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A P. S. Giorgio l’incontro con Margherita Asta, Fabio Repici, Pippo Pollina, Antonella Beccaria ed Aaron Pettinari

Tra pochi mesi si celebrerà il trentennale delle stragi del 1992. Si può dire ancora che è stata solo Cosa Nostra ed eseguire quegli attentati? La sparizione della agenda rossa, il motivo dell’accelerazione dell’esecuzione della strage di Via d’Amelio in cui fu ucciso Borsellino assieme agli agenti di scorta. E' il contesto storico in cui si inseriscono questi tragici eventi che portano a credere che ci siano stati degli elementi esterni alla mafia che abbiano quantomeno partecipato all'ideazione, se non addirittura all’esecuzione, della strategia stragista.


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Non a caso il convegno tenutosi al teatro comunale di Porto San Giorgio il 4 marzo è stato intitolato “La mafia a 30 anni dalle stragi. Le verità nascoste e quelle rivelate”. E sono appunto quelle verità, sia nascoste che rivelate, le vere protagoniste dell’incontro a cui hanno partecipato Antonella Beccaria (come moderatrice) docente universitaria, giornalista e scrittrice, che ha pubblicato di recente il libro “I soldi della P2” insieme all'ex-magistrato Mario Vaudano e a Fabio Repici, avvocato di tante vittime di mafie, anch'egli relatore del convegno. Con loro, insieme a Pippo Pollina, anche Margherita Asta, figlia e sorella delle tre vittime della strage di Pizzolungo del 1985 e ora referente di Libera nel settore “Memoria” e Aaron Pettinari caporedattore di ANTIMAFIADuemila.


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Queste stragi e delitti eccellenti possono essere inserite molto probabilmente all’interno di “un contesto più ampio della storia politica e sociale ed economica del nostro Paese” ha detto il sindaco Nicola Loira anche lui presente in sala sottolineando l’importanza di “restituire una parte di verità” che permetta di consegnare ai “giovani un Paese più giusto e con meno misteri”. Le sue parole sono state poi riprese dall’assessora alla cultura Elisabetta Baldassari la quale ha invitato ad una riflessione “sulla giustizia rispetto alla legalità” ponendo l’attenzione sul senso di una “iniziativa come questa” rispetto ad un periodo come quello che stiamo vivendo.


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Il sindaco di Porto San Giorgio, Nicola Loira


Pizzolungo: una strage senza una verità completa
“La verità è in cammino e niente la potrà fermare” aveva scritto Émile Zola in riferimento allo scandalo che aveva colpito Alfred Dreyfus, ed è sempre così si potrebbe scrivere anche in merito alla strage di Pizzolungo avvenuta il 2 aprile 1985. Quella bomba si era portata via le vite di Barbara Rizzo e dei suoi due bambini, Giuseppe e Salvatore Asta. La terza figlia della signora Barbara, Margherita Asta, presente in sala, quel giorno si era salvata perché, come aveva ricordato lei stessa in un’intervista “quella mattina chiesi a mia mamma di poter andare a scuola con una vicina di casa, io avevo 10 anni”.


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Margherita Asta


Margherita durante il convegno ha detto di essersi resa conto che “mia madre e i miei fratelli” hanno “incontrato quel mostro che chiamare mafia è riduttivo” poiché, come per quell’attentato a danno di Giovanni Falcone all’Addaura (sventato nell’89), ci potrebbe essere stata la presenza di quelle “menti raffinatissime”.
Ad oggi, ha ricordato Margherita, “si sta celebrando un quarto processo per la strage di Pizzolungo (siamo in appello ci sarà un’udienza fissata il 25 di febbraio e un’altra ci sarà il 18 marzo) dove forse se verrà confermata la sentenza di condanna di Vincenzo Galatolo come uno dei mandanti della strage forse finalmente anche dal punto di vista giudiziario la strage di Pizzolungo sarà collegata a quella che era la strategia della mafia negli anni '80-'90 e sarà collegata alle stragi dal punto di vista giudiziario”.
Inoltre la figlia di Barbara Rizzo ha ricordato il lavoro del giudice Carlo Palermo (l’obbiettivo di quella bomba a Pizzolungo) il quale attraverso le indagini era riuscito a collegare il traffico di droga, quello di armi e la loggia massonica P2.


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Il passato che non è passato mai
Il periodo stragista l’Italia potrà lasciarselo alle spalle solo quando si riusciranno a scoprire tutte le verità. Tuttavia il passato sembra non passare mai poiché come ha ricordato il caporedattore di ANTIMAFIADuemila Aaron Pettinari “nel 92 inizia la guerra in Bosnia e oggi abbiamo una guerra in Ucraina, ci sono dei ricorsi storici spaventosi che tornano ogni tanto” come anche “le leggi che Falcone voleva sul 41-bis o magari sui collaboratori di giustizia e oggi queste stesse leggi vengono messe in discussione in Parlamento”.


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Il caporedattore di ANTIMAFIADuemila, Aaron Pettinari


“Io mi sono permesso - ha detto - di segnare una serie di fatti che sono accaduti: giugno ’89 fallito attentato all’Addaura, nel novembre dell’89 per certi versi diventa una data importante perché nasce la Lega Nord, nell’agosto del ’90 Andreotti svela l’esistenza di una struttura paramilitare che si chiama Gladio (struttura Stay-behind, dietro le linee, che operava con funzione anticomunista), nel novembre del ’90 vengono resi noti i nomi dei gladiatori, nel gennaio del ’91 c’è l’ultimo congresso del partito comunista Italiano, nel febbraio del '91 Martelli chiama Falcone al ministero di grazia e giustizia, il 9 agosto viene ucciso il giudice Scopelliti, giudice importate nella misura in cui era quello che doveva essere incaricato a giudicare il terzo grado di giudizio del maxi processo che arriverà a suo compimento nel gennaio del 1992”.


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Ricordiamo che prima di quel processo i boss mafiosi non avevano mai conosciuto l’ergastolo, quindi “nel gennaio del 1992 accade quello che accade (cioè le sentenze del maxi processo vengono confermate in Cassazione, n.d.r) e Totò Riina nel dicembre del ’92 fa l’ultima riunione dove dice che è arrivato il momento” di attivarsi per “togliersi i sassolini dalle scarpe”: uccidere i politici che in qualche maniera non hanno più garantito o non potevano più garantire l’impunità dell’organizzazione.
Cosa Nostra il 12 marzo del 1992 infatti poi uccide l’europarlamentare Salvo Lima - molto vicino a Giulio Andreotti - “un chiaro segnale”, come definito dal cantautore Pippo Pollina aggiungendo che “qualche cosa sarebbe cambiata da quel momento in poi”. Pollina ha poi ricordato la funzione politica di Cosa Nostra, in quanto storica orientatrice di voti e il passaggio storico della caduta del muro di Berlino, un’evoluzione geopolitica in cui le mafie avevano capito che “stava cambiando qualcosa anche per loro” ha aggiunto Pettinari.
Tanto che è emerso, ha raccontato il giornalista, da una intervista al collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo che “loro (la mafia, n.d.r) sapevano già ben prima del 1989 sapevano che dovevo investire nella Germania dell‘est”. La domanda emerge quindi spontanea: chi li aveva avvisati?


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La giornalista, Antonella Beccaria


Sulla nomina del capo del Dap
L’avvocato Fabio Repici, aprendo una parentesi all’interno del convegno, ha ricordato che è in corso la nomina del nuovo capo del Dap su cui già “si sono levate forti critiche tra gli altri da Salvatore Borsellino e da Maria Falcone e da tanti altri”. “Precisiamo una cosa: le norme sul 41- bis non le decide il capo del Dap, le decide il parlamento e le applicano i magistrati per cui naturalmente la gestione del 41 - bis da parte del capo del Dap non incide sulla ostativa dell’ergastolo o alla permanenza dell’ostatività dell’ergastolo per i detenuti di mafia. Certo è che in questo momento mettere a capo del Dap uno che espressamente ha detto che bisogna smetterla con l’antimafia arroccata nel culto dei martiri io ritengo che sia una cosa moralmente deplorevole”. “Si può pensare che non bisogna tenersi fermi nel ricordo dei martiri che sono morti per noi, non sono morti per interessi propri personali, e allora cosa facciamo, il 25 aprile bruciamo nelle piazze le lettere dei condannati a morte della resistenza? Abbandoniamo ogni valore sul quale noi siamo cresciuti nell’ottica della nostra costituzione?”.


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Strategia militare dietro le stragi di mafia
L’avvocato Fabio Repici nel suo intervento ha detto che “la strage di Capaci è stata probabilmente, fra tutte le stragi compiute in Italia, quella di maggiore complessità tecnica. Considerate che fu fornito un obiettivo che nelle previsioni avrebbe viaggiato a 110 - 130 chilometri orari con una azione esplosiva innescata da un telecomando a distanza di oltre cento metri”. Potevano dunque gli uomini di Cosa Nostra erroneamente spesso considerati dei “semplici macellai” in grado di “compiere quell’azione complicatissima?” Ha domandato il legale.
Ricordiamo che secondo le sentenze chi aveva premuto materialmente il pulsate era stato Giovanni Brusca - l’allora capo del mandamento di San Giuseppe Jato - ma Repici ha messo in evidenza un fatto che potrebbe aprire le porte ad ulteriori riflessioni: “L’artificiere della strage di Capaci, colui che si occupò della predisposizione dell’esplosivo sotto il canale di scolo dell’autostrada a Capaci si chiama Pietro Rampulla noto esponente del neofascismo Italiano che, secondo “le dichiarazioni importantissime di Nino Calderone, pentito catanese e fratello del capomafia Giuseppe Calderone, aveva imparato a maneggiare gli esplosivi da “apparati di sicurezza dello Stato”.


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Pietro Rampulla - ha ricordato il legale - era assente il giorno della strage per motivi di famiglia e il telecomando viene azionato da Giovanni Brusca che “senza aver mai provato quel telecomando neanche per ‘gioco’” riesce, almeno nella versione ufficiale a compiere questa strage complicatissima.
“A quel punto la storia - ha continuato il legale - comincia a correre e lo si vede attraverso le attività di Paolo Borsellino che freneticamente cerca di capire e di raggiungere la verità sull’uccisione del suo vecchio amico e collega”. Inoltre “Borsellino comincia a sentire due importanti collaboratori di giustizia: Leonardo Messina e Gaspare Mutolo quest’ultimo “narcotrafficante di Cosa Nostra che il primo luglio del 1992 comincia a rendere dichiarazioni a Paolo Borsellino. In quell’occasione accade una cosa enorme: fuori verbale Mutolo dice a Borsellino i nomi di alcuni soggetti istituzionali che hanno tradito lo Stato a favore di Cosa Nostra e fa i nomi: uno era un vecchio collega e parzialmente amico di Paolo Borsellino, il giudice Domenico Signorino (si suiciderà il 3 dicembre del 1992 dopo un interrogatorio da indagato alla repubblica di Caltanissetta) e l’altro è il dottor Bruno Contrada, all’epoca alto dirigente del SISDE. Lo stesso che verrà poi condannato a 10 anni per “fatti di collusione con importanti uomini di Cosa Nostra”. Inoltre lo stesso funzionario dei servizi segreti, ha sottolineato Repici, il 20 luglio 1992 (quindi il giorno dopo la strage di via D’Amelio, n.d.r) era stato convocato dall’allora procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra per conferirgli illegalmente l’incarico di indagare sulla strage di Via D’Amelio.


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L'avvocato, Fabio Repici


Repici ha poi ricordato l’episodio avvenuto il primo luglio del 1992. Borsellino era a Roma per interrogare in gran segreto Mutolo, durante l’incontro con il pentito il giudice aveva ricevuto una telefonata dal Viminale: un invito dal ministro, che vorrebbe salutarlo. Nell’anticamera, Borsellino si era ritrovato solo, perché nello studio di Mancino era entrato il suo collega Vittorio Aliquò. È a quel punto che era arrivato Contrada il quale gli aveva fatto una battuta sulla collaborazione di Mutolo. Quella stessa sera Borsellino aveva detto alla moglie Agnese: “Ho respirato aria di morte”. E ancora: “I miei clienti non sono più quelli di una volta. Avrò a che fare con nuovi clienti”.


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Il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino viene assassinato assieme agli uomini della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Il prefetto di Fermo Vincenza Filippi ha ricordato “l’emblematico discorso dell’agenda Rossa”, simbolo della “verità mancata” come definita da Aaron Pettinari. Su quell’agenda infatti Borsellino annotava i risultati delle sue indagini e uccidere il giudice senza poi farla sparire non sarebbe servito a nulla. “L’agenda non l’ha presa Riina o Giuseppe Graviano ha concluso Repici ma “un uomo dello Stato”. Ad oggi chi sia stato a sottrarla dalla macchina ancora fumante del giudice rimane processualmente non ancora stabilito tuttavia come per la strage di Pizzolungo ‘la verità è in cammino’ e non è escluso che dalle indagini della procura di Firenze potrebbero uscire delle nuove scoperte anche in questo senso.

Foto © Davide de Bari

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