Bocciati i quesiti su eutanasia, cannabis e responsabilità diretta dei magistrati
Sono cinque i quesiti referendari sulla giustizia promossi da Lega e Partito radicale approvati oggi dalla Corte costituzionale.
Si tratta nello specifico di quello che abroga la legge Severino sui condannati in Parlamento, quello che abolisce la raccolta delle firme per presentare la candidatura al Csm, quello per la separazione delle funzioni dei magistrati, quello sui limiti all’applicazione delle misure cautelari e quello sul diritto di voto degli avvocati nei consigli giudiziari. Bocciati, invece, sia il quesito sulla responsabilità diretta dei magistrati sia quello sulla legalizzazione della cannabis, così come ieri era stato bocciato quello sull'eutanasia.
Per spiegare le decisioni della Consulta, il presidente della Corte, Giuliano Amato, ha convocato una conferenza stampa.
Fine Vita
Ed ovviamente il primo punto affrontato è stato il motivo che ha portato alla bocciatura del referendum sull’eutanasia legale (“omicidio del consenziente”), promosso da un comitato che ha per capofila l’Associazione Luca Coscioni, ritenendo che “a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana".
"Nella sorpresa e amarezza sulla decisione di ieri ha giocato il fatto che si era detto che il referendum fosse sull'eutanasia, in realtà era sull'omicidio del consenziente e avrebbe finito per legittimarlo ben al di là nei casi in cui l'eutanasia possa aver luogo, casi che stanno del tutto al di fuori della relazione medica e del mondo eutanasico" ha affermato Amato, parlando di eutanasia come "parola fuorviante".
Secondo il Presidente della Corte Costituzionale, dunque, il referendum sull'omicidio del consenziente "apre all'impunità penale di chiunque uccide qualcun'altro con il consenso, sia che soffra sia che non soffra. Occorre dimensionare il tema dell'eutanasia alle persone a cui si applica, ossia a coloro che soffrono. Non potevamo farlo sulla base del quesito referendario, con altri strumenti può farlo il Parlamento".
Questione Cannabis
Amato ha anche spiegato il motivo per cui è stato bocciato il quesito sulla Cannabis: "Abbiamo dichiarato inammissibile il referendum - io dico - sulle sostanze stupefacenti, non sulla Cannabis. Il quesito è articolato in tre sottoquesiti e il primo, quello relativo all'articolo 73 comma uno della legge sulla droga, prevede che scompare tra le attività penalmente punite la coltivazione delle sostanze stupefacenti di cui alle tabelle 1 e 3, che non includono nemmeno la Cannabis che è nella tabella 2 ma includono le cosiddette droghe pesanti (sostanze che includono papavero e coca, ndr). Già questo è sufficiente a farci violare obblighi internazionali plurimi che sono un limite indiscutibile dei referendum". "Il paradosso del quesito sulla cannabis - ha poi aggiunto - è che non la legge, ma le sezioni unite della Cassazione che, interpretando l'articolo 73, hanno già ritenuto che sia fuori dalla punibilità la coltivazione a uso personale della cannabis, se il quesito fosse stato presentato in questi termini sarebbe stato ammissibile".
Roma. Panoramica aerea del Palazzo della Consulta
Perché no responsabilità civile dei giudici
Bocciato anche il punto sulla responsabilità civile dei giudici. Sul punto il Presidente della Consulta Amato ha affermato: "Abbiamo dichiarato inammissibile il referendum perché l'introduzione della responsabilità diretta rende referendum più che abrogativo, innovativo. Qui stiamo parlando della responsabilità dei magistrati per i quali la regola diversamente da altri funzionari pubblici era sempre stata della responsabilità indiretta".
Diverse invece le valutazioni sui quesiti approvati dove, a questo punto, si apre una nuova partita politica. Come abbiamo scritto ieri, escludendo il quesito sull'abolizione delle firme per candidarsi al Csm, gli altri argomenti in tema di giustizia, inseriti nel referendum, sono delicati e presentano delle criticità evidenti.
Abrogazione della legge Severino: Il referendum abrogativo interviene sul decreto legislativo del 2012 (voluto dall'allora ministra della Giustizia, Paola Severino) con cui si prevedeva l’incandidabilità e la decadenza dalle cariche elettive per chi è condannato in via definitiva a una pena superiore ai due anni di carcere. Per gli amministratori locali, invece, basta anche una condanna in primo grado per una serie di reati contro la pubblica amministrazione per essere sospesi dalla carica per un periodo massimo di 18 mesi. La legge può anche avere dei limiti, ma è chiaro che abrogarla sarebbe un fortissimo passo indietro nella lotta alla corruzione. E' chiaro che l'intento è quello di far rientrare in Parlamento i politici che sono stati condannati.
Limiti alla custodia cautelare: Con il quesito si abolirebbe l’ipotesi più importante e applicata per cui il giudice può disporre la misura cautelare della custodia in carcere nel corso delle indagini: il rischio di reiterazione di reati “della stessa specie di quello per cui si procede”. Dunque resterebbero in voga le esigenze cautelari solo per evitare il pericolo di inquinamento delle prove o il pericolo di fuga.
Se venisse approvato questo schema ecco che si salverebbero soprattutto i colletti bianchi, ma anche per i criminali comuni vi sarebbero delle difficoltà. Perché se per un ladro d’appartamento o uno spacciatore è facile motivare con il rischio di reiterazione del reato, diventa quasi impossibile farlo con l’inquinamento delle prove o il pericolo di fuga.
Separazione delle carriere: Il tema della separazione delle carriere è una delle questioni eterne che la politica di continuo ha riproposto nel corso del tempo. Va comunque detto che in questo caso il titolo dato dai promotori è fuorviante, perché un’autentica separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, con concorsi distinti, potrebbe realizzarsi sono modificando la Costituzione (che parla di un solo “ordine giudiziario”). Di fatto, con il quesito, si vuole far scegliere le funzioni al magistrato all’inizio della carriera, obbligandolo a mantenerle per tutta la vita professionale.
Fermo restando che il quesito è praticamente illeggibile e per i cittadini comprenderne il significato è alquanto arduo, va ricordato che già oggi i passaggi tra le funzioni giudicanti e requirenti si verificano sulla base di requisiti stringenti, tra cui l'obbligo di cambiare distretto.
Avvocati con diritto di voto nei consigli giudiziari: Altro quesito promosso dalla Consulta è quello sui consigli giudiziari e le valutazioni professionali dei magistrati. Il referendum, in nome “dell’equa valutazione”, vorrebbe garantire ad avvocati e professori di “partecipare attivamente alla valutazione dell’operato dei magistrati”. Ed è in questo caso che si potrebbe creare una situazione paradossale con un avvocato che potrà esprimersi sulle possibilità di carriera di un magistrato che magari gli ha dato torto (o ha arrestato il suo cliente) il giorno prima. Insomma un vero e proprio teatro dell'assurdo.
Foto © Imagoeconomica
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