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Il magistrato a Micromega: “Campagna contro i magistrati. A rischio garanzie collettive”

Nel mirino c’è ormai il pm, indicato come il responsabile di ogni male della giustizia”. Sono parole amare quelle pronunciate da Luca Tescaroli, procuratore aggiunto di Firenze, intervistato dalla rivista Micromega in merito al Referendum della Giustizia e ai quesiti ammessi di recente dalla Corte Costituzionale. Il magistrato sulle prerogative adottate dalla Corte senza voler scendere a valutazioni di carattere politico, ha premesso che “le regole della democrazia impongono il rispetto delle decisioni prese” ma si augura “che il Parlamento intervenga in tempo utile per assicurare riforme che siano ragionate, meditate, equilibrate sui temi che coinvolgono la giustizia in una stagione in cui continua a essere portata avanti una campagna di stampa di delegittimazione come mai era accaduto in passato”. Ciò che più lo fa riflettere, però, ha ammesso essere il quesito sulla separazione delle funzioni, delle carriere. “Chi fa parte della mia generazione non può dimenticare il Piano di rinascita democratica di Licio Gelli ritrovato durante una perquisizione, nel marzo del 1981, nella villa di Castiglion Fibocchi di Licio Gelli. Tra gli obiettivi del Piano, c’era proprio quello della separazione delle carriere”, ha spiegato Tescaroli. “Da un lato ‘gli inquirenti’, dall’altra ‘i giudicanti’. Se questo referendum dovesse essere approvato, potrebbero innescarsi dinamiche estremamente pericolose”, ha avvertito il procuratore aggiunto. “Il timore è che delle campagne stampa mirate possano alimentare la necessità di questa separazione con il celato obiettivo di sottoporre i pm al potere politico”. “Il sistema vigente - ha ricordato il magistrato - già prevede per il passaggio da pm a giudice una serie di paletti ben chiari, limiti, condizioni precise. Inoltre, devo constatare come questo problema non è che sia così pressante, e lo dico basandomi su dati oggettivi: tra il giugno 2016 e il giugno 2019 i trasferimenti ‘da inquirenti a giudicanti’ sono stati solo ottanta. In direzione opposta appena 41. Parliamo di percentuali ridicole, 1.7 percento dei pm che ‘passa’ a giudice, lo 0.2% che compie il tragitto inverso. Nei fatti, questa separazione già c’è”, ha precisato Tescaroli.
E ancora. Secondo Tescaroli “se l’obiettivo di queste polemiche è alimentare il sospetto che il giudice non sia sereno davanti a un collega pm, il rischio è arrivare a conseguenze estreme. Non basterebbe separare le carriere ma giungere addirittura, faccio un esempio, alla separazione tra giudici di Appello e giudici di Cassazione”. Sulla scorta di ciò il magistrato ha riportato l’esempio dell’estero. Nei paesi in cui vige la separazione delle carriere, ha detto, c’è una “vera e propria dipendenza del pm dal potere esecutivo del governo in carica. Ed è una conseguenza quasi automatica”, ha sottolineato. “Reputo quindi singolare che in Italia si voglia, oggi, creare un netto iato tra le funzioni quando le parti più evolute della comunità internazionale vanno in direzione opposta”. Invece, secondo Tescaroli, rivestire entrambi i ruoli in una carriera sarebbe un “valore aggiunto nell’interesse, in primis, dei cittadini”. “Inoltre, è un arricchimento del magistrato in termini culturali. Abbiamo avuto casi di magistrati valorosi - che non ci sono più - eliminati dalle frange più agguerrite della criminalità del nostro Paese, penso ad Antonino Saetta, Rosario Livatino, ovviamente a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”.
Separare le carriere porterebbe a varie conseguenze e rischi secondo il magistrato della Dda di Firenze. “Il rischio principale è che venga creato un corpo di magistrati che si muoverà solo in tono accusatorio, come una proiezione della polizia giudiziaria. E questo andrebbe solo a detrimento delle garanzie del cittadino. Vogliamo davvero che i pm diventino il braccio armato della compagine governativa?”, si è domandato. “Oggi il pm svolge una doppia funzione, di ‘ricerca’ nelle fasi di indagine e di ‘tutela’ verso il cittadino al momento, sempre per fare un esempio, dell’acquisizione delle prove. È obbligato a vagliare anche gli elementi a favore degli indagati”. Tescaroli ha affermato che quella in corso nei palazzi del potere “ha le sembianze di una campagna politica volta a non informare correttamente i cittadini ma proiettata unicamente a solleticare gli istinti di rivalsa contro i magistrati”. Nel corso della sua intervista rilasciata al giornalista Daniele Nalbone, Tescaroli ha toccato anche il punto relativo ai limiti all’applicazione di misure cautelari, uno dei cinque quesiti promossi della Lega e dal Partito radicale approvato in Consulta. “Di fatto se passasse questo quesito, le misure cautelari si applicherebbero solo qualora per l’indagato, pur raggiunto da gravi indizi di colpevolezza e pur presente il rischio di reiterazione del reato, non sussista il concreto pericolo di fuga e di inquinamento delle prove”, è stato il commento di Tescaroli. “Di fatto, le misure cautelari diventerebbero inapplicabili al di fuori di una stretta cerchia di reati, come la criminalità organizzata, l’eversione, l’uso della violenza o delle armi. Niente custodia detentiva, quindi, per autori di gravi reati, anche seriali, contro la pubblica amministrazione, contro l’economia, contro il patrimonio, la libertà personale o sessuale delle persone. Truffatori seriali, bancarottieri e via dicendo sarebbero quindi liberi fino a condanna definitiva, e sconterebbero una pena detentiva solo qualora le condanne supereranno la soglia dei quattro anni di carcere”. La diretta conseguenza sarebbe, a detta del magistrato, “una palese caduta nella tutela delle garanzie collettive di sicurezza che, in un contesto sociale come quello italiano, sono forse la cosa più importante. Inoltre, il rischio è che dovendo - e sottolineo dovendo - ottemperare a una simile normativa, non potendo applicare la misura cautelare degli indagati pur colti in flagranza di reati che destano allarmi sociali, siano proprio i magistrati a finire travolti da una tempesta di rancore, per non dire di odio, da parte dell’opinione pubblica. Per la gente - ha concluso - saremmo noi i responsabili di “liberazioni” che mettono a repentaglio le persone offese, e la collettività”.

Foto © Paolo Bassani

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