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Messi dei paletti, ma non basta

La disciplina dell'ergastolo ostativo, espressa nell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario in cui si vieta di liberare i boss stragisti condannati all'ergastolo, se non collaborano con la giustizia, "è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo". Erano questi i termini usati dalla Corte Costituzionale il 15 aprile del 2021 intervenendo sulle questioni di legittimità sollevate dalla Cassazione sul regime applicabile ai condannati alla pena dell'ergastolo per reati di mafia e di contesto mafioso che non abbiano collaborato con la giustizia e che chiedano l'accesso alla liberazione condizionale. Al tempo la Consulta si rese conto che "l’accoglimento immediato delle questioni rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata” e concesse al Parlamento un anno di tempo per modificare la norma. Oggi il primo passo in tal senso è stato fatto  con l'approvazione in Commissione giustizia di un testo che adesso dovrà essere discusso ed approvato in Parlamento.
Non sarà facile, tenuto conto che il testo definitivo è frutto di mesi di lunghe discussioni e battaglie.
Nel frattempo erano stati sentiti autorevoli addetti ai lavori e sicuramente si può dire che si è cercato di mettere alcuni paletti per ridurre il più possibile il rischio che gli irriducibili boss, come gli stragisti, possano effettivamente uscire dal carcere. "Abbiamo approvato il testo del nuovo articolo 4 bis dell'ordinamento penitenziario, sono soddisfatto, è un ottimo lavoro. Nel rispetto dei principi costituzionali e della sentenza della Consulta, il testo ribadisce che la lotta alla mafia è una priorità che non può far abbassare la guardia dello Stato" ha commentato Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia della Camera e relatore del provvedimento. Poi ha aggiunto: "Con la norma approvata potranno godere dei benefici penitenziari solo quei mafiosi che abbiano realmente provato di aver interrotto qualsiasi contatto con il sodalizio criminale e, dunque, di non rappresentare più alcun pericolo per la società".


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Il presidente della commissione Giustizia della Camera, Mario Perantoni


Le modifiche all'art.4-bis
Tra le principali modifiche apportate all'art. 4-bis si legge: "I benefici possono essere concessi ai detenuti e agli internati per i delitti ivi previsti, anche in assenza di collaborazione con la giustizia ai sensi dell'articolo 58-ter o dell'articolo 323-bis del codice penale, purché gli stessi dimostrino l'adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l'assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall'organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile. Al fine della concessione dei benefici, il giudice di sorveglianza accerta altresì la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa".
Inoltre viene modificato nel primo comma il testo sul divieto di scioglimento del cumulo laddove si dice che "la disposizione del primo periodo si applica altresì in caso di esecuzione di pene concorrenti inflitte anche per delitti diversi da quelli ivi indicati, in relazione ai quali il giudice della cognizione ha accertato che sono stati commessi per eseguire od occultare uno dei reati di cui al primo periodo, ovvero per conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’impunità di detti reati".
Nel testo viene definito che a decidere sulle richieste di benefici presentate da chi è condannato per reati di Mafia e terrorismo dovranno essere i Tribunali di sorveglianza e non il giudice monocratico. Tuttavia, c'erano stati magistrati come il consigliere togato Nino Di Matteo, che avevano evidenziato l'opportunità di individuare in un unico Tribunale di sorveglianza (magari individuabile in quello di Roma che già avviene per i ricorsi e i reclami in tema di 41bis) a cui demandare le decisioni su queste istanze.
Infatti potrebbe presentarsi una frammentazione di competenze che potrebbe portare a pericoli per gli stessi giudici. "Pensate al rischio che un giudice di sorveglianza che debba decidere sulla concessione della liberazione condizionale ad uno stragista, decida in maniera difforme (magari negando l’accoglimento di quella richiesta) rispetto ad un altro giudice di sorveglianza" di un'altra sede che in un caso analogo abbia ritenuto invece di concedere la liberazione condizionale - aveva ricordato il magistrato sentito in Commissione giustizia - Più si frammenta più aumenta il rischio di condizionamenti impropri e poi di ritorsioni o vendetta nei confronti dei giudici di sorveglianza che decidono con competenza frammentata nel territorio. Inoltre, l’altro rischio che vedo particolarmente concreto è quello della formazione di una giurisprudenza oscillante che nel tempo finirebbe con il consolidarsi, con l’adeguarsi alle pronunce più favorevoli ai condannati che hanno presentato un’istanza. In presenza di più pronunce, di più orientamenti giurisprudenziali, fatalmente nel tempo la tendenza sarà quella di adeguarsi alla giurisprudenza meno rigorosa". Sul punto si potrà intervenire anche in Parlamento.


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L'onere della prova per i pareri
Sicuramente si può guardare con favore il coinvolgimento del pubblico ministero distrettuale o circondariale che aveva rappresentato l’accusa nel processo di primo grado nei confronti del soggetto poi condannato definitivamente, nella formulazione dei pareri. Il pm, infatti, può offrire un contributo importante per valutare l’esistenza di collegamenti attuali fra l’istante e l’organizzazione mafiosa. Non solo. Nel testo vi è un importante paletto per cui, qualora vi sia un parere negativo da parte delle Dda competenti, o della Procura nazionale antimafia, è sempre a carico del ricorrente il dover dimostrare l'insussistenza del parere contrario. E' scritto nel documento che "quando dall’istruttoria svolta emergono indizi dell’attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica e eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti, è onere del condannato fornire, entro un congruo termine, idonei elementi di prova contraria. In ogni caso, nel provvedimento con cui decide sull’istanza di concessione dei benefici il giudice indica specificamente le ragioni dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza medesima, tenuto conto dei pareri acquisiti ai sensi del quarto periodo". Nello specifico questo era un punto centrale.

Il tema della collaborazione con la giustizia
Alla luce del testo vi sono dei passi avanti, ma restano alcune criticità in particolare per quel che concerne l'incentivo alle collaborazioni con la giustizia che, alla luce della nuova normativa sul 4-bis, rischia di svuotarsi nella sua essenza, in assenza di ulteriori agevolazioni.
Numerosi magistrati avevano evidenziato come una sostanziale abolizione dell'Ergastolo ostativo potrà avere un effetto deflattivo sulle collaborazioni di livello con la giustizia degli uomini di onore.
Perché così facendo verrebbe meno la differenza di trattamento tra irriducibili stragisti e chi collabora con la giustizia e, di conseguenza, potrà ridurre il numero dei potenziali collaboratori di giustizia.
Per questo è necessario che il legislatore sia più netto nell'attribuire determinati vantaggi ai detenuti che collaborano con la giustizia.
Forse si potrebbe anche insistere sul concetto di "giustizia riparativa", allargando alla ricostruzione della verità su episodi criminali storici gravissimi (come ad esempio le stragi, ndr). Indubbiamente il nostro è un Paese che ha subito una forma di illegalità sistemica che non riguarda solo le vittime dirette, ma l'intera società.
In questo senso, così come aveva suggerito la Fondazione Falcone, si potrebbe valorizzare il contributo del detenuto, non per forza esplicitatosi in una vera e propria collaborazione con la giustizia, ma per la realizzazione di quello che viene definito diritto alla verità.
E magari potrebbe essere utile che il legislatore riduca il più possibile la discrezionalità del giudice indicando ulteriori criteri per un corretto bilanciamento dei valori costituzionali che entrano in gioco.
Tante idee sul tavolo che potranno essere anche ridiscusse in Parlamento. Al 10 maggio, termine ultimo concesso dalla Consulta, mancano due mesi. E per impedire il disastro nell'anno delle stragi c'è ancora molto da fare.

Foto © Imagoeconomica

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