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Si tratta di indescrizioni, ma se così fosse, con un ipotetico attacco il tempo di allarme sarà di soli 5 minuti

Questo è l’allarme lanciato dal New York Times che paventa l’ipotesi non confermata di un potenziale trasferimento da parte dell’esercito russo di ordigni nucleari sulla costa orientale, in particolare nelle installazioni costruite fra il Mare di Okhotsk e quello di Bering.
Operazioni che potrebbero ridurre di 5 minuti i tempi di allarme dopo un ipotetico attacco agli Stati Uniti, ma che tuttavia non trovano ancora alcun dato a sostegno e rappresentano a livello di informazione, l’ennesima benzina sul fuoco delle tensioni che in queste ore stanno portando Russia e Stati Uniti su un nuovo piano di scontro altamente pericoloso.
Ci sarebbe da chiedersi per quale motivo l’inchiesta pubblicata sul quotidiano non riporta i dati tutt’altro che ipotetici in merito alle installazioni statunitensi poste sempre più in prossimità dei confini russi in Europa.
L’espansione verso est della Nato, la presenza di basi Aegis Ashore in Romania e Polonia potenzialmente in grado di lanciare missili a testata nucleare verso la Russia sembrano allarmare ben poche voci della stampa occidentale; non è un caso che queste diposizioni strategiche siano state oggetto dei colloqui sulla sicurezza avviati il 10-12 gennaio tra Russia e Stati Uniti.
Ebbene, le principali proposte di Mosca che prospettavano la firma di un trattato congiunto sulla sicurezza, che avrebbe richiesto da parte statunitense la non ulteriore espansione dell’Alleanza Atlantica e il riposizionamento delle infrastrutture militari Usa alle posizioni del 1997, è stato rifiutato da Washington.
Come ricordato dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg in una conferenza stampa con il cancelliere tedesco Olaf Scholz trasmessa online il 18 gennaio, l’Alleanza "non scenderà a compromessi sui principi fondamentali, come il diritto per ogni nazione di scegliere la propria strada e la capacità della NATO di proteggere e difendere tutti gli alleati", pur offrendo disponibilità a “riprendere lo scambio di informazioni sulle esercitazioni” e sulle “rispettive politiche nucleari e dei sistemi missilistici”.
La Nato in sostanza non rinuncerà a una politica di espansione che mira ad attirare nuovi Stati membri nel gruppo e creare nuove infrastrutture e basi militari vicino ai confini russi.
Una posizione che, secondo il viceministro degli Esteri russo Alexander Grushko, a guida della delegazione russa ai colloqui della NATO, implicherebbe di adottare “tutte le misure necessarie per respingere la minaccia con mezzi militari se non funzionasse con mezzi politici”.
Non è un caso che, per bocca di Sergey Ryabkov, la Russia avrebbe addirittura paventato la possibilità di dispiegare sistemi militari a Cuba e in Venezuela se fossero continuate a crescere le tensioni con gli Stati Uniti.
Sembra di respirare l’aria avvelenata di quei tormentati giorni del 1962, quando il mondo era a pochi passa dalla terza guerra mondiale nucleare.
A rendere la situazione ancora più grave è la questione ucraina: i media occidentali martellano sull’imminente invasione russa, citando i 100.000 soldati del Cremlino posizionati al confine, senza mai porre in evidenza il fatto che un eventuale ingresso nella Nato, come auspicato dal presidente Volodymyr Zelensky, potrebbe significare la presenza di missili americani a 7-10 minuti da Mosca.
Come se la scacchiera non fosse già abbastanza posta in assetto di guerra, stando a quanto riportato dal Dailymail, la Gran Bretagna il 16 gennaio avrebbe trasferito truppe e armi hi-tech all’Ucraina: si tratterebbe di armi anticarro di nuova generazione, con una gittata di poche centinaia di metri, “destinate a contenere le manovre dei carri armati russi”, con capacità simili, ai missili anticarro Javelin forniti dagli Stati Uniti a Kiev nel 2018.
Un dispiegamento avvenuto “alla luce del comportamento sempre più minaccioso della Russia”, ha affermato il segretario alla difesa britannico Ben Wallace.
E ancora, il quotidiano Global News, riporta di forze speciali canadesi dispiegate in Ucraina allo scopo di “supportare le forze di sicurezza ucraine”,
"Il comando delle forze operative speciali canadesi fa parte degli sforzi più ampi delle forze armate per supportare le forze di sicurezza ucraine", ha affermato il maggiore Amber Bineau, portavoce del comando delle operazioni speciali.
Bineau ha anche riferito che le forze speciali canadesi hanno fornito addestramento alle controparti ucraine a partire dal 2020.
Stando ai dati forniti dal governo canadese, Ottawa ha impegnato circa 700 milioni di dollari in assistenza all'Ucraina da gennaio 2014, inclusa la fornitura di equipaggiamento militare non letale e inviato 200 soldati delle forze armate canadesi ogni sei mesi per addestrare le forze di sicurezza ucraine.
Un sostegno logistico e militare che rischia di spingere Kiev ad una soluzione militare del conflitto avviato contro le repubbliche russofone del Donbass: recentemente un combattente dell’autoproclamata repubblica di Luhansk è morto in seguito a bombardamenti delle forze di sicurezza ucraine, che avrebbero aperto il fuoco dal centro abitato di Novotoshkovskoye, verso il villaggio di Donetskij, nella regione di Luhansk, mediante mortai calibro 82 mm.
Continua inoltre il trasferimento di forze armate nella zona di contatto in completa violazione degli accordi di Minsk: il report giornaliero dell’Ocse in data 4 gennaio segnalava 23 carri armati ucraini T-72 oltre la linea di ritiro degli armamenti, mentre in data 10 gennaio sono stati rivelati 10 carri 2S3 Akatsiya, la presenza del sistema missilistico terra-aria S-300, e lanciamissili BM-21 Grad.
Si persegue dunque ad alimentare un conflitto che potrebbe obbligare la Russia ad intervenire in difesa dei popoli russi dell’est e di quell’equilibrio strategico ormai definitivamente venuto a mancare. Sembra che a Washington non aspettino altro che un passo falso di Mosca atto giustificare un nuovo apocalittico pacchetto di sanzioni economiche, atte ad infliggere danni considerevoli alla tenuta sociale e dunque alla leadership della rivale potenza nucleare.
Una mossa strategica che potrebbe costare molto caro e costituirebbe non soltanto “una bomba atomica per i mercati dei capitali e anche per beni e servizi”, come affermato dal leader dell'Unione democratica cristiana (CDU) conservatrice tedesca, Friedrich Merz; il rischio di una guerra in Europa, potenzialmente in grado di deflagrare in un conflitto globale non è mai stato così alto.

Foto: it.depositphotos.com

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