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L’unico ancora con intenzioni belligeranti è Johnson che però fa la voce grossa per nascondersi dal Partygate

Dialoghi, trattative, poi minacce e ancora trattative, bilaterali, trilaterali, riunioni d’urgenza. Sono mesi che tra Kiev, Washington e Mosca tira vento gelido sul futuro dell’Ucraina e il suo ingresso nell’alleanza atlantica. Ma tutte le parti, NATO inclusa, stanno convenendo che una guerra non serve a nessuno. Ecco quindi che i toni si stanno pian piano abbassando dopo giorni ad alta tensione. Ieri la NATO, nella persona del suo segretario generale Jens Stoltenberg, ha chiarito una volta per tutte le intenzioni dell’Alleanza nel caso, sempre meno probabile, di un’invasione russa. “Non ci sono piani per schierare truppe nel paese”, ha detto. Solo qualche settimana fa lo stesso segretario generale aveva agitato la possibilità di gravi conseguenze) di fronte all’ipotesi di un conflitto militare. “Facciamo molto per aiutare il governo di Kiev a rafforzare la propria capacità di difesa”, ha riferito sempre Stoltenberg, “ma l’Ucraina non è un alleato, e la risposta automatica si applica soltanto per gli attacchi verso gli alleati, non ai partner, per quanto stretti possano essere”.

Anche la Russia si allontana gradualmente dalla prospettiva di un conflitto in Ucraina. Segnali importanti da Mosca arrivano sul piano politico e su quello militare. “Se dipendesse soltanto dalla Federazione non ci sarebbe alcuna guerra”, aveva detto giorni fa il ministero degli Esteri, Sergei Lavrov, alle principali stazioni radiofoniche del Paese: “Noi non vogliamo una guerra, ma non permetteremo che i nostri interessi siano violati”, aveva però puntualizzato. Alle parole di Lavrov sono seguite ieri pomeriggio quelle pronunciate dal segretario del Consiglio di sicurezza, Nikolai Petrushev, per il quale “tutti oggi dicono che la Russia minaccia l’Ucraina, ma si tratta di una totale assurdità, perché non esiste alcuna minaccia”. Già si vocifera di un imminente inizio delle operazioni di ritiro di una parte delle truppe impiegate nei mesi scorsi lungo il confine meridionale per rispondere al progetto di adesione della Nato del governo ucraino. Al tempo stesso, l’esercito è impegnato in una esercitazione congiunta in Bielorussia. Ma come accade con Biden, che ha comunque impiegato 8500 militari nell’area baltica, anche per Putin non resta che accontentarsi di portare avanti i colloqui sulla sicurezza ora che la minaccia escalation è stata ritirata.

Il ruggito di Johnson, messinscena per distrarre gli inglesi
Solo il Regno Unito di Boris Johnson sembra essere ancora fermo alle intenzioni belligeranti. Il primo ministro ha infatti offerto alla NATO “un ingente dispiegamento di truppe, armi, caccia e navi da guerra” in risposta alla “crescente ostilità russa”. “Non tollereremo la loro attività destabilizzante e staremo sempre al fianco dei nostri alleati”, ha minacciato Johnson. Ma il ruggito di Johnson è in realtà una mossa squisitamente strategica per allontanare su di lui, in qualche modo, il dito dell’opinione pubblica che lo accusa di aver partecipato a festini privati, in totale violazione delle norme anti-covid, quando il Paese in pieno lockdown era piegato dalla pandemia. Le accuse contro il premier britannico sono tutte contenute nel Partygate, un inchiesta indipendente della polizia che sarà consegnata all’ufficio del Premier a breve. A Londra Johnson trema e qualora ne uscisse indenne, il suo governo resterebbe a lungo paralizzato e depotenziato. In parlamento l’opposizione ha infatti già chiesto a Johnson di lasciare l’incarico, su tutti Keir Starmer, leader del Partito Laburista britannico e dell'opposizione.

Gli ucraini non vogliono la guerra
Mentre nei piani alti delle potenze in causa prevale un clima di distensione, a Kiev e nelle altre città ucraine le speranze sono chiare da tempo: no al conflitto. Gli ultimi infatti a volere la guerra sono proprio gli ucraini, che smentiscono ormai da giorni i rapporti e appelli della Nato e degli Stati Uniti sulla invasione imminente. Del resto è lo stesso presidente, Volodymyr Zelensky e il ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, ad aver sollevato più volte dubbi sulla credibilità di quegli appelli, più schiamazzi in realtà. Ieri anche Hanna Maliar, la vice ministra alla Difesa di Kiev, ha smentito le ultime rivelazioni dell’intelligence Usa, che parlano di riserve di sangue spostate dai russi al confine per fare fronte a interventi di emergenza. “Quelle informazioni non sono veritiere”, ha scritto sui social Maliar, “si tratta di elementi di guerra psicologica il cui unico obiettivo è seminare il panico nella nostra società”. Zelensky deve prima di tutto evitare che il suo paese sia trascinato in guerra, o che alcuni settori delle sue forze armate possano addirittura provocarla.

Per questo ora sta accusando apertamente il governo guidato Biden di fare disinformazione contro il suo paese. Allo stesso tempo, inoltre, l’attenzione va anche sulle truppe di formazioni neonaziste ucraine che starebbe addestrando l’esercito canadese. Si tratta, come ha affermato l’ambasciatore russo ad Ottawa Oleg Stepanov al quotidiano Ria Novosti, di “dozzine, se non centinaia di combattenti di gruppi neonazisti di destra, come il settore destro e Azov, che erano stati segretamente addestrati”. Si tratta di unità armate eversive che possono essere utilizzate in qualunque momento per destabilizzare il Paese. Un po’ come venne fatto nel febbraio 2014: un colpo di stato eseguito da forze neonaziste balcane sotto regia Usa/Nato, col fine strategico di provocare in Europa una nuova guerra fredda per isolare la Russia e rafforzare, allo stesso tempo, l’influenza e la presenza militare degli Stati uniti in Europa.

Fonte: Il Manifesto

Foto: it.depositphotos.com

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