.
Poi ha lanciato l’allarme sullo smantellamento dell’ergastolo ostativo. “E’ necessario che gli stragisti restino al carcere duro, che non è un messaggio di tortura - ha detto il giornalista di La Repubblica - Uno dei due fratelli dice di essere dissociato, ma non lo è. Io vorrei che queste storie fossero l’attualità. Non ci sono più manifestazioni per Palermo, forse ci siamo distratti. Si parla di smantellamento del 41bis e mi preoccupa tanto. Non vorrei che tra qualche anno i due fratelli fossero fuori. Messina denaro è fuori sicuramente perché i suoi segreti fanno paura. La partita della mancata cattura, che si incastra con Graviano ed i suoi messaggi, è truccata. Lo Stato spende 70 milioni di euro all’anno, ma Messina Denaro è un fantasma. Quando sembra che il blitz si avvicina lui sfugge sempre. Graviano conosce il segreto di questa partita e conosce cosa si dissero in una villetta fuori Palermo quando, nel febbraio 1993, loro, con Bagarella e Brusca, decisero le stragi del 1993”.


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Il magistrato e neo Procuratore generale di Cagliari, Luigi Patronaggio

Sempre sull’ergastolo ostativo è intervenuto Patronaggio il quale già al tempo della sentenza della Cedu disse che “forse l’odore del tritolo non arrivava a Strasburgo”. “Questo Stato si è pacificato con la mafia? - si è chiesto il magistrato - Esiste una pacificazione e un reciproco riconoscimento? No, si parla spesso di pentitismo e di dissociazione, ma non funziona così. Il collaboratore di giustizia, invece è un’altra cosa perché racconta e permette di indagare. La nostra legge permette un regime premiale per il pentito e nessuno per il dissociato. Con i terroristi ci fu una pacificazione, ma non con la mafia. Ci sono ancora misteri non ancora svelati e la pericolosità dei mafiosi non è mai cessata. L’ argomento dei 41bis è uno dei programmi portati avanti da Riina, come una trattativa, a volte illegale e altre che trova spazio nelle aule di Montecitorio. Ed è questo il gioco grande. Questo è uno Stato che ha basi fragili, non esiste altro Stato in Europa che ha questa pesante eredità e fin quando non facciamo i conti con questa eredità non si può parlare di 41 bis o di abolizione di ergastolo ostativo”.


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La ricerca della verità

Nel suo intervento il neo Procuratore generale di Cagliari ha anche parlato delle mancate verità, ricordato che ancora oggi ci sono interrogativi che “non sono solo interni a Cosa nostra, ma che abbracciano anche pezzi di stato”. E poi ancora ha ricordato: “In molte vicende di mafia entrano ad un certo punto soggetti che non sono Cosa nostra. Entrano in via d’Amelio sicuramente, ma questi apparati che rispondono ad una logica alta e altra li troviamo in tutti gli omicidi eccellenti: nella sparizione di documenti dalla cassaforte di dalla Chiesa. Noi sappiamo che ogni volta che c’è un omicidio eccellente c’è gente con “barba finta” che va a bonificare. Qual è la logica di questi apparati non legittimi, ma deviati? Questi apparati deviati pensano loro stessi di essere Stato e che gli altri, democrazia e elezioni, sono orpelli. Per cui stabiliscono loro chi, quando e come devono essere arrestati. Non abbiamo le prove ma ragioniamo in termini di ricostruzione logica. C’erano interrogativi nella mancata perquisizione del covo di Riina, nel mancato arresto di Provenzano, nelle stragi del '93. Noi non dobbiamo fermarci mai nel cercare questa verità. Ma mi domando: in questo stato serve questa verità? C’è davvero chi la vuole? Dal mio punto di vista, ancorché le criminalità organizzate sono cambiate, le basi democratiche di questo Paese non possono essere tali se non facciamo prima i conti con il passato”.


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L'attore palermitano, Salvo Piparo


Foto © Davide de Bari

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