L'ex leader del M5S a Forlì con Salvatore Borsellino, Luana Ilardo e Stefano Baudino
Dalla trattativa Stato-mafia agli omicidi di Paolo Borsellino e Luigi Ilardo, dall'ergastolo ostativo alla riforma della giustizia. È il percorso intrapreso ed i temi dibattuti lo scorso 3 dicembre dal giornalista Stefano Baudino, da Salvatore Borsellino (fratello del giudice assassinato in via d’Amelio il 19 luglio 1992), dall’attivista Alessandro Di Battista e da Luana Ilardo, figlia di Luigi Ilardo: ex reggente di Cosa Nostra a Caltanissetta, nonché successivo confidente dei carabinieri e mancato collaboratore di giustizia in quanto assassinato poco prima dell’avvio del percorso di collaborazione il 2 maggio 1996.
“Ahi noi, il mondo della politica e dei media mainstream quando si parla di Trattativa Stato-mafia, soprattutto dopo la sentenza parzialmente assolutoria della Corte d’Appello di Palermo - ha spiegato il nostro collaboratore Stefano Baudino -, si divide in due: ci sono i negazionismi e i giustificazionisti della trattativa fra Stato e mafia, ovvero chi nega l’esistenza di una trattativa fra Stato e mafia e chi invece sostiene che la trattativa ci fu ed era necessaria perché gli italiani erano sopraffatti dalle bombe in quel biennio tragico e quella trattativa ha salvato gli italiani dalla furia omicida di Cosa nostra. I primi vengono smentiti dalle sentenze (anche quelle di assoluzione) le quali attestano che trattativa ci fu, appunto, i secondi invece vengono smentiti dalla storia per due motivi: innanzitutto la trattativa non nasce dal timore del popolo ma dalla paura di alcuni esponenti politici rispetto alla furia omicida che la mafia stava scatenando contro di loro; in secondo luogo, dopo gli attentati del 1992 la mafia sbarca sul continente compiendo altre 3 stragi a Roma, Firenze e Milano”.
E in quella scellerata trattativa tra Stato e mafia vi è coinvolta anche la figura di Luigi Ilardo, parente dei Madonia di Catania e conoscitore dei segreti più fitti della storia di Cosa nostra: dall’organicità dell’organizzazione, ai retroscena delle stragi come quella di Pizzolungo, all’identificazione e ubicazione del nascondiglio di latitanti come Bernardo Provenzano che stava per essere arrestato dai carabinieri proprio grazie a Ilardo, salvo l’inspiegabile dietrofront degli uomini dell’Arma. Una vicenda scandalosa a lungo discussa nel corso degli anni. Ilardo era un soggetto custode di segreti indicibili che andavano oltre Per Cosa nostra, giungendo anche nei meandri e nelle venature delle collusioni che lo Stato aveva con l’organizzazione criminale.
Un uomo, un padre, “rimasto completamente incastrato nel contesto della Trattativa Stato-mafia - ha detto la figlia Luana Ilardo -. Come spesso dice il dottor Nino Di Matteo, mio padre è il frutto avvelenato della Trattativa Stato-mafia”. Una storia tragica, dunque, che la figlia dell’ex confidente dei carabinieri ha avuto il coraggio di raccontare in un libro intitolato “Luigi Ilardo. Omicidio di Stato”, scritto a quattro mani assieme alla scrittrice Anna Vinci.
Salvatore Borsellino: “Uno Stato che fa patti con la mafia non è uno Stato di diritto, va combattuto”
“Mio fratello non è morto invano. A volte si dicono delle parole di sconforto. La morte di mio fratello è servita e serve per invogliare tanti giovani a continuare quella lotta che io purtroppo fra qualche anno dovrò smettere. Ho 80 anni e sono arrivato alla parte finale della mia vita, però così come Paolo fondava la sua speranza nei giovani anche io fondo la mia speranza nelle giovani generazioni”. Così Salvatore Borsellino, fondatore del movimento delle “Agende Rosse” nonché fratello del giudice Paolo Borsellino, ucciso nella strage di via d’Amelio assieme agli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Una rettifica rispetto al commento a caldo che fece a seguito della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Palermo - presieduta da Angelo Pellino (a latere Vittorio Anania) - in merito al processo Trattativa Stato-mafia, la quale: assolse gli ufficiali dell'Arma Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni “perché il fatto non costituisce reato”, nonché l'ex senatore Marcello Dell'Utri “per non aver commesso il fatto”; riformò parzialmente la sentenza dei giudici di primo grado nei riguardi di Leoluca Bagarella; e confermò la sentenza nei riguardi di Giovanni Brusca e per il boss Antonino Cinà.
Una sentenza pesante, quella di Palermo, giunta poco dopo quella del processo Borsellino Quater che per Salvatore Borsellino aveva rappresentato “un barlume di speranza, uno spiraglio di verità”. “Anche se finora conosciamo soltanto il dispositivo di sentenza e attendiamo di leggere le motivazioni della sentenza, posso dire che in quell’occasione (il processo di secondo grado del Trattativa Stato-mafia, ndr) si è verificato il peggiore scenario che io potessi immaginare, cioè gli imputati del Ros assolti perché il fatto non costituisce reato. Avrei potuto sopportare una sentenza in cui vi era scritto ‘per non aver commesso il fatto’, ovvero che non era accertato quello che fecero, ma scrivere che ‘il fatto non costituisce reato’ per me è una cosa gravissima - ha detto Salvatore Borsellino -. Io comprendo che il reato in gioco non era quello di ‘trattativa con la mafia’, bensì di reato a scopo politico dello Stato. Ma allo stesso tempo avrei voluto che venissero comprese quelle che sono state le conseguenze di quella trattativa. Mio fratello è stato ucciso per quella scellerata trattativa, per questa è stata velocizzata la strage di via d’Amelio, perché con Paolo Borsellino in vita quella trattativa non si sarebbe potuta compiere”.
E ancora: “Oggi si parla di trattativa come se fosse una cosa normale, ma voi pensate cosa sarebbe successo nel nostro Paese se nei 57 giorni dopo l’attentato di Capaci fosse stato rivelato all’opinione pubblica che lo Stato stava trattando con gli assassini di Giovanni Falcone. Sarebbe successo guerra civile nel nostro paese. Per questo è stato ucciso Paolo Borsellino”. Una forte presa di posizione la sua, come sempre ha preso nel corso della sua vita, con cui ha voluto togliere definitivamente dal campo delle teorie della Strage di via d’Amelio il famoso rapporto “Mafia-appalti”. “Non mi si venga a parlare di ‘Mafia-appalti’ - ha continuato -. Quello è un altro tentativo di depistaggio. Sicuramente Paolo si stava occupando di quel rapporto così come sicuramente si era reso conto del gioco sporco che stava facendo il Ros nascondendo le intercettazioni dei politici e depennando da quel rapporto alcuni nomi di esponenti politici. Ma quello non avrebbe mai potuto essere la causa accelerante di quella strage che si doveva fare subito e in fretta, come si evince da alcune dichiarazioni di Totò Riina”.
“Uno Stato che viene a patti con la mafia non è uno Stato di diritto ed è uno Stato che bisogna combattere – ha infine concluso Borsellino -. Uno Stato in cui si ipotizza addirittura di poter avere un criminale come Presidente della Repubblica senza che la gente insorga e protesti contro questa assurdità non è uno Stato da rispettare e non si può chiamare Stato di diritto. Il nostro slogan era ‘Fuori la mafia dallo Stato’, oggi il problema è che non si può più distinguere cosa è Stato e cosa è mafia. Questo è il vero problema”.
Alessandro Di Battista: “L’Italia è un Paese alla rovescia”
Si dice sorpreso Alessandro Di Battista nel constatare che, al di fuori della sala, non vi fossero telecamere di giornali e giornaloni pronti a riempirlo di domande sul suo ipotetico futuro partito piuttosto che sulle attività che si svolgono all’interno del Parlamento. “Ultimamente mi stanno chiamando spesso in televisione per farmi domande su un mio ipotetico futuro partito. Mi chiedono spesso di rilasciare interviste e spesso, in eventi come questo fuori dalla porta, ci sono fior fiore di giornalisti pronti a farmi domanda, anche sotto casa mia - ha detto -. Ebbene, il fatto che fuori da questa sala non ci sia nessuna telecamera fa capire molto. E non si tratta di interesse ma altro”.
Dopo tale affermazione ha subito voluto parlare di etica, prima ancora di abbracciare l’argomento della Trattativa Stato-mafia. “Nel 1991 – ha ricordato Di Battista - Libero Grassi venne ammazzato perché ebbe il coraggio di denunciare i suoi aguzzini che gli chiedevano il pizzo. Ebbe il coraggio pur sapendo di rischiare la vita. Ebbene in quel periodo, da Arcore o da qualche ufficio dell’impresa dell’orbita berlusconiana partivano dei bonifici per pagare Cosa nostra”. Questo, evidentemente, “non è reato”, ma rende bene l’idea di come il nostro “sia un Paese alla rovescia”. “Un Paese in cui trattare con la mafia è reato solo per i mafiosi e non per i rappresentanti istituzionali che hanno fanno da controparte; un Paese nato da una strage di Stato come quella di Portella della Ginestra; un Paese in cui nel 1980 viene fatta esplodere una stazione come quella di Bologna e uno dei pezzi grossi della massoneria toscana, legatissimo agli ambienti politici, come Licio Gelli è stato condannato per depistaggio; un Paese in cui il fondatore di un partito ancora oggi in carica al Governo, come Marcello Dell’Utri, è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa è un Paese alla rovescia”.
Un esito che si evince anche analizzando le dinamiche e i retroscena che hanno portato alla Strage di via d’Amelio: “In quel periodo in Parlamento sul tavolo del dibattito politico c’era il decreto Falcone. Una serie di norme che andavano contro gli interessi della mafia le quali, molto probabilmente, sono entrate in vigore grazie alla strage di via d’Amelio. E come mai la mafia ha commesso una strage i cui effetti erano controproducenti per la stessa? Perché gli venne ordinato dall’alto - ha detto Di Battista -. È dura ammetterlo, e si rischia di essere tacciati per complottisti, ma spesso in Italia le organizzazioni mafiose hanno rappresentato per organi deviati dello Stato bassa manovalanza. Quello che i servizi segreti deviati non avevano il coraggio di fare lo appaltavano alla mafia, così da essere sempre puliti. Quando il rischio di essere scoperti si avvicina iniziano gli omicidi strani, i depistaggi, i compromessi politici e le minacce politiche”.
La riforma della giustizia e l’ergastolo ostativo
È stata poi la volta della riforma della Giustizia, che da tempo ha acceso il dibattito istituzionale creando poli opposti tra chi ne è favorevole e chi invece, a causa delle sue lacune e delle sue grosse criticità trasversali, ne è contrario.
“Una controriforma della giustizia”, l’ha chiamata Salvatore Borsellino, “in cui lo Stato rinunzia ad essere uno Stato di diritto, perché questo rappresenta l’introduzione del concetto di improcedibilità”. “Questo - ha continuato - è il peggiore scenario che mi potessi immaginare. Ma non mi rassegno. La rabbia dentro di me aumenta e continuerò a combattere e a sperare che i giovani, come diceva mio fratello, riescano finalmente a far sentire quel fresco profumo di libertà che sempre di più è sommerso dal puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e della complicità”. Per Di Battista, la riforma Cartabia “distrugge quella fatta da Alfonso Bonafede e dal Movimento 5 Stelle”. “Quella riforma, la ‘Legge Spazzacorrotti’, soprattutto con lo stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado, era ciò che la classe dirigente italiana temeva più di ogni altra cosa - ha continuato l’ex leader del M5S -. E la riforma Cartabia nella sua gravità supera anche quella di Berlusconi perché introduce l’improcedibilità, cioè la cancellazione del processo. Ed è una riforma che serve soprattutto ai colletti bianchi”.
Infine, si è discusso di ergastolo ostativo e legislazione antimafia italiana in vista della recente sentenza della CEDU e della Corte costituzionale, le quali hanno dichiarato incostituzionale l’articolo 4bis del nostro ordinamento. “La legislazione europea in tema di contrasto alle organizzazioni criminali è dieci anni indietro rispetto a quella italiana, e per questo ha poco diritto di intervenire in materia di legislazione italiana - ha sottolineato il fratello di Paolo Borsellino -. E spesso le sentenze europee vengono adoperate per continuare a pagare le cambiali di quella trattativa con cui è stata sacrificata la vita di un servitore dello Stato come Paolo Borsellino”.
Il pericolo che rappresenta l’abolizione dell’ergastolo ostativo è molto più serio e concreto di quanto immagina l’Europa. Il rischio è che “non ci siano altri collaboratori di giustizia, viene meno così il contributo che sul piano del contrasto alle mafie può fornire la collaborazione con la giustizia”, ha detto Luana Ilardo.
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