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Alla Leopolda l'attacco gratuito contro il magistrato Nino Di Matteo

Dopo un anno di stop a causa del Covid, a Firenze è tornata la Leopolda, il convegno di Italia viva. Aspettando l'intervento del leader Matteo Renzi, si può già intravedere quello che sarà il futuro del partito dopo gli ammiccamenti a Forza Italia e quella sponda (non smentita) per un eventuale appoggio a Silvio Berlusconi per la nomina al Quirinale. 
Basta sentire i discorsi sulla giustizia con l'ospitata a quei magistrati amici, come l'ex pm Carlo Nordio, che ha parlato di "processo politico" contro Renzi, per il caso Open. 
Ma non si è limitato a questo. Perché nel suo intervento il già procuratore aggiunto di Venezia ha attaccato direttamente Nino Di Matteo a sostegno della sua tesi sulla separazione delle carriere. 
“La corte d’assise di Palermo ha sgretolato l’inchiesta della Trattativa stato mafia assolvendo il generale Mori e tanti altri imputati, smentendo l’impostazione accusatoria del pubblico ministero, uno dei quali era il dottor di Matteo, oggi il dottor di Matteo siede al Consiglio superiore della magistratura - ha detto - Se i due giudici togati dovessero un domani chiedere una valutazione o una promozione la chiederanno al Csm, e chi siede al Csm? Siede il dottore di Matteo. Ci troviamo nella condizione paradossale e secondo me demenziale, che un giudice viene giudicato nella sua progressione dal pubblico ministero al quale quello stesso giudice aveva dato torto. Se noi spiegassimo queste cose a un giurista americano questo resterebbe perplesso perché per lui questa cosa è incomprensibile, però purtroppo è così”.
Nordio, nel suo lungo parlare, scorda un dato non secondario. Dalla lettura del dispositivo della Corte d'assise d'appello di Palermo si evince che l'esistenza della trattativa in sé non si può mettere in dubbio. La trattativa tra uomini dello Stato ed esponenti di Cosa nostra c’è stata, ma non costituisce reato, tanto che Mori è stato assolto perché "il fatto non costituisce reato", ma non viene messo in dubbio quell'interlocuzione tra uomini dello Stato ed il sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino. 
E aspettando di leggere le motivazioni della sentenza c'è da capire il ruolo riconosciuto al medico di fiducia di Totò Riina, Antonino Cinà, condannato a 12 anni di reclusione, appunto, per il reato di violenza o minaccia a corpo politico. 
Dire, dunque, che l'inchiesta è stata "sgretolata" è una fandonia, perché i fatti che sono stati portati alla luce restano e rappresentano una gravità assoluta. E come è sancito da altre sentenze definitive è certo che quel dialogo avviato “per fermare le stragi” (come dissero gli stessi carabinieri) rafforzò il convincimento di Cosa nostra che le stragi pagassero. 
“L’iniziativa del Ros - si legge nella sentenza di Firenze - (perché di questo organismo si parla, posto che vide coinvolto un capitano, un vicecomandante e lo stesso comandante del Reparto) aveva tutte le caratteristiche per apparire come una 'trattativa'; l’effetto che ebbe sui capi mafiosi fu quello di convincerli, definitivamente, che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione (trattativa Ciancimino, nda)”.
Ma di questo, ovviamente, i Nordio di turno non parlano mai. O perché non sanno, o perché fanno finta di non sapere, o perché scelgono di omettere il resto della storia. 
E allora ben venga il coraggio di Di Matteo e di tutti quei magistrati che, senza troppi peli sulla lingua, continuano a difendere l'autonomia e l'indipendenza della magistratura denunciando fenomeni come il carrierismo ed il correntismo. La lotta al Sistema criminale, del resto, passa anche da questo.

Foto © Imagoeconomica

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