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Ci eravamo già occupati del business dei rifiuti che coinvolge l’Umbria, nota per essere il cuore verde d’Italia che rischia però di diventare patria dell’incenerimento dei rifiuti CSS. Un’operazione mascherata da svolta green, di cui avevamo parlato riportando le istanze della popolazione che ha cura del territorio e dei beni comuni.
Questo accade a Gubbio, una delle città medievali più conosciute d’Italia, dove due colossi del mercato del cemento, Colacem S.p.A. e Cementerie Aldo Barbetti S.p.A., hanno deciso di bruciare nei loro altoforni, oltre all’inquinante petcoke, anche CSS, “Combustibile Solido Secondario”, così denominato grazie ad un artifizio normativo che definisce in questo modo diverse categorie di rifiuti, tra cui plastiche, vernici, pneumatici, scarti di tessuti animali, fanghi ed altri tipi di pattume inquinante.

Il parere delle autorità sanitarie
Le due multinazionali del cemento di Gubbio sono determinate a portare avanti questa operazione nonostante la forte opposizione dei cittadini, del Comune di Gubbio e delle autorità sanitarie che, tramite la USL Umbria 1, si sono espresse in modo chiaro sui rischi dell’incenerimento dei rifiuti in una città che da oltre cinquant’anni vede la presenza di queste due industrie, definite ufficialmente industrie “insalubri di prima classe” (così la legge definisce le cementerie). Rispetto alle emissioni nocive derivanti dalla combustione di CSS, la USL Umbria 1 nel suo parere tecnico dichiara “carenze più o meno accentuate soprattutto per ciò che concerne i possibili effetti, anche a lungo termine, sulla salute delle varie fasce di popolazione in termini di rischio incrementale (degenerativo anche neoplastico o mortalità) per ognuno degli inquinanti prevedibili". Tutto ciò, lo ricordiamo, dev’essere inquadrato nell’ottica di 100mila tonnellate di CSS che verranno bruciate ogni anno nei due impianti, che sono progettati per produrre cemento e non per incenerire rifiuti.
Nonostante la Regione Umbria abbia accolto la richiesta di Valutazione d’Impatto Ambientale (V.I.A.) dati gli oggettivi rischi ambientali e sanitari, i due colossi del cemento, hanno deciso di non sottoporsi al procedimento di V.I.A. e di proseguire quindi con l’incenerimento dei rifiuti appellandosi all’art.35 del d.l. 77/21 che consente alle aziende di bruciare rifiuti inviando una semplice richiesta a mezzo posta elettronica agli uffici regionali competenti, senza sottoporsi ad alcuna valutazione di impatto sanitario o ambientale. Incredibile ma vero.

Le mancanti valutazioni d’impatto sanitario e ambientale
In oltre 50 anni di attività, le due aziende cementifere di Gubbio non sono mai state sottoposte ad alcuna valutazione sanitaria e ambientale nonostante le insistenze della popolazione preoccupata e nonostante siano state classificate dall’European Enviroment Agency (EEA) come il primo (Barbetti) e il secondo (Colacem) cementificio per danno ambientale in Italia e tra le 622 aziende che hanno creato maggior danno all’ambiente in Europa (www.eea.europa.eu/publications/cost-of-air-pollution/spreadsheet/view)

Le mancate indagini epidemiologiche
Nel territorio di Gubbio non è mai stata effettuata nemmeno una seria indagine epidemiologica per attestare lo stato di salute generale della popolazione, esposta involontaria al rischio, e neppure indagini sulle matrici ambientali per attestare eventuali danni legati a metalli pesanti o polveri sottili prodotte da opifici definiti a norma di legge, lo ribadiamo, “impianti insalubri di prima classe”. Tutto questo accade in una città dove l’incidenza di tumori e patologie annesse è molto elevata.

L’inquinamento a Gubbio
Gli unici dati sull’inquinamento che si hanno al momento sono quelli dell’agenzia per la protezione dell’ambiente, Arpa Umbria, che riceve ogni anno 94mila euro di contributi “non vincolati” da parte dei cementieri di Gubbio (47mila euro ciascuno), fatto su cui è stata presentata un’istanza di accertamento alla Guardia di Finanza da parte dell’Avv. Valeria Passeri. Secondo Arpa lo stato dell’aria di Gubbio è ottimo. Nonostante ciò se andiamo a guardare altre fonti di rilevamento che monitorano l’aria, i risultati sono peggiori (vedi fonte Breezometer). Per Arpa Umbria i problemi d’inquinamento di Gubbio sono causati dal fumo dei caminetti delle case private e dal traffico cittadino, un parere a dir poco sorprendente visto che il territorio in questione NON è quello di una metropoli.
Il business dei rifiuti intrapreso dai colossi del cemento riguarda anche altri stabilimenti in Italia. In Salento ad esempio, dove è presente uno stabilimento di Colacem S.p.a., da anni è in corso una lunga controversia con la popolazione locale che chiede garanzie per la salute collettiva, specie dopo che sono stati resi noti i risultati di alcune analisi che mostrano tracce di diossina nel latte materno.

Le possibili infiltrazioni della criminalità organizzata
Le preoccupazioni dei cittadini di Gubbio riguardano anche la provenienza dei rifiuti CSS che al momento non si conosce, e la possibilità che la criminalità organizzata si inserisca in questo fruttuoso business come più volte è successo in Italia. Tali preoccupazioni non sono prive di fondamento dato che Gubbio in passato è stata, suo malgrado, protagonista di diversi fatti legati alla mafia dei rifiuti. Ricordiamo ad esempio la vicenda di Salvatore Conte, ex collaboratore di giustizia appartenente al clan dei Casalesi, trovato cadavere in un bosco della campagna cittadina per vicende legate allo smaltimento illegale di rifiuti dell’azienda eugubina Sirio Ecologica.

Le promesse non mantenute della presidente Tesei
Nonostante le promesse della presidente leghista della Regione Umbria Donatella Tesei, che nel suo programma parlava di disincentivare in ogni modo il ricorso all’incenerimento dei rifiuti, promuovendo una politica di riciclo, la sua apertura al CSS come “pratica virtuosa e green”, tramite l’assessore e vice presidente regionale Roberto Morroni, tradisce le promesse della sua campagna elettorale. Insomma l’ennesima dimostrazione di una politica che accoglie con maggiore plauso scelte aziendali private volte a perseguire business milionari piuttosto che tutelare i cittadini che temono per la salute, per l’ambiente e lo sviluppo del territorio.
Intanto a Gubbio cresce ogni giorno di più il malcontento della popolazione che richiede una Valutazione d’Impatto Ambientale per comprendere meglio i rischi effettivi. C’è forte dissenso anche tra gli albergatori e le aziende che appartengono al comparto turistico che, in questo periodo di forte crisi legata alla pandemia, temono che l’immagine di Gubbio venga danneggiata dalla scelta di bruciare fino a 100mila tonnellate di rifiuti CSS all’anno, scelta ormai nota a livello nazionale e apparsa in numerosi giornali.

Tutta la città vuole che le cementerie si sottopongano a valutazioni d’impatto ambientale
La città tutta si chiede come mai i due colossi del cemento non vogliano sottoporsi alla Valutazione d’Impatto Ambientale e sanitaria se davvero non hanno nulla da temere, come celebrano i dati che passano alla TV locale... (di proprietà di una delle holding del cemento implicate nella vicenda).
Questa situazione riecheggia le parole di una bellissima e amara canzone del compianto Franco Battiato, artista e pensatore di eccelsa levatura morale, parole che ben descrivono questo paradosso tutto italiano dove salute, ambiente, cultura, sostenibilità, futuro e cura del territorio cedono a nuovi business di colossi industriali, spesso calpestando le richieste legittime di intere popolazioni che desiderano semplicemente far prevalere il principio di precauzione:
“Povera Patria schiacciata dagli abusi del potere di gente infame che non sa cos’è il pudore, si credono potenti e gli va bene quello che fanno e tutto gli appartiene. Si può sperare che il mondo torni a quote più normali, che possa contemplare il cielo e i fiori… La primavera intanto tarda ad arrivare...”.
Ci auguriamo che a Gubbio invece arrivi presto la “primavera baciata dal sole” che i cittadini sperano e che la città si merita.

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