Per il giudice Azzi risultano "allo stato indimostrate" conseguenze pregiudizievoli per il cardinale causate dal comportamento del suo ex collaboratore
Il cardinale Angelo Becciu nel chiedere i danni al suo principale accusatore, mons. Alberto Perlasca - testimone chiave dell'accusa nel processo contro l'ex numero due della Segreteria di Stato in corso in Vaticano - ha incassato una prima sconfitta. A darne notizia lo scorso lunedì 13 dicembre è l’Adnkronos secondo cui il giudice della II Sezione civile del Tribunale di Como Lorenzo Azzi “ha respinto la richiesta dell'ex Sostituto tesa a ottenere un sequestro conservativo di 500mila euro nei confronti dello stesso Perlasca e della sua amica Genoveffa Ciferri, che a Perlasca avrebbe ceduto a titolo gratuito i suoi beni immobili a partire dal 2017”.
Nel dispositivo con cui il giudice ha rigettato il ricorso si legge che "non si rinviene, nella stessa narrativa attorea, alcuna concreta condotta dannosa posta in essere" da Perlasca nei confronti del suo ex superiore. Il giudice Azzi inoltre osserva come risultino "allo stato indimostrate" conseguenze pregiudizievoli per Becciu causate dal comportamento del suo ex collaboratore "quanto allo stravolgimento delle abitudini di vita" e al danno biologico, anche se il cardinale si è "riservato di produrre documentazione medica", rilevando più in generale che "la prospettazione del ricorrente fa continuo riferimento a vicende giudiziarie che si limitano a lambire l'oggetto del presente giudizio e ad articoli di stampa dalla dubbia rilevanza e valenza probatoria".
L’avvocato Natale Callipari, che assiste Becciu nella causa civile, nel suo ricorso spiegava che i "principali elementi" a carico del cardinale nell'indagine vaticana "sono rappresentati da dichiarazioni fornite da mons. Perlasca" e sostiene che dietro al "percorso di revisione critica" del monsignore "vi sia la figura di Genoveffa Ciferri”, il quale, per riabilitare la reputazione ormai compromessa dell'amico, “ha indotto quest'ultimo a indirizzare le indagini degli inquirenti verso la figura del card. Angelo Becciu al solo fine di pregiudicare e danneggiare la di lui persona, oltre a porre direttamente in essere un'azione persecutoria nei confronti" di Becciu e dei suoi familiari.
Inoltre, sempre nel ricorso, si fa riferimento anche a "false accuse" e "minacce" che sarebbero state indirizzate al cardinale dalla Ciferri nel corso di un incontro alla presenza di un testimone e in alcuni messaggi whatsapp, oltre alla "condotta persecutoria" nei confronti del fratello del cardinale Mario Becciu. Tutti elementi che al momento, però, non sono bastati all'ex Sostituto per mettere a segno il primo punto nella causa civile.
Quanto alla posizione di Perlasca nella sua memoria difensiva si evidenzia da una parte "la temerarietà della pretesa di ottenere la misura cautelare del sequestro su tutti i beni dei resistenti adducendo, quale sola e unica ragione, la convinzione che venga accolta una domanda risarcitoria a fondamento della quale il ricorrente non ha, allo stato, allegato alcun elemento", tanto che "neppure è dato comprendere quale sia la condotta generatrice della presunta responsabilità che, a titolo di 'concorso' viene imputata ai resistenti". Dall’altra parte, la circostanza che Becciu "non possa attualmente vantare alcuna pretesa creditoria, non essendo allo stato neppure possibile individuare la presunta situazione giuridica soggettiva a cui tale credito possa dirsi riconducibile”.
Inoltre, si sottolinea nella memoria agli atti, "appena pochi giorni dopo il deposito del ricorso per sequestro cui si resiste, infatti, in data 18 novembre 2021 u.s., il Giudice Istruttore della Magistratura vaticana ha disposto l'archiviazione nei confronti di Mons. Alberto Perlasca per i reati a lui ascritti, con ampia e circostanziata motivazione. In breve, proprio rispetto alle vicende strumentalmente dedotte dall'attuale ricorrente a fondamento del presente ricorso ex art. 671 c.p.c., e alle conseguenti insinuazioni avanzate nei confronti del resistente Mons. Perlasca, la magistratura penale ha accertato la inesistenza di profili corruttivi a quest'ultimo addebitabili, decretando, alla luce delle numerose risultanze istruttorie esaminate, l'insussistenza di elementi tali da giustificare il rinvio a giudizio del medesimo, in relazione alle accuse, già formulate a suo carico, nel corso degli interrogatori, ed ha disposto pertanto l'archiviazione del procedimento".
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