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Con 224 sì al Senato e più di 500 alla Camera l’Italia segue l’Ue a sostegno dell'Ucraina

Mai prima d’ora, nella storia europea, un Presidente del Consiglio ha chiesto al Parlamento italiano di approvare una manovra volta ad inviare armi a un Paese in guerra. Una scelta "senza precedenti” quella enunciata ieri dal premier Draghi, a cui è seguita una votazione di larghissima maggioranza. L’ennesimo decreto-legge, l’ennesima riforma e/o manovra chiesta dall’Europa dinnanzi alla quale non vi è diniego né mancato gradimento che tenga. Si deve fare sì o sì.

Voglio ribadire ancora una volta tutta la mia solidarietà, quella del Governo e degli italiani al presidente Zelensky, al Governo ucraino e a tutte le cittadine e i cittadini dell'Ucraina. L’Italia non intende voltarsi dall'altra parte” di fronte all'attacco "ingiustificato" e "brutale" sferrato dalla Russia all'Ucraina, ha detto il premier alle Camere.

Una "condanna compatta dell'orrore", quella del Presidente del Consiglio, che nel suo discorso ha invitato Vladimir Putin ad "ascoltare le voci" dei russi in protesta e ad "abbandonare i suoi piani di guerra". E dinnanzi a tali parole il Parlamento non ha esitato, approvando quasi all’unanimità la scelta “senza precedenti”: 224 sì al Senato, dai 459 ai 521 sì alla Camera (tenendo conto che la mozione è stata qui frazionata in 12 parti) e la bocciatura di tutte le mozioni contrarie “con molte perplessità espresse sottovoce e qualche defezione anche nella maggioranza”, riferisce una nota dell’ANSA.

Una risoluzione bipartisan, dunque, che dà il via libera alle concessioni di armi "per la legittima difesa" degli ucraini e il ritiro immediato delle truppe di Putin, insieme al sostegno ad ogni iniziativa utile a una de-escalation militare e alla ripresa dei negoziati tra Kiev e Mosca, ha affermato Draghi.

Le minacce di far pagare con ‘conseguenze mai sperimentate prima nella storia’ chi osa essere d’intralcio all’invasione dell’Ucraina, e il ricatto estremo del ricorso alle armi nucleari, ci impongono una reazione rapida, ferma, unitaria, tollerare una guerra d’aggressione nei confronti di uno Stato sovrano europeo vorrebbe dire mettere a rischio, in maniera forse irreversibile, la pace e la sicurezza in Europa”, ha detto Draghi alle Camere. Per il premier mandare gli aiuti militari non significa essere "rassegnati" alla guerra. Non serve "cercare un ruolo", come molti parlamentari hanno chiesto, ma continuare a cercare la pace - e "potete contare che lo farò con tutta la mia volontà, senza pausa", ha sottolineato il Premier - in un momento in cui è "difficile" perché "chi ha più di 60 chilometri di carri armati davanti le porte di Kiev non vuole la pace in questo momento".

Detto ciò, però, sorgono spontanei alcuni dubbi. Il primo: perché Draghi ha parlato di ripresa dei negoziati, quando gli stessi stanno procedendo nonostante le difficoltà? Inoltre, il decreto-legge appena varato dal Governo - inedito per il nostro Paese – non è in contrasto con l’Art.11 della Costituzione italiana e con il Trattato Nord Atlantico della Nato (di cui l’Ucraina non fa parte)? Stando al Patto Atlantico, infatti, le parti si dovrebbero impegnare a “mantenere ed accrescere la loro capacità individuale e collettiva di resistere ad un attacco armato” (Art.3) e “consultarsi ogni volta che, nell'opinione di una di esse, l'integrità territoriale, l'indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti fosse minacciata” (Art.4).

Ma il dialogo, stando a quanto riferito da Draghi al Parlamento, sembrerebbe rimanere la via maestra. Il Premier ha anche denunciato la gravità del momento, "il ricatto estremo del ricorso alle armi nucleari ci impone una reazione rapida, ferma e soprattutto unitaria”. Il Presidente del Consiglio ha poi rinnovato l'invito della Farnesina a lasciare il Paese, con ogni mezzo, e ha posizionato l'Italia in prima fila anche sul fronte della crisi umanitaria. Ha anche chiesto a Bruxelles di ripensare le regole sui migranti - semplificando le procedure - spiegando che l’Italia è pronta ad accogliere i profughi. Ribadendo che sono già stati inviati i fondi all'Ucraina, stanziate le risorse in Italia per l'assistenza e che il governo è pronto a fare "tutto il possibile", anche nei Paesi sul confine del conflitto, per far fronte "all'impatto di questa gigantesca migrazione".

Altro tema affrontato è quello delle sanzioni. Il premier si è detto pronto ad intensificare ancora le sanzioni economiche ai danni della Russia, tra le proposte quella di un registro pubblico degli oligarchi vicini a Putin. Il piano contro la crisi energetica impone di diversificare le fonti, di guardare anche ai rigassificatori e al carbone (senza aprire nuove centrali). Consapevole del peso di tali affermazioni, Draghi ha ribadito che “non cambia" le scelte di fondo sulla transizione energetica e la lotta ai cambiamenti climatici. Ma i fatti dicono il contrario. Nonostante si tratti di piano di emergenza - perché non ci sono problemi, almeno per ora, nell'immediato futuro (l'Italia ha molto da perdere se Mosca decidesse di interrompere le forniture di gas) - tali affermazioni hanno reso bene l’idea della situazione energetica in Italia: nei prossimi mesi, o anni, il settore di produzione energetica sarà convertito al ribasso, condannandolo ad una retrocessione di almeno 50 anni. Alla faccia della “transizione ecologica”.


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La lista del materiale bellico
Tornando al tema centrale - la vendita di materiale bellico nostrano all’Ucraina - nell’“elenco della spesa” vi sono missili, mortai, bombe, mitragliatrici ed equipaggiamenti che, come previsto dal decreto approvato dal Governo, verranno consegnati direttamente all’Ucraina grazie all’aiuto logistico della Nato “fino al 31 dicembre”, data in cui terminerà lo stato di emergenza appena dichiarato, ma “previa risoluzione delle Camere”. Le armi arriveranno con un ponte aereo alla frontiera e poi saranno messe a disposizione di Kiev con trasferimento terrestre.

L’elenco riservato allegato al decreto del governo prevede di inviare: “Mortai 120mm, bombe da mortaio 120m, lanciatori Stinger, mitragliatrici pesanti Browning, colpi browning, mitragliatrici leggere MG, colpi MG, lanciatori anticarro, colpi anticarro, razioni K, radio Motorola, elmetti, giubbotti”. Inoltre, raddoppierà le forze aeree presenti in Romania “in modo da garantire copertura continuativa, assieme agli assetti alleati”.

Sono centinaia i mortai e le mitragliatrici così come i lanciatori, milioni le munizioni, migliaia gli elmetti e i giubbotti, oltre alle Razioni K, il pasto giornaliero destinato a chi combatte”, scrive Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera.

Lo Stinger è un missile terra-aria ‘spalleggiabile’ con testata a ricerca di calore e dunque segue le scie di calore emesse dagli aeroplani. Ha corta gittata ma è molto efficace per la difesa di breve distanza. Può essere operato da 1-2 persone - spiega la giornalista -. I mortai da 120 sono invece artiglierie a tiro curvo ritenuti efficaci nel combattimento contro personale e mezzi leggeri in posizioni difensive e nelle aree urbane”.

In tutto ciò l’Unione Europea si è già avviata. Molti Stati, infatti, hanno già provveduto a rifornire il governo di Volodymyr Zelenskyj con armamenti, soldati ed equipaggiamenti come ad esempio tende, caschi, giubbotti, ospedali da campo, ma anche Toyote e apparecchiature satellitari. Dopo la chiusura dello spazio aereo, Ursula Von der Leyen ha annunciato che “per la prima volta in assoluto l’Unione europea finanzierà l’acquisto e la consegna di armi ed equipaggi per un Paese sotto attacco”, ribadendo come “questo è un momento di svolta”. La Nato, invece, rafforza i dispositivi di difesa e deterrenza della stessa per “preservare l’integrità dell’alleanza, rafforzando la capacità di sorveglianza e la prontezza nel rispondere a eventuali minacce”.

Stando a quanto riportato nel decreto approvato dal Governo, “il contributo nazionale consiste nell’attivazione delle capacità relazionali rese disponibili nell’ambito delle forze alleate ad elevata prontezza”. Lo stesso è articolato così: “Un comando di componente per operazioni speciali e relative capacità operative e correlate; una unità del genio militare per il supporto delle operazioni terrestri; aeromobili per la ricerca e soccorso di personale isolato; la raccolta informativa; il trasporto tattico e il rifornimento in volo. La consistenza massima del contingente nazionale è di 1350 unità”. Attualmente il comando delle Forze speciali della Nato è italiano nell’ambito dell’assegnazione degli incarichi a rotazione e dipende direttamente dallo Stato Maggiore del ministero della Difesa.

Insomma, è chiaro che anche il nostro Paese, con il decreto approvato dal Parlamento, ha deciso di sedersi al tavolo per giocare la sua partita al Risiko in nome della “diplomazia”. In fin dei conti, ce lo chiede l’Europa.

Foto © Imagoeconomica

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