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Ascoltati 9 teste, alcuni imparentati con l’imputato “Paolotto” Rizzuto. Prossima udienza il 3 dicembre

Castiglione Antonio, Genovese Roberto, Gioia Vincenzo, Mandaramo Maria Antonietta, Rizzuto Cosimo, Tranchina Luigi, Troisi Carmelo, Tutino Filippo, Vitale Benedetta. Sono i nomi dei teste che lo scorso venerdì 26 novembre si sono susseguiti in udienza al processo per il duplice omicidio del poliziotto Nino Agostino e la moglie incinta Ida Castelluccio, avvenuto il 5 agosto 1989. Davanti alla Corte d’assise d’appello di Palermo, presieduta da Sergio Gulotta (Monica Sammartino, giudice a latere) sono imputati Gaetano Scotto, boss dell’Arenella, con l’accusa di essere stato esecutore materiale del delitto insieme ad Antonino Madonia (già condannato in rito abbreviato la scorsa estate) e Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento aggravato. Ed è stata proprio la figura ed il ruolo di quest’ultimo l’oggetto dell’udienza celebratasi venerdì.

Ancora minorenne all’epoca dei fatti, nel 1989, “PaolottoRizzuto era amico personale di Antonino Agostino. Il giorno del duplice omicidio si trovava sul posto e la notte precedente aveva partecipato con l’agente ad una battuta di pesca. Successivamente, i due avevano dormito presso l’abitazione estiva della famiglia Agostino a Villagrazia di Carini. L’indomani mattina Agostino si sarebbe recato in ufficio, mentre il giovane si sarebbe attardato nell’abitazione. La sera l’agente è stato ucciso assieme alla moglie Ida. In quel momento non è stato ancora chiarita l’ubicazione del giovane Rizzuto né tanto meno cosa abbia fatto e dove sia andato dopo.

Per la Procura Generale, Rizzuto nel tempo ha più volte reso dichiarazioni false, contraddittorie e reticenti in ordine a quanto accaduto nel giorno e nel luogo in cui fu commesso il delitto ed, in generale, su quanto a sua conoscenza. Tramite intercettazioni, infatti, risulta che lo stesso ha dichiarato ad un proprio congiunto di aver visto l’agente Agostino a terra sanguinante e di essersi anche sporcato la maglietta indossata piegandosi sul corpo ormai esanime dell’amico, per poi fuggire buttando via l’indumento, precisando di non aver mai riferito tale circostanza quando venne sentito, poco dopo l’omicidio, dagli organi inquirenti.

Purtroppo, però, al già contorto ruolo avuto da “PaolottoRizzuto nella vicenda, a complicare le cose sono stati gli omissis, i “non ricordo” e alcune dichiarazioni verosimilmente mendaci che vemerdì hanno rilasciato alcuni teste durante l’udienza, come ad esempio Rizzuto Cosimo e Mandaramo Maria Antonietta, moglie di Castiglione Antonio (rispettivamente padre e zia dell’imputato Rizzuto Francesco Paolo), i quali, nonostante la possibilità, hanno deciso di non avvalersi della facoltà di non rispondere divenendo così a tutti gli effetti due teste. Teste i quali potrebbero rischiare la citazione in giudizio per falsa testimonianza a causa del tenore delle loro controverse dichiarazioni. Ma andiamo per gradi.

Antonio Castiglione: “Vorrei premettere signor Presidente: è passato tanto tempo”
Vorrei premettere signor presidente che sono passati 32 anni e non posso ricordarmi tutto…”. Così ha aperto il suo intervento Antonio Castiglione, prima di essere zittito immediatamente dal presidente della Corte in quanto il suo era un commento personale non richiesto (tra l’altro espresso prima del pronunciamento della formula di giuramento).

Zio acquisito di Rizzuto Paolo”, come si è definito in aula, è stato uno dei primi ad essere ascoltato in udienza, subito dopo Tutino Filippo, ex agente di polizia che nell’89 prestava servizio nell’ufficio volanti e che il giorno del duplice omicidio si è recato sul luogo e vide “una moto che stava prendendo fuoco… la gente aveva visto due persone scappare e si erano messe in un vicolo ceco. La moto era dietro il bar John Walker, in un cortile chiuso. Siamo entrati dentro e abbiamo visto questa moto andare a fuoco… e abbiamo segnalato”.

Nel 1989 Antonio Castiglione villeggiava a Villagrazia di Carini, prima di essersi trasferito nella zona più montuosa della città. A “1,3 km…1,4 km circa… facile da fare a piedi” dalla sua abitazione c’era quella della famiglia Rizzuto (prima di trasferirsi anch’essa una volta lasciata la zona balneare dallo zio acquisito di “Paolotto” Rizzuto), ha detto Castglione. E vista la vicinanza “è ovvio che ci frequentavamo (con i Rizzuto, ndr)”, ha continuato.

L’agente Agostino l’ho visto un paio di volte a casa di mio cognato Rizzuto a Palermo, ma la mia non era una conoscenza fissa”, ha detto.

La sera del 5 agosto dell’89 “verso le 20:30 circa, ho visto arrivare mio nipote Paolo Rizzuto. Gli dissi: ‘Che fai qua?’. E lui: ‘Sono venuto a trovarvi’. Ed ho risposto: ‘Che cos’è successo?’. ‘Niente’, mi rispose. ‘Ok, allora mettiti qua e mangia’. Poi verso le 23:30/00:00 ho visto arrivare una macchina della volante mi sono chiesto: ‘Ma che ci fanno qua?’. E ho visto scendere a mio cognato. Mi ha chiesto: ‘Paolo è qua?’ .’Sì, gli ho risposto… Poi lo hanno preso e portato via e non so altro”.

Castiglione non ricorda se suo nipote, Francesco Paolo Rizzuto, arrivò a casa sua a piedi o in motorino, né tanto meno ricorda com’era vestito. “Era stanco dalla strada fatta, affaticato, come se avesse fatto una gara - ha spiegato ai pm -. Mi raccontò che era scappato”. Sempre secondo il teste, però, il nipote non disse da cosa stesse fuggendo, non proferì parola su ciò che accadde o vide a pochi metri di distanza dall’abitazione quella sera e non ricorda come arrivò lì. “Fu mio nipote (Paolo Rizzuto all’epoca 15enne, ndr) parlando con mio figlio, dopo che venni chiamato a fare la prima deposizione (alla Dia nel periodo tra il 28 maggio 2018 e 24 luglio 2018, ndr), a dire che venne in motorino”.

Successivamente, in risposta alle domande dell’avvocato Fabio Repici, Castiglione ha spiegato come la sera del 5 agosto 1989 passando davanti al luogo del duplice omicidio non comprese cosa fosse successo, nonostante la confusione e nonostante la strada fosse stretta e molto affollata (era sabato) tanto che “se si mettevano due macchine, una a destra e una a sinistra, passava solo un auto al centro”. Un particolare singolare essendosi consumato l’omicidio “da poco… non vidi ambulanze”.

Infine, a conclusione del suo intervento lo “zio acquisito di Rizzuto Paolo” ha voluto fare anche una precisazione: “Conosco molto bene mio nipote. Conoscendolo abbastanza bene posso dire che lui aveva paura anche della sua ombra. Tutte le chiacchiere che io ho letto nei giornali non sono vere. Lui era grandioso tanto che a 18 anni lo chiamavano ‘Berlusconi’”.

Che dire, un nome una garanzia.

La zia dell’imputato vuole parlare, ma non sa nulla o quasi
È la volta di Mandaramo Maria Antonietta, moglie di Castiglione Antonio, nonché sorella di Emila Mandaramo, madre di Francesco Paolo Rizzuto, che, come prima cosa, ha affermato di non aver mai conosciuto la famiglia Agostino: “No mai”. Una risposta secca e dura, al limite dell’offesa per il suo tono brusco.

La sera del duplice omicidio si trovava “a casa, in cucina, a Villagrazia di Carini. Poi ho visto mio nipote spaventato. Poi è finito tutto”. Ancora una volta poche parole, asciutte, a tratti aspre trattandosi dell’assassinio di un agente di polizia e di sua moglie incinta: come se si potesse riassumere una tragedia in poche parole e senza dettagli. “Non lo so. Non ricordo il motivo per cui era spaventato mio nipote… - ha detto la zia di “PaolottoRizzuto - Non ricordo se aveva detto che c’era stato questo omicidio…”. Così come non ricorda se chiese al nipote come mai fosse là quella sera. “Era venuto perché era spaventato ed era venuto a casa. Lo vidi io, ma non chiesi i motivi. Non ricordo cosa mi disse… Rimase poco… fino a verso le 23:00 quando la Polizia lo venne a prendere in macchina con mio cognato Cosimo Rizzuto”.

Rispondendo alle domande dell’avvocato Repici sono emersi dettagli utili alla comprensione del quadro generale. Infatti, stando a quanto ha raccontato Mandaramo Maria Antonietta, è emerso che il 5 agosto 1989 sua sorella era assieme a lei nell’abitazione dalla mattina e si è protratta fino a tarda sera. Inoltre, dalla sera dell’omicidio Agostino, zia e nipote non hanno più avuto modo di parlare fra loro. Stessa sorte per Emila Mandaramo con cui Maria Antonietta, ha detto quest’ultima, a causa di una lite familiare, non si frequenta più dal giorno del duplice omicidio perché “ci allontanammo un po’…. battibecco… però ogni tanto ci sentivamo al telefono”. Ma qui la musica sembrerebbe cambiare. Se prima, infatti, la teste disse all’avvocato Repici che l’omicidio Agostino era completamente estraneo all’interruzione dei rapporti fra lei e sua sorella, in risposta alle domande del Presidente della Corte Sergio Gulotta la versione è cambiata: “C’era già qualcosa che non andava (fra le due sorelle Mandaramo, ndr)… poi ci fu tutto questo magistero…”. “Si riferisce al delitto Agostino?”, ha chiesto Gullotta. “Si - ha risposto Mandaramo Maria Antonietta -. Ma loro non c’entrano niente nell’omicidio…. e comunque già c’era qualcosa che non andava”. E una volta resasi conto di ciò che ha detto, alla domanda del presidente Gullotta “Ok ma da quella sera cosa accadde per dire: ‘Basta. Già i rapporti erano così così… ora basta?”, lei è tornata sui suoi passi: “Non ricordo”. Me non è tutto.

La cena della discordia
La ricostruzione storica di Mandaramo Maria Antonietta è parsa ancora “traballante” quando a porre le domande è stato ancora una volta l’avvocato Repici. Una situazione imbarazzante, al limite del tragicomico trattandosi del retroscena di un duplice omicidio. Inizialmente la Mandaramo ha detto che il nipote venne a cena a casa sua, poi disse “no non è venuto…Cioè venne ma non a cenare. Era spaventato e non mangiò”. Poi rivelò che in quel momento sua sorella “era lì” e stette tutto il giorno da lei tanto che “venne a pranzo, poi la sera e poi se ne andarono tutti”. A seguire fa un dietrofrónt: “No non abbiamo cenato, perché c’è stato questo trambusto…. Mio nipote che stava male…”. E, ancora, che quando il cognato venne verso le 23 con l’auto della Polizia “già avevamo finito tutto”. E alla domanda di Repici “allora… mettiamoci d’accordo…Dunque sua sorella cenò con voi?” lei ha risposto: “Si avevamo cenato insieme”.

A seguire giunse suo nipote Paolo spaventato. Alla scena assistette anche la madre del giovane la quale, sempre a detta della teste, vide il suo stato di agitazione ma stranamente a “PaolottoRizzuto non chiese cosa fosse successo; così come Mandaramo Maria Antonietta non ha mai parlato con il marito (Castiglione Antonio) di ciò che accade quella sera nel corso del tempo “perché la cosa non ci interessava”. Anche se è difficile credere che un ragazzino di 15 anni entri in una abitazione di notte, spaventato e terrorizzato dopo che è stato commesso un duplice omicidio, si sono uditi gli spari, in strada c’era confusione, e né la madre né la zia - presenti nell’abitazione – per ore non abbiano chiesto al giovane cosa fosse successo, cosa avesse visto  o che lo stesso ragazzo abbia parlato spontaneamente. Strano, ma rimane una situazione di cui si può “solo prendere atto”, come ha detto il Presidente Gulotta.

Il 5 agosto ’89 di Cosimo Rizzuto
Stavo salendo per andare a cenare da mia cognata Mandaramo a Carini. Sul tetto della mia macchina avevo la mia barca che volevo lasciare a Nino dopo che me l’aveva chiesta perché io dovevo modificare la sua per fare la lampara e gli scalmi per i remi”. Sono le parole con cui Cosimo Rizzuto, padre di “Paolotto”, nel corso dell’udienza ha ricostruito il giorno del duplice omicidio. Suo figlio e l’agente Agostino erano molto amici ed erano appassionati dalla pesca. La sera del 4 agosto ’89 Nino Agostino chiese a Cosimo Rizzuto se il figlio avesse potuto pescare con lui quella notte. E così andò, tanto che il 15enne rimase a casa dell’agente a dormire, poche decine di metri più in là rispetto al suo lotto.

Secondo quanto più volte raccontato da Vincenzo Agostino, padre dell’agente assassinato, “la mattina (del 5 agosto ’89, ndr), il padre di Francesco Paolo mi chiese la barca di Nino. Nel pomeriggio, invece, il ragazzo mi domandò più volte a che ora sarebbe tornato mio figlio, che quel giorno aveva cambiato turno di lavoro. Ma appena arrivò, Francesco Paolo andò via. Mi sono sempre chiesto perché. Pochi attimi dopo, si presentarono i killer”.

Una ricostruzione diversa rispetto a quella fatta da Cosimo Rizzuto il quale ha detto che, quel giorno, una volta arrivato in prossimità del lotto della famiglia Agostino vide “che c’era un omicidio e allora mi sono fermato più avanti con la macchina e c’erano persone, non ricordo chi, che mi disserotuo figlio se n’è andato da tua cognata’. Io già ero più tranquillo vista la confusione in strada. Chiesi cosa fosse successo e mi dissero che avevano ucciso due persone. Io ero preoccupato per mio figlio. Lì c’era suo padre (Vincenzo, ndr) a terra con il figlio (Nino, ndr) che urlava: ‘Hanno ucciso mio figlio, hanno ucciso mio figlio’. Io mi sono allontanato…”.

E ancora: “Poi, con la barca sul tetto, sono andato in ospedale perché c’era la moglie di Nino in ospedale a Carini, sono entrato e ho visto la barella in cui era morta… e non so bene se sono rimasto là o sono andato… E poi sono andato da mia cognata e c’era mio figlio là. E l’ho lasciato là… rimaneva sempre là 3/4 giorni…”.

Le discrepanze nella ricostruzione di Rizzuto
Anche in questa testimonianza a poco a poco sono emerse alcune discrepanze, non soltanto con quanto afferma da sempre la famiglia Agostino, bensì anche con quanto affermano altri teste uditi nel corso della giornata di venerdì. Le dichiarazioni di Cosimo Rizzuto, infatti, in alcuni aspetti collidono con quelle di Mandaramo Maria Antonietta.

Quando fece tutto questo percorso era con qualcuno?”, ha chiesto il pm Umberto De Giglio. “Con mia moglie”, ha risposto il teste. Una discrepanza non da poco dato che poco prima sua moglie, Emila Mandaramo, venne ubicata a casa della sorella proprio dalla stessa Mandaramo Maria Antonietta. Inoltre, Cosimo Rizzuto ha anche affermato di non aver visto il figlio per tutto l’arco della giornata fino a sera quando “mi venne a prendere la Polizia per andare in commissariato. Una volta arrivati mi dissero: ‘Serve il ragazzo’. E io risposi che era a Carini. E allora lo andammo a prendere…. E andammo in caserma”. Ma quando vide il figlio non gli parve “particolarmente spaventato o agitato”.

In merito all’omicidio ha poi detto: “Si, era pure là mio figlio… mio figlio me l’ha detto che era pure là nella spiaggia e ha sentito forte… e ha visto un uomo a terra e poi se né andato da mia cognata. E l’hanno visto tutti là, ma non mi ricordo chi è stato…”. E che alla cognata di Cosimo Rizzuto disse anche: “Che lui si trovava nella spiaggia, sentì un rumore forte, andò lì (nel luogo del delitto, ndr) e aveva visto a Nino a terra e anche suo padre (Vincenzo, ndr), per poi andare da mia cognata”.

Di certo c’è solo che “Paolotto” Rizzuto se ne andò via
Nella ricostruzione storica dei fatti spesso è emersa la presenza di un motorino/motocicletta usata da Francesco Paolo Rizzuto. “Mi hanno detto che andò da mia cognata accompagnato… poi mi hanno detto con il motorino…”. E ancora: “Mio figlio mi disse che ha cercato un motorino e ce l’hanno dato…”, ha detto Cosimo Rizzuto. A Carini, nella zona balneare, “Paolotto” aveva la possibilità di utilizzare un motorino. “C’era un signore che glielo prestava: il signor Tranchina”. “Quando non c’era nessuno là e c’era mia suocera e basta, e doveva comprare un pane, gli dava il motorino”. Tutto ciò mentre ancora i Rizzuto abitavano nella zona balneare di Villagrazia di Carini, prima di trasferirsi. Ma, come prontamente sottolineato da Repici, “c’è il problema del calendario” in quanto Cosimo Rizzuto ha detto di aver lasciato la villeggiatura al mare “un ‘anno e mezzo, due anni prima dell’omicidio”, ovvero “a metà estate del 1987”. Anno in cui Francesco Paolo Rizzuto aveva solo 13 anni. Ed ecco dunque che si è creata una nuova matassa storica. A quell’età suo figlio “portava un motorino?”, ha chiesto Repici. “No”, ha risposto il teste. “Ma lei ha appena detto che certe volte usava il motorino di Tranchina. Giusto?”, “Si”. “Ma se voi là ci siete stati l’ultima volta quando suo figlio aveva 13 anni, come ha fatto Tranchina a prestare a suo figlio il motorino quel giorno?”. “Quando eravamo là… - ha risposto Cosimo Rizzuto - Salivano e scendevano… salivano e scendevano… non è che andavamo via completamente… quando noi siamo scesi di Carini c’è quando ‘acchianavano’ c’è quando scendevano. Poi quando l’avvocato…. Noi l’abbiamo lasciato completamente…”. E ancora: “No… non ce n’era motorino… non ne usava motorino… niente. No, no, no… mi ricordo male… Non posso?”.

E poi: “Quando andava là spettava a suo figlio comprare il pane per il pranzo alla famiglia Agostino?”, ha continuato il legale. “No nella maniera più assoluta”. “Dunque, suo figlio non ebbe mai modo di usare il motorino di Tranchina, giusto?”. “Non lo so se qualche volta l’ha usato - ha detto il padre di “PaolottoRizzuto -. Può essere che l’ha usato quando c’è stato l’omicidio…. Ma non lo so questo”. Per il momento, dunque, di certo c’è solo che “PaolottoRizzuto dopo il duplice omicidio se ne andò via dal lotto degli Agostino.

“Stai zitto” significa “dì tutto ciò che sai”
Un’altra circostanza molto bizzarra è quella avvenuta il 22 febbraio 2018 quando Cosimo Rizzuto e suo figlio Francesco Paolo vennero convocati dalla Dia per testimoniare. Il chiarimento che si è voluto fare su quella giornata riguardava un potenziale tentativo di Cosimo Rizzuto di influenzare il figlio “intimandolo a non parlare, a stare zitto e non dire niente” alla Dia, hanno detto i pm. Il tutto è sorto da una registrazione video in cui le telecamere immortalarono per ben due volte il Cosimo Rizzuto avvicinare l’indice al naso nei confronti di suo figlio nel chiaro gesto di non parlare. “Non parlare sì - ha confermato il teste -. Ma nel senso di dichiarare tutto ciò che sai tu bene. Non parlare di queste cose con qualche parola ‘malecapita’… e allora è meglio non parlare di queste cose in questi casi”. “Quindi quel gesto significava dire tutta la verità che sapeva?”, hanno chiesto i pm. “Si esatto”, ha risposto Rizzuto. Anche in questo caso la Corte, evidentemente sbalordita, non ha potuto fare altro che prendere atto di quanto affermato e procedere con le domande. Anche se, senza ombra di dubbio, dopo quell’affermazione in aula si è creata una situazione di imbarazzo per tale dichiarazione: più unica che rara.

Insomma, quella celebratasi venerdì 26 novembre è stata un’udienza che ha in parte confermato quanto già sostenuto dalla pubblica accusa, e in parte rivelato nuovi dettagli, particolari e ricostruzioni inedite. La prossima udienza sarà venerdì 3 dicembre nella quale verranno ascoltati i periti trascrittori, Saverio Lodato, Guido Longo, Andrea e Giustino Piazza, Massimo Crignani e Vincenzo Di Blasi (ora detenuto). Ci si augura che la settimana prossima non si verifichi un’udienza simile a quella celebratasi due giorni fa: colma di contraddizioni, confusione e nuove matasse da sbrogliare.

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