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Il 30 gennaio 1992 la Corte di Cassazione rendeva definitiva la sentenza del maxi processo contro i boss di Cosa Nostra iniziato nell’aula bunker di Palermo il 10 febbraio del 1986. Più di quattrocento imputati. Una dozzina di ergastoli confermati in Cassazione con condanne pesanti per quasi tutti gli imputati.
A trent'anni di distanza il Parlamento è chiamato ad intervenire sulla disciplina dell'ergastolo ostativo, espressa nell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, in cui si vieta di liberare i boss stragisti condannati all'ergastolo, se non collaborano con la giustizia, a seguito del doppio intervento della Corte Costituzionale e della Cedu.
La Consulta rilevò che la "vigente disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo preclude in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro".
Al contempo, però, si rendeva conto che “l’accoglimento immediato delle questioni rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata”. Per questo motivo diede un anno di tempo, fino al maggio 2022, per modificare la norma.
In Commissione giustizia sono stati ascoltati decine e decine di addetti ai lavori, ma da qualche mese i lavori sono bloccati.
In settimana dovrebbero essere presentati nuovi emendamenti per poi portare la legge al vaglio del Parlamento.
Ed oggi più che mai l'attenzione della società civile, e non solo, deve essere alta.
L'unica via, forse, per evitare di spazzare via l'intero sistema della legislazione antimafia (cosa che sarebbe avvenuta se fosse stata immediatamente dichiarata l’incostituzionalità) ed evitare che boss di primo piano come i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, Leoluca Bagarella, i Biondino, i Madonia, gli 'ndranghetisti, i camorristi e così via, possano tornare in libertà.
La sensazione è che l'ergastolo ostativo sia solo il primo passo. Perché è consequenziale che le prossime norme a rischio sono il 41 bis o la legge sui collaboratori di giustizia.
Proprio quelle misure che Cosa nostra (e non solo) voleva eliminare e per cui furono poste in essere le stragi.
Spesso ci si nasconde che l'emergenza mafia sia finita.
Non si tiene conto dell'evoluzione che hanno avuto le mafie.
Che non sono solo insediate, ma radicate nei territori a livello nazionale ed internazionale. Non si tiene conto che la cosiddetta "Mafia Spa", che non esiste, produce 150 miliardi di euro l'anno; che la 'Ndrangheta è leader del traffico internazionale di stupefacenti; che le mafie sono inserite in un sistema criminale integrato con rapporti, alti ed altri, con pezzi dell'economia, dell'imprenditoria e della politica.
Non si tiene conto della storia. Che non sappiamo la verità su tante stragi d'Italia. Non si tiene conto del dato di fatto che i boss, quando escono dal carcere se non rompono il vincolo con Cosa nostra, collaborando con la giustizia, tornano esattamente in quei luoghi di potere che avevano in precedenza.
Le mafie vivono di segnali e quelli giunti negli ultimi mesi sono devastanti.
Nei giorni scorsi sempre la Corte Costituzionale ha giudicato come incostituzionale l'esame preventivo della corrispondenza tra i detenuti sottoposti al regime di 41 bis e i loro legali. E’ ovvio che al detenuto si debba garantire il diritto di comunicare (nell'ambito del proprio diritto alla difesa) in modo riservato con il proprio avvocato.
Tuttavia nell’analisi è necessario riflettere anche su questo. Perché nel recente passato, come emerso nella maxi inchiesta antimafia “Xydi”, si è verificato l’episodio della avvocatessa, Angela Porcello, difensore del boss ergastolano Giuseppe Falsone che, secondo l’accusa, si sarebbe fatta nominare legale di fiducia di altri due boss al 41 bis, il trapanese Pietro Virga e il gelese Alessandro Emmanuello, riuscendo a fare da tramite tra i tre, tutti detenuti nel carcere di Novara.
Ecco perché, l’ergastolo ostativo diventa un tema delicato.

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