Sul settimanale Oggi, a cento anni dalla nascita, la storia delle bobine sparite del film "Salò"
L’omicidio mai risolto di Pasolini, il cui corpo massacrato è stato rinvenuto la mattina del 2 novembre 1975, trascina con sé da decenni domande senza risposta che continuano a mantenere accesa la richiesta di verità sul movente che ha portato al massacro dello scrittore. E sui reali esecutori.
Tuttavia sia il processo, che ha visto la condanna del minorenne Giuseppe Pelosi a 9 anni e 7 mesi, sia le quattro riaperture di indagini, culminate tutte in archiviazioni, hanno seminato nel tempo innumerevoli indizi ed elementi che se messi tutti in fila e letti in controluce conducono a un’altra verità rispetto a quella sancita dalla magistratura nelle battute finali del processo dell’aprile del 79. Una condanna, questa in cassazione, che già a partire dalla sentenza d’appello, non riconoscerà più il “concorso con ignoti” asserito in primo grado.
Le ultime indagini preliminari aperte nel 2010 hanno raccolto documentazione e lavoro investigativo cospicui: in tutto 7 faldoni. Ma alla fine, nel 2015, il pm Francesco Minisci chiederà l’archiviazione che la GIP confermerà. Centoventi sospettati, diversi esami svolti dal RIS sui reperti e la conseguente estrazione dei DNA per individuarne i profili. Risultato: incerta la datazione dei profili sui reperti e un database del ministero che fa cilecca. E ancora: nuove interrogazioni, diversi approfondimenti costellati da ritrattazioni, omissioni, piste poco approfondite. Oltre alla foto dello scomparso Flavio Carboni su cui gli inquirenti anche si erano focalizzati per i suoi legami emersi nel tempo con esponenti della criminalità organizzata e la destra eversiva. In quei faldoni hanno fatto capolino poi le carte delle inchieste aperte in precedenza dopo il processo. La procura di Roma, infatti, aveva riaperto altre tre volte le indagini tra il 1987 e il 2005.
In quest’ultimo caso Pelosi, ribaltando le sue precedenti dichiarazioni, rivelò che quella notte con lui c’erano altre persone e che Pasolini non usò mai violenza su di lui. Tanti altri sono gli elementi su fonti aperte che ci consegnano un’altra verità ma è sul versante del movente che i passi fatti risultano nulli. Anche se le testimonianze relative all’espediente utilizzato per condurre lo scrittore all’Idroscalo (il furto delle ultime scene di Salò o le 120 giornate di Sodoma presso lo stabilimento Technicolor) presenti nelle carte dell’ultima inchiesta, uno spiraglio aperto lo lasciano. Ne parliamo con l’ex agente infiltrato della Dea Nicola Longo che a Oggi per la prima volta rivela: «Fui io nel 1976 a recuperare le pizze di quei film attraverso l’aiuto di un pezzo grosso della criminalità ormai deceduto, che per cercare di allentare un po' la mia presa sulla banda, al tempo, mi disse che avrebbero fatto ritrovare le pellicole. Mi portarono il campione di alcune scene sottratte dal Casanova di Fellini (anch’esso tra le bobine rubate nell’agosto del 1975) per provarmi che stavano dicendo il vero. Così acconsentii: fecero ritrovare tutta la merce rubata, comprese le pizze di Salò, nell’armadio blindato da dove erano state rubate». In precedenza, la produzione di Salò aveva deciso non sottostare ad alcun ricatto e di chiudere il film con altre scene di scarto, ma il regista aveva continuato a cercarle con l’aiuto di Pelosi, Sergio Citti e altri fino alla notte del 1° novembre con la sua Alfa GT. L’auto, che ancora tanti dettagli poteva rivelare nelle indagini successive, è stata ritrovata dopo 46 anni: non fu mai demolita come dichiarato invece da familiari e amici. Ormai irriconoscibile e sotto restauro di un privato, è l’ennesima delle verità sottratte a questa storia.
Di certo, riguardo alle bobine, c’è che il criminale che le fece riconsegnare non chiese nulla in cambio, come ci conferma Longo, l’ex Serpico infiltrato in tante operazioni fuori e dentro l’Italia che risolse la questione su richiesta della società produttrice americana del Casanova.
Quello che resta fuori da queste infinite code giudiziarie, però, sono le carte sparse tra documenti e lettere che conducono tutte alla pista di Piazza Fontana e della strategia della tensione. Una lettera datata 24 settembre 75 spedita da Pasolini a Giovanni Ventura implicato nella strage e allora in carcere, rivela l’esistenza di un carteggio tra i due pubblicato da chi scrive. In quel carteggio l’ex neofascista indica a Pasolini le correnti politiche della DC dietro le stragi e l’esistenza di un dossier pericoloso.
*Giornalista e scrittrice
Tratto da: Oggi Settimanale, uscito nella settimana del 3-10 marzo (titolo originale "Dimmi chi ha ucciso Pasolini”)
In foto: le ultime scene di Salò o le 120 giornate di Sodoma vengono montate a mo' di fotoromanzo alla fine della pellicola di Pasolini prossimo nostro che è una lunga intervista di Gideon Bachmann a Pasolini sul set del film