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La moglie di Piersanti Mattarella quel giorno aveva visto in realtà il boss di Resuttana?

E’ stata archiviata la “pista nera” sull’omicidio del Presidente della regione Siciliana Piersanti Mattarella la targa dell’automobile utilizzata dai killer non sarebbe collegata ai Nar, i Nuclei Armati Rivoluzionari.
Le indagini sono stata molto complesse e meritano di essere ricostruite.
L’auto usata dagli assassini per commettere l’omicidio, una Fiat 127 abbandonata poco dopo, aveva una targa finta: “PA 546623”. Costruita utilizzando altre due targhe: quella originale della Fiat 127 “PA 536623” e quella di una Fiat 124 targata “PA 540916”.
Mettendole a confronto gli inquirenti non sono ancora riusciti a ritrovare le parti mancanti: “PA 53” e “0916”.
Nel settembre del 1989 il magistrato Loris d’Ambrosio, in forza all’Alto commissariato antimafia, aveva sollecitato accurate analisi per confrontare le targhe usate a Palermo e quelle ritrovate nel covo dei Nar di via Monte Asolone a Torino nella perquisizione del 26 ottobre 1982. I carabinieri infatti avevano ritrovato una targa con sigla "PA" (come Palermo) e il numero "563091”: gli stessi numeri, ma composti diversamente, rimasti dal confronto delle due targhe precedenti. Al tempo il magistrato d’Ambrosio aveva ipotizzato che il “6” della targa “PA 563091” poteva essere stato spostato dopo il “5” per camuffare la sequenza dei numeri.  Tuttavia, come confermato dalla Scientifica, la targa non ha subito manomissioni, è originale, rubata nel 1981. Dunque, come riportato da “La Repubblica” si è deciso di procedere per l’archiviazione.
La “pista nera” - strada già battuta da Giovanni Falcone e  ripresa nel 2018 dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Salvatore De Luca e dal sostituto Roberto Tartaglia, oggi vice capo del Dap - era nata innanzi tutto dalla testimonianza di Irma Mattarella, la moglie di Piersanti Mattarella, la quale aveva descritto l’assassino del marito: occhi di ghiaccio e andatura ballonzolante, quasi identico al capo dei Nar, Giuseppe Valerio Fioravanti. Da quell’accusa l'ex terrorista nero sarà poi assolto in via definitiva, quando Falcone sarà già stato assassinato nella strage di Capaci.
Ma se non sono stati i Nar chi ha assassinato il fratello del presidente della Repubblica?
Certo è che la via Libertà, dove è avvenuto l’omicidio, rientra nel territorio del mandamento di Resuttana, governato da Francesco Madonia, che alcuni collaboratori di giustizia hanno indicato come soggetto legato ai Servizi segreti. Un processo tuttavia è stato celebrato in cui sono stati riconosciuti colpevoli, in via definitiva, quali mandanti, gli appartenenti alla cupola (Riina, Madonia e soci).
Inoltre secondo i giudici di assise d’Appello “non regge, sul piano logico, l'impiego di killer esterni all'organizzazione mafiosa. L'ottica dello scambio di favori, infatti, ha senso per i terroristi neri che avrebbero tratto grande vantaggio dall'aiuto della mafia. Lo stesso non è a dirsi per Cosa nostra alla quale non facevano e non fanno difetto né armi di qualsiasi tipo, né killer abili e spietati". Una tesi - quella dei killer esterni - sconfessata anche da diversi collaboratori di giustizia ritenuti attendibili, tra cui Tommaso Buscetta, Gaspare Mutolo e Francesco Di Carlo. Ma ecco che tra le carte spunta un riferimento a Nino Madonia, (condannato all’ergastolo dal GUP di Palermo Alfredo Montalto per l'omicidio di Antonino Agostino e della moglie Ida Castelluccio) primogenito di Francesco: "Tutti i collaboratori hanno altresì escluso ogni coinvolgimento di personaggi esterni all'organizzazione mafiosa nel delitto ed in particolare di terroristi neri, indicando la maggior parte in Nino Madonia il killer che si avvicinò a Mattarella per sparargli".
Che sia stato Nino Madonia il vero killer di Piersanti Mattarella ne è convinto anche l’avvocato Fabio Repici il quale aveva detto che: “Antonino Madonia è il killer che sparò e uccise Piersanti Mattarella. Un delitto per il quale Madonia non è mai stato processato ma su cui vi è una sentenza che, a questo proposito, è fin troppo esplicita".
Altro particolare messo in risalto dal legale è l’estrema somiglianza di Madonia con Fioravanti: "I giudici - ha affermato Repici - nel 1998 scrivono, peraltro, che Nino Madonia faceva parte del gruppo di fuoco a disposizione della commissione e che, altro particolare di non poco conto, che Nino Madonia somigliasse moltissimo a Fioravanti, come lui aveva occhi chiari e l'espressione degli stessi era glaciale. Nella sentenza si legge infatti: 'Invero (il collegio) esaminando le fotografie dei due soggetti e le schede antropometriche acquisite, balza all'evidenza una solare somiglianza tra i due che hanno tratti somatici molto simili sia con riferimento al colorito degli occhi, all'altezza, al taglio e al colore dei capelli e comunque ai tratti complessivi del viso, anche l'età dei due, poi, appartiene alla stessa fascia".
La moglie di Piersanti Mattarella quel giorno aveva visto in realtà Nino Madonia?
E in base al fatto che il mandamento di Resuttana è in odore di servizi segreti, quest’ultimi c’entrano qualcosa?


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Il sostituto procuratore della DNA, Domenico Gozzo © Imagoeconomica


Domenico Gozzo: “Il magistrato deve fare il massimo nelle indagini”

"Indubbiamente i familiari delle vittime hanno il diritto, direi più del diritto, di sapere, di conoscere la verità. Il magistrato, a fronte di questo, deve rispettare la legge e fare al massimo delle sue possibilità le indagini necessarie". Sono state queste le parole riportate dall’Agi del sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia Domenico Gozzo in ricordo di Piersanti Mattarella. "Chiaramente non si può pretendere, come fa qualcuno sul web, che un magistrato faccia di più di quello che la legge gli consente. Il diritto alla verità -  ha detto Gozzo - è fondamentale, appartiene ai familiari di tutte le vittime, di Mattarella come di Falcone e Borsellino e di tutti gli altri. Appartiene a tutti noi, a tutta la società civile. A noi magistrati in Sicilia è richiesta un'attenzione sempre maggiore, perché le nostre vicende sono ancora più complesse. Penso che i magistrati delle procure dell'Isola abbiano avuto grande coraggio".  Gozzo ha precisato di non poter intervenire sul merito delle indagini svolte e da svolgere, ma ha accettato di partire dal presupposto che questo è un Paese di stragi senza verità: "Se si guarda ai tempi della strategia della tensione va detto che per molti di quei fatti non c’è alcun responsabile, in alcuni casi sono stati condannati solo i depistatori. Per le stragi di mafia e i delitti cosiddetti eccellenti invece sono stati condannati tantissimi boss, anche i capi all'epoca latitanti, l'intera commissione. Insomma, di strada ne è stata fatta tanta". Però, c’è sempre un però: "Rita Borsellino amava ripetere che non le interessavano brandelli di verità, ma tutta la verità. E la mancanza di verità - continua il sostituto della Dna - incide sulla libertà di tutti. La mancanza di alcune verità condiziona il vivere civile. Non è un caso che il nostro legislatore abbia ritenuto necessario introdurre il delitto di depistaggio, fatto per il quale tante persone sono state indagate e imputate, sia per le stragi degli anni '70 e '80 che per quelle di mafia dei primi '90". Domenico Gozzo, che aveva rappresentato l'accusa in alcuni filoni del processo Borsellino, ha parlato della propria amicizia con Agnese Piraino Leto, vedova di Paolo Borsellino: "Disse a me e a più persone che la sofferenza più grande non fu prima e nei giorni della strage, ma soprattutto negli anni successivi". "Penso che sia doveroso farsi carico delle verità più scomode, se ci sono. Certe volte può accadere che - fatte le necessarie indagini - queste verità’ che si pensa ci siano, invece magari non ci sono". Gozzo ha precisato di fare riferimento ai processi già tenuti sulle stragi di mafia e precisa di non ipotizzare l'accertamento di responsabilità a carico di alcun imputato. Non è una sorta di assoluzione, né un atteggiamento indulgente nei confronti della "corporazione": "Sono in magistratura da più di 35 anni - ha proseguito Gozzo - ho sempre vissuto personalmente e visto una grande tensione morale da parte dei colleghi siciliani, nella ricerca della verità. Errori ne sono stati fatti, ne abbiamo fatti, come tante categorie, ma penso che siamo stati gli unici che hanno quantomeno tentato di rimediare". "La legge va applicata in maniera giusta nei confronti di tutti e questo deve servire a combattere la sensazione frustrante che qualcuno può avere che non sia uguale per tutti". C’è anche il punto di vista opposto, quello di chi trascorre la vita sotto indagine, di inchieste interminabili chiuse e riaperte: lo stesso omicidio Mattarella, la strage di Bologna, entrambi del 1980, i mandanti occulti delle stragi di mafia del '92-'93. "Vanno rispettati naturalmente anche i diritti di chi è indagato o imputato. Ed è indispensabile che l'opinione pubblica possa farsi un'idea, nel rispetto della segretezza delle indagini ma anche della pubblicità del processo. L'importante è che le indagini siano state fatte e che si continui a farle, che la ricerca della verità non si fermi. Va considerato anche quello che amava dire un collega magistrato: lui scherzando diceva che per gli imputati dotati di diploma e laurea il numero di prove necessario per essere condannati aumenta a dismisura. In realtà è chiaro che le responsabilità diventano più difficili da provare quanto più si va dal fatto materiale 'concreto' (ad esempio mettere una bomba) alla responsabilità dei mandanti". Infine il magistrato ha fatto un’analisi del personaggio di Piersanti Mattarella: "Ebbe il coraggio delle proprie idee in tempi che non erano affatto semplici - ha detto - Non solo per quello che era la Sicilia di allora. Già la vicenda Moro, personaggio a cui il presidente siciliano era molto legato, era stata (ed è) un bel macigno che pesava e pesa sulla nostra democrazia. Nonostante quel precedente molto vicino nel tempo, allora, Mattarella mantenne questo coraggio. Se ci si pensa, la Sicilia è stata crocevia di fatti importantissimi per tutta Italia: Mattarella, come Falcone e Borsellino, sono conosciuti da tante persone nel nostro Paese, a differenza di altre vittime di mafia e terrorismo. Perché sono stati l'emblema di quello che in Italia funzionava, la corretta e sana amministrazione della politica e della giustizia, ma anche, loro malgrado, di quello che non funzionava, dei mondi contro cui si scontrarono".

Piersanti Mattarella: ''Dopo 42 anni abbiamo diritto a sapere la verità su mio nonno''
"Dopo 42 anni la mia famiglia ha diritto di conoscere finalmente la verità sull'omicidio di mio nonno. Non abbiamo mai avuto alcuna notizia da parte della Procura di Palermo sullo stato delle indagini. Ora, però, chiediamo verità e giustizia". A dirlo, in una intervista esclusiva all'AdnKronos, è stato Piersanti Mattarella, 35 anni, nipote omonimo del Presidente della Regione siciliana. Finora la famiglia non ha mai parlato dell'inchiesta sull'omicidio riaperta nel 2018 dalla Procura di Palermo. Ma tra pochi giorni i due titolari dell'indagine, il Procuratore Francesco Lo Voi e il procuratore aggiunto Salvatore De Luca, lasceranno il Tribunale per guidare altre Procure. "Non abbiamo mai saputo nulla sullo stato delle indagini, a distanza di 42 anni dall'omicidio, nonostante ciclicamente il 6 gennaio vengano riportate notizie di stampa o indiscrezioni su presunte novità sulle indagini sull'omicidio di mio nonno - ha spiegato il nipote di Mattarella - oltre a questa ciclica ripetizione, quasi commemorativa più che di relativa notizia riguardo alle indagini, non abbiamo alcuna notizia da parte della Procura, nonostante si sappia dalla stampa che le indagini sono ancora aperte".


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Sergio Mattarella, attuale presidente della Repubblica, tira fuori dalla macchina il corpo di suo fratello © Letizia Battaglia


"Oltre ai titoli sensazionalistici del 6 gennaio la famiglia non ha notizie da 42 anni - dice ancora Piersanti Mattarella - nonostante nessuno di noi abbia mai fatto scioperi della fame o manifestazioni pubbliche eclatanti di dissenso, di rabbia. Chiaramente anche nella nostra famiglia c'è la voglia, anche il diritto e la pretesa, di sapere cosa è successo sotto casa nostra davanti agli occhi di mio padre, di mia nonna, della mia bis nonna. Sapere, quantomeno, se le indagini vanno avanti, se c'è stata una archiviazione, se ci sono novità, se c'è qualcuno che ci lavora. Negli ultimi anni, anche con il processo di Bologna, si è fatta luce sugli episodi più torbidi e più grigi di grandi fatti che hanno costituito la storia recente della Repubblica, le indagini su mio nonno non sono andate avanti, almeno questo è ciò che sappiamo noi". "Non abbiamo mai avuto notizie né dal Procuratore Lo Voi e dal suo aggiunto De Luca né da tutti gli altri magistrati che si sono succeduti in questi 42 anni - ha detto ancora Piersanti Mattarella - Ogni anno spunta un articolo di giornale in cui spunta una pista, una dichiarazione, un indagato che parla, un fratello di un altro indagato che dice di sapere delle cose. Insomma, anche se i modi sono stati più pacati rispetto alle reazioni emotive e ai primi impulsi che sono umani in qualunque altra persona, chiaramente anche nella nostra famiglia c'è la voglia di sapere. Abbiamo anche il diritto di sapere cosa accadde il 6 gennaio del 1980. Visto che non si parla del furto di una bicicletta, di affari di secondo piano, ma di un evento che ha cambiato la storia della città se non della nazione intera". Piersanti Mattarella ha ricordato poi la sentenza di primo grado sulla strage di Bologna in cui viene citato il 'testamento civile' di Giovanni Falcone. "Oltre alla sentenza della strage di Bologna - ha affermato ancora - anche le più recenti sentenze che hanno riguardato, ad esempio, la cosiddetta trattativa tra Stato e mafia. O, ancora, i fatti del '92. Hanno evidentemente fatto emergere dei rapporti che magari negli anni '80 non erano neanche ipotizzabili tra Cosa nostra e organizzazioni terroristiche, in questo caso di estrema destra. La lungimiranza di Giovanni Falcone negli anni Ottanta lo aveva portato a intravedere la luce in fondo a quello che è un tunnel di 42 anni di indagini. Ma dopo di lui questa pista è stata abbandonata nonostante il riconoscimento di un testimone oculare. E la stessa recente sentenza di Bologna non fa che confermare quella che era stata l'intuizione, lo spunto investigativo di Falcone e, dunque, l'esistenza di determinati e forti legami, almeno per la commissione di alcuni atti criminosi tra la mafia e le organizzazioni terroristiche eversive di estrema destra, i Nar in particolare". E parlando dei verbali desecretati di recente dalla Commissione nazionale antimafia con le audizioni del giudice Giovanni Falcone, Piersanti Mattarella sostiene che si tratta di una “cosa ribadita anche dal fratello di Fioravanti. Che nonostante il legame affettivo con il fratello, non è mai stato in grado di escludere la partecipazione del fratello in questo fatto di sangue". Ma perché dopo 42 anni ancora c'è questo buco nero sui killer del Presidente Mattarella? Secondo il figlio Bernardo Mattarellaperché è indubbio che soprattutto ai tempi le indagini non sarebbero state facili. Non era un compito facile per gli investigatori riuscire a trovare un legame tra i Nar e la mafia, soprattutto in quegli anni quando sembrava una regola quasi ineludibile che la mafia non ammazza davanti ai parenti, alle donne, o che usa solo killer associati. Alcuni dogmi sul modus operandi di Cosa nostra tra l'opera dei pentiti e l'importante opera delle varie procure che hanno combattuto la mafia, questi dogmi sono venuti meno. E oggi sappiano che già ci sono molti fatti importanti che hanno visto la cooperazione tra la mafia e altre organizzazioni terroristiche criminali". "Sicuramente sono stati fatti anche degli errori - ha affermato Piersanti Mattarella - è vero che le indagini erano difficili e ostiche, ma si è passati sopra con semplicità alle dichiarazioni di un testimone oculare che non era un semplice passante, ma era informato della vita privata della vittima". "Era difficile ai tempi riuscire a trovare questa pista - ha detto Mattarella junior - ma è indubbio che in 42 anni sono stati compiuti molti errori e molte omissioni". "La notizia, ad esempio, appresa da fonti di stampa, della perdita di alcuni reperti importanti, il ritrovamento di pezzi di targa a distanza di 41 anni in una stanza piuttosto che in un'altra". Questo, a detta dell’intervistato, sarebbe dovuto ad un alone di negligenza. “Non mi sembra eccessivo parlare di negligenza se non si riesce a portare a termine questo compito dopo 42 anni...". “Non si è riusciti a compiere una esatta valutazione di ciò che è successo e del perché, anche se abbiamo molti indizi per poterci fare un'idea da alcuni atti di indagine e dalle emergenze processuali di altri procedimenti". Alla domanda su cosa resta oggi di Piersanti Mattarella, il nipote ha risposto che "resta il ricordo di una persona che ha sacrificato il bene più grande, cioè la sua vita, nell'intento di fare del bene per tutti, di operare a favore della collettività, di non cercare scorciatoie per facili interessi personali. Ed è, inoltre, l'esempio che seguendo principi di valori saldi e stabili si può emergere anche in un contesto come quello della politica siciliana degli anni '80, soprattutto la Dc, che si può definire quantomeno grigio se non caratterizzato da collusioni e rapporti con ambienti poco trasparenti". “La cosa che mi da più orgoglio dell'essere nipote di Piersanti Mattarella è vedere le facce della gente che conosceva mio nonno e riuscire a vedere nei loro occhi, non di tutti, la commozione al ricordo di una persona che aveva impostato la sua vita nell'ottica di un interesse comune e collettivo per combattere i mali che tuttora, seppure in maniera diversa, affliggono la nostra regione".

Foto di copertina © Letizia Battaglia

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