di Giorgio Bongiovanni
Il Movimento Cinque Stelle, assolutamente per responsabilità del buffone comico Giuseppe (detto Beppe) Grillo, è allo sfascio.
L'ennesima prova c'è stata con le dimissioni di Luigi Di Maio, ministro degli Esteri ed ex capo politico dei Pentastellati, dal Comitato di garanzia nel partito, organo di cui era presidente.
Lo ha fatto con una lettera inviata al Garante Grillo e al presidente del M5S Giuseppe Conte, nei giorni scorsi da lui messo sotto accusa per aver “fallito” nella fase dell’elezione del presidente della Repubblica, in cui sostiene anche di essere pronto a sostenere il nuovo corso, di fatto con riserva. E la risposta è giunta in una nota in cui si criticano “i percorsi divisivi e personali”.
Nei prossimi giorni si vedranno eventuali nuovi strascichi.
Ciò che è sempre più evidente, come abbiamo scritto in altre occasioni, è la profondità del baratro verso cui Beppe Grillo, con i suoi fedelissimi, sta trascinando l'intero "Movimento del (non) cambiamento".
Sono lontani i tempi dei meet-up e dei vaffa-day a cui si erano avvicinati tanti giovani appassionati, entusiasmati da quella rivoluzione che Beppe Grillo portava avanti, prima ancora nei suoi spettacoli.
Nacquero gruppi di lavoro, tematici, con l'obiettivo di confrontarsi e sviluppare idee. Idee che vennero appoggiate anche da noi di antimafiaduemila.
Così milioni di italiani hanno creduto nella possibilità di una politica nuova, dando sempre più fiducia al Movimento Cinque Stelle tanto da diventare, nelle elezioni del 4 marzo 2018, il primo partito politico del Paese con il 32,66% alla Camera dei Deputati e il 32,22% al Senato.
Col passare del tempo, però, man mano che il movimento si è avvicinato alle stanze del potere, ecco che si è consumato il tradimento più grande nei confronti dei propri elettori.
Molte battaglie storiche, tanto sul piano economico che in materia di politica estera, si sono perse per strada.
E in tal proposito ricordiamo le posizioni assunte sulla Tav, il Tap, la Nato, l'acquisto degli F-35, la risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Quindi le gravissime posizioni assunte sul tema migranti, con il Decreto legge Sicurezza bis, che abbassava in maniera spudorata il grado di umanità del Paese.
L'ultima maschera è stata gettata quando i pentastellati, guidati dal signor comico Beppe Grillo, hanno deciso di appoggiare un governo tecnico accanto a forze politiche come Forza Italia.
E pensare che per anni proprio Grillo, nei suoi spettacoli, guadagnando milioni, aveva sbandierato l'idea del cambiamento denunciando che tra i fondatori di quel partito vi erano Marcello Dell'Utri, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, e Silvio Berlusconi, che pagava la mafia (così come dicono le sentenze) e che, lo ricordiamo ancora una volta, non solo è pregiudicato, ma è indagato a Firenze (sempre con Dell'Utri) per essere mandante delle stragi del 1993.
Un soggetto che per mesi è stato persino candidato come Capo dello Stato.
Ed oggi i Cinque Stelle si siedono per discutere di questioni politiche e di governo.
Una giravolta perfetta nelle proprie idee costituenti se si considera che l'attuale Presidente del Consiglio è Mario Draghi, l'uomo delle banche in passato sempre criticato.
Inganno e tradimento
Ma come si è giunti a tutto ciò?
La caduta inesorabile e sempre più rovinosa dei Cinque stelle, in realtà, è iniziata proprio nel momento di suo maggior successo. Perché è in quel 2018 che si sono consumati gravissimi inganni e tradimenti.
Alle elezioni del 2018, al grido di "onestà" con l'intento di "non spuntare le armi, ma migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia”, l'idea degli storici leader del Movimento era quella di proporre Nino Di Matteo come ministro della Giustizia o ministro degli Interni per la futura squadra di Governo.
Non dimentichiamo ciò che avvenne il 7 aprile 2018, a Ivrea, nell’evento organizzato dall’associazione Gianroberto Casaleggio. L'allora sostituto procuratore nazionale antimafia, intervenendo dal palco, aveva presentato una serie di proposte di intervento sulla giustizia, come l'ampliamento dell'uso delle intercettazioni, l'uso degli agenti sotto copertura e l'impegno sulla lotta alla mafia e la ricerca dei mandanti esterni delle stragi del 1992 e del 1993.
Ricordiamo, al termine di quel lungo discorso, gli scroscianti applausi dei presenti. Dal capo politico di allora, Luigi Di Maio, a Casaleggio.
In quella occasione era presente anche Alfonso Bonafede, colui che è poi divenuto ministro della Giustizia e che è stato autore di clamorosi fallimenti nella lotta alla mafia.
E' storia che Di Matteo non sarà mai nominato ministro con le porte del Viminale che, diversamente, si apriranno per Matteo Salvini, il peggior ministro degli Interni della storia della Repubblica.
Ed è altrettanto noto ciò che avvenne qualche mese dopo l'incontro di Ivrea quando, in giugno, si consumò il peggiore dei tradimenti quando Bonafede voltò clamorosamente le spalle a Di Matteo per un ruolo al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, preferendogli il meno noto, Francesco Basentini.
Una vicenda che è stata sviscerata davanti alla Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Nicola Morra, proprio quando è stato sentito lo stesso Di Matteo.
Il consigliere togato del Csm ripercorse ogni passaggio dei colloqui avuti con il ministro della Giustizia nel giugno 2018 evidenziando ciò che disse Bonafede per convincerlo ad accettare un incarico diverso da quello concordato (il Dag anziché il Dap) sostenendo che “per quest'altro incarico non ci sono dinieghi o mancati gradimenti che tengano'”. Da parte sua Bonafede, pur ascoltato in più sedi, non ha mai dato una risposta concreta su cosa intendesse o quali furono i motivi per cui, da un giorno all'altro, optò per il voltafaccia.
Lungi da noi pensare che l'allora ministro abbia fatto un patto con la mafia, ma i fatti raccontano che i boss, quando si diffuse la voce della possibile nomina di Di Matteo, protestarono sonoramente ("Se viene questo Nino Di Matteo siamo consumati, per noi è finita"). Bonafede, per sua stessa ammissione, era al corrente della rabbia dei boss nelle carceri, e la logica vuole che non vi poteva essere un miglior "segnale chiaro e inequivocabile alla criminalità organizzata" (per usare le parole del ministro mentre giustificava la sua visione di inserire Di Matteo agli affari penali) se non quello di puntare proprio su Di Matteo come al capo del Dap.
Dunque quella mancata nomina fu un gravissimo errore, anche se fatto in buona fede, per ignoranza o sottovalutazione. Un errore che avrebbe dovuto portare alle dimissioni immediate.
Non è stato così.
Con la fine del governo "Conte 2" Bonafede non è più rientrato nella squadra di Governo, ma i pentastellati restano comunque nella stanza dei bottoni.
E lo fanno assieme a Berlusconi e Draghi, per il cosiddetto "bene del Paese" in questi difficili tempi di "Pandemia".
Scuse sterili.
Alla luce di queste rivoluzioni di programma oggi abbiamo ragione di credere che alle prossime elezioni politiche il Movimento Cinque Stelle difficilmente potrà giungere all'8%, rischiando addirittura di non essere più votato.
Oggi il "Movimento caduto dei Cinque Stelle" è alla deriva e sempre più diviso.
Da una parte c'è Giuseppe Conte, persona onesta ed equilibrata, capace da Presidente del Consiglio di tenere saldo il Paese durante la prima fase della pandemia, anche se totalmente inadeguato in tema di lotta alla mafia (nel suo programma di governo il contrasto era relegato ad un miserabile 13esimo posto).
Dall'altra Luigi Di Maio che in questi anni ha incarnato una logica politica sempre più "democristiana". Con questo non intendiamo dire che abbia fatto accordi con la mafia o che sia un corrotto, ma è evidente che le politiche del ministro degli Esteri attuale sono all'antitesi dei programmi che si era prefissato il Movimento alla sua origine.
Nel mezzo c'è il fallimento totale, nell'etica e nella coerenza di Beppe Grillo.
Per assurdo un'eventuale spaccatura e scissione del Movimento potrebbe essere la soluzione.
Perché al suo interno vi sono state e ci sono tante anime oneste e pulite che veramente vogliono aiutare il Paese portando avanti importanti battaglie anche oltre la lotta alla mafia. Pensiamo a Nicola Morra, Alessandro Di Battista, ed altri.
Lo stesso Conte potrebbe dare un contributo in alcuni argomenti.
E' questo il tempo di ripartire da zero e la speranza è che Di Battista possa davvero farsi promotore di un nuovo movimento politico capace di rappresentare gli italiani in Parlamento.
Un movimento che possa far propri gli auspici del rieletto Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che nel suo ultimo discorso ha richiamato i valori della Costituzione, nel rispetto del valore della dignità. E della lotta alla Mafia.
Se questi nuovi leader sapranno farsi portatori di tutto ciò, ecco che avrebbero le adesioni di migliaia di giovani. E forse anche la nostra.
Rielaborazione grafica by Paolo Bassani
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