Amnesty: “Abbraccio atteso a lungo. Ma non è finita, ora deve essere assolto”. A febbraio l'udienza
Dopo 22 infiniti mesi, Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’università di Bologna arrestato nel febbraio 2020 durante un periodo di vacanza al Cairo, ha finalmente riassaporato la libertà. Ieri era stata annunciata dalle autorità egiziane, le stesse che lo avevano tenuto in detenzione amministrativa per quasi due anni, l’imminente scarcerazione nelle prossime 24h. E così è stato. Il giovane è finalmente uscito dalle anguste e disumane celle del Cairo, dove ha subito abusi e torture e ha potuto riabbracciare la sua famiglia giunta ad accoglierlo fuori dal commissariato di Mansoura. "Tutto bene, voglio dire molte grazie agli italiani, a Bologna, all'Università, ai miei colleghi, a chiunque mi abbia sostenuto”. Queste sono state le prime parole che Patrick Zaki ha pronunciato, parlando in italiano e abbracciando sua madre e sua sorella. In posa, la famiglia finalmente riunita, lui vestito di bianco e la mano alzata indicando il segno “v” di vittoria. Una vittoria a metà, però, perché il giovane universitario resta ancora imputato per sovversione in Egitto, come ricorda Amnesty International che dal suo arresto si è preoccupata per la liberazione tramite il suo team legale. “Ora che abbiamo visto quell'abbraccio aspettiamo che questa libertà non sia provvisoria ma sia permanente. E con questo auspicio arriveremo al primo febbraio, udienza prossima".
Patrick era stato arrestato il 7 febbraio del 2020, tornando in Egitto per una vacanza, e i 19 mesi di custodia erano stati giustificati con accuse di propaganda sovversiva fatta attraverso dieci post su Facebook contro il regime Al Sisi. Ogni 45 giorni veniva rimandata la sua detenzione in un protrarsi infinito e avvilente di rinvii. Il rinvio a giudizio è avvenuto a settembre per "diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese", sulla base di tre articoli scritti da Zaki, tra cui uno del 2019 sui cristiani in Egitto perseguitati dall'Isis e discriminati da frange della società musulmana. Il ricercatore e attivista rischia fino a cinque anni di carcere. Intanto questa mattina a Roma, nei pressi di Villa Ada e proprio dove c’è la sede dell’ambasciata d’Egitto in Italia, è comparso un murales con Giulio Regeni che abbraccia Patrick Zaki. A firmare l’opera è la street artist Laika: raffigura il ricercatore italiano ucciso in Egitto nel 2016 che cinge la vita di Zaki dicendogli: “Ci siamo quasi”. Lo studente risponde: “Stringimi ancora”. A chiudere l’opera la scritta, in arabo, “Innocente”.
Ed è proprio riguardo a Regeni che Amnesty fa una riflessione. La liberazione di Zaki, infatti, rappresenta la prima buona notizia sull’asse dei rapporti Egitto-Italia sul fronte della giustizia e dei diritti umani. Tra due mesi circa si ricorderà il sesto anno dalla scomparsa e poi dal ritrovamento del corpo maciullato di Giulio Regeni, avvenuto il 3 febbraio del 2016. Da quel giorno, a parte le aperture di facciata tra procure sul fronte giudiziario tra i due Paesi, le relazioni su questo fronte sono state molto fredde. E la politica italiana, nel corso di questi ultimi anni, non è stata d’aiuto porgendo la guancia ad Abdel Fattah Al-Sisi al quale ha persino venduto fregate militari per oltre un miliardo di euro Accordi bellici presi dai familiari di Giulio e Patrick come uno schiaffo in faccia ai familiari di Zaki e Regeni (questi ultimi hanno fatto un esposto in procura contro il governo Conte Bis). Durante questo lungo periodo il regime di Al-Sisi ha dapprima fatto di tutto per derubricare il rapimento e l’omicidio di Regeni a un fatto di pura criminalità ordinaria, poi si è incagliato in quella che i pm di Roma, che hanno indagato sulla scomparsa, hanno definito “una ragnatela di depistaggi tessuta da apparati dei servizi segreti”.
Al Sisi successivamente ha arrestato e messo in carcere lo studente Erasmus con accuse discutibili. Oggi, seppur ancora distanti dall’obiettivo finale, ossia la piena assoluzione del giovane egiziano, qualcosa si è mosso. Nel frattempo in Italia si festeggia la scarcerazione, dal mondo politico - inclusa quella grossa fetta che aveva stretto accordi economici con il regime - a quello dell’associazionismo, da subito sensibile alla vicenda Zaki. Tra le varie dichiarazioni che giungono in queste ore spiccano quelle della docente del giovane egiziano. "Bologna lo aspetta. Ci stiamo telefonando con il sindaco e con il Rettore perché davvero è come se fossimo una famiglia”, ha detto all’AGI Rita Monticelli, professoressa del master dell'Alma Mater a cui Patrick Zaki è iscritto. “Patrick è come un cittadino bolognese, un fratello e un figlio che finalmente è fuori dalla prigione. Occorre continuare a tenere alta l'attenzione perché a febbraio dobbiamo far si che Patrick sia totalmente assolto”. Intanto sono state pubblicate sui social le foto di Patrick, uscito dal carcere, che abbraccia i suoi familiari. "Sono fotografie - ha continuato la professoressa di Patrick - che danno luce e speranza, mi sembra che ci diano la forza di continuare perché questo passo è importantissimo ma non è ancora finita".
Foto © Imagoeconomica
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