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Su La Repubblica le inquietanti considerazioni su Scarpinato ed i magistrati che osano

Premessa. Da sempre questo giornale ha sostenuto la necessità che politica e magistratura restino a debita distanza, pur facendo parte dello stesso sistema di divisione dei poteri che regge il nostro Paese. Secondo il nostro pensiero, qualora un togato volesse entrare in politica (ciò non è da escludere in quanto diritto di ogni cittadino), come "conditio sine qua non", se effettivamente eletto, lo stesso dovrebbe dimettersi dalla magistratura. E qualora volesse tornare ad occupare il proprio ruolo dovrebbe assumere solo incarichi nel civile o nell'amministrativo.
E sono tanti i magistrati che la pensano in questo modo. Ancora oggi si discute di riforma della giustizia e le scorse settimane l'argomento del rapporto tra magistratura e politica è tornato di interesse da quando è scoppiato il caso di Catello Maresca, candidato del centrodestra sconfitto a Napoli, eletto in consiglio comunale, che su decisione del Csm (che non ha fatto altro che applicare l'attuale legge) ha chiesto ed ottenuto di riprendere le sue funzioni giudiziarie, conservando la sua carica di consigliere comunale, come giudice alla Corte di Appello di Campobasso.
La questione delle cosiddette "porte girevoli" sarà oggetto della prossima riforma del Csm, ma a suscitare sdegno è come certi giornali abbiano approfittato del tema, nel tentativo di allargare il concetto ed attaccare i soliti magistrati scomodi che hanno il solo difetto di dire ciò che pensano.
E' quanto avvenuto sulle pagine del quotidiano La Repubblica. In un articolo dal titolo eloquente ("Da Mani pulite a Maresca quelle porte troppo aperte tra magistratura e politica"), scritto da Stefano Ceppellini, venivano rivolte indistinte critiche per tutti quei magistrati che nel corso della storia si sono candidati o hanno occupato ruoli istituzionali di Governo o in Parlamento.
Un articolo dove fioccano le imprecisioni sul percorso che ha portato certi magistrati (da Di Pietro ad Ingroia, passando per de Magistris, D’Ambrosio, Grasso, ed altri) ad intraprendere la "via politica".
Poi, senza alcun collegamento con l'argomento centrale, si puntava il dito nei confronti di quei magistrati che non temono di esprimere il proprio pensiero sui fatti: uno su tutti Roberto Scarpinato.
Assieme ad altri veniva tirato in ballo per essere "teorico della magistratura 'variabile non coerente con il sistema consociativo che per questo infastidisce, preoccupa, inquieta'".
E' interessante notare come quella frase attribuita all'ex Procuratore generale di Palermo, se si effettua una ricerca su internet, sia stata detta dall'ex magistrato di Mani Pulite, Gherardo Colombo (uno degli altri magistrati citati nell'articolo).
Ma non è tanto questo il punto, quanto l'indicazione che di fatto viene data al lettore, di un magistrato che, con l'espressione delle proprie idee, diviene quasi un pericoloso sovversivo.
Ed è inquietante che un giornale come La Repubblica arrivi a tanto nei confronti di un magistrato dalla schiena dritta come Roberto Scarpinato.
Un magistrato che è stato protagonista di importantissimi processi sui delitti eccellenti ("Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Piersanti Mattarella e Michele Reina") e che all’indomani dell’eccidio di Borsellino e dei suoi uomini di scorta, si determinò, assieme ad altri suoi sette colleghi, nelle dimissioni di protesta contro il procuratore capo di Palermo, Pietro Giammanco, additato da tutti come uno dei principali artefici dell’isolamento di magistrati come Falcone e Borsellino.
Nel documento da loro firmato si leggeva: "Non è possibile vincere questa battaglia, questa guerra, se nei luoghi strategici delle istituzioni continuano a restare nei loro posti persone che, per vari motivi, o un difetto di competenza, o forme di indifferenza morale, o per rassegnazione fatalistica, non sono in grado di assolvere ai loro doveri, ai loro compiti. Bisogna ristabilire il principio di responsabilità che passa anche attraverso rimozioni e dimissioni per affermare che oggi, in Italia, quando si tratta di vita o di morte, se c’è qualcuno che non è all’altezza, deve andare via”.
Ma Scarpinato è stato anche impegnato nel "processo del secolo" contro il sette volte Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, quindi è tra i membri del pool che hanno indagato sui "Sistemi criminali". Un'inchiesta che non solo è confluita in parte nel noto processo sulla trattativa Stato-mafia, ma che ha anche fornito elementi per lo sviluppo di indagini sui mandanti esterni delle stragi, o processi come 'Ndrangheta stragista, attualmente giunto in appello a Reggio Calabria.
Scarpinato si è anche occupato dei rapporti mafia-politica, dei rapporti mafia-economica e ancora mafia-massoneria. Quindi è stato anche Procuratore generale a Caltanissetta e a Palermo. In quest'ultima sede ha riaperto le indagini sull'omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie, incinta, Ida Castelluccio, fino a giungere ad un processo che in abbreviato ha portato alla condanna all'ergastolo del boss Nino Madonia (in ordinario il processo è in corso di fronte alla Corte d'assise nei confronti del boss Gaetano Scotto e di Francesco Paolo Rizzuto, al tempo amico di Agostino, ndr).
Per tutti questi fatti Scarpinato può essere considerato come un magistrato scomodo. Così come scomode al potere sono sempre state le sue prese di posizione.
Qualche anno addietro, in via d'Amelio, lesse una lettera coraggiosa in cui, rivolgendosi a Paolo Borsellino, affermava con forza: “Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite - per usare le tue parole - emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà”.
Quello stesso coraggio oggi Scarpinato lo dimostra parlando delle evoluzioni del sistema criminale, dell'ingerenza della politica negli affari della giustizia e dei rischi che comporta per l'indipendenza della Magistratura e quindi per la Costituzione stessa. Opinioni e considerazioni scomode ed urticanti per molti. Specie al potere. Sovversione? Eresia? No. E' la libertà di pensiero di chi non si rassegna all'idea che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge".

Foto © Davide de Bari

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