Oltre alle potenze del Golfo anche Putin gioca un ruolo fondamentale a Khartum
Dopo il golpe della scorsa settimana, in diversi quartieri della città di Khartoum migliaia di cittadini sono scesi in corteo per protestare contro i militari saliti al potere. L’esercito ha represso i manifestanti e due di questi sarebbero stati uccisi da miliziani vicini all’esercito nel corso della mobilitazione nazionale. L’episodio sarebbe avvenuto a Ondurman, nei dintorni della capitale Khartoum, dove gruppi armati avrebbero fatto fuoco sulla folla. Lo ha riferito dal suo profilo Twitter il fondatore della ong giovanile Hanbneho Youth Initiative, che sta rilanciando in diretta informazioni sulle proteste. Fino a quel momento la mobilitazione, che vede una massiccia presenza della popolazione ed è stata denominata “Il milione del 30 ottobre”, sembrava procedere in modo pacifico. Stando ad alcune fonti, i militari hanno impedito ai feriti di accedere agli ospedali. Nonostante continuino le denunce di blocchi alla rete internet e alle telecomunicazioni, confermate anche dal portale di monitoraggio della rete Net Blocks, che riferisce di una “significativa interruzione” dei servizi web, alcuni emittenti, attivisti e blogger riescono a riportare cosa sta avvenendo nella città. Secondo Sudan Tv, le forze di sicurezza hanno chiuso tutte le vie di accesso alla città eccetto i ponti di Halfaya e Soba.
Nel retroscena degli scontri, però, si muovono interessi divergenti da parte di nazioni vicine e non solo. Non è una novità, infatti, che il Sudan è un Paese attenzionato da molte potenze del Golfo, come ad esempio il Qatar, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che fin dagli anni '70 hanno visto in Khartum una sorta di granaio dal quale attingere per colmare il proprio fabbisogno alimentare.
Ma le potenze del Golfo non sono le uniche coinvolte nello scacchiere sudanese. Un altro attore che guarda con interesse al golpe in Sudan è senz’altro la Cina. Pechino è sempre stata abile a mantenere relazioni amichevoli durante i diversi periodi di leadership politica che si sono susseguiti in Sudan. E, oltre alla Cina di Xi Jinping, in Sudan è presente in maniera importante un’altra superpotenza: la Russia.
Da tempo, infatti, la federazione russa fornisce la stragrande maggioranza delle armi in dotazione alle forze armate del Sudan. Putin ha ampliato la sua presenza in Africa negli ultimi anni e il Sudan è stato al centro dei progetti di Mosca, soprattutto nel campo della sicurezza. I due Stati hanno concordato lo scorso dicembre l’istituzione di una base logistica navale russa sulla costa del Mar Rosso sudanese. Ad ottobre, però, tra Russia e Sudan le trattative erano ancora in corso in attesa di un’approvazione da parte del nuovo Parlamento di Khartum. Inoltre, le autorità di transizione del Sudan - stando a quanto riferito nei mesi scorsi da fonti USA - avrebbero anche congelato ogni nuovo dispiegamento di militari russi nel Mar Rosso.
Ora, con l’arresto e la destituzione del primo ministro Abdalla Hamdok - su cui Washington aveva fatto leva per reintegrare Khartum nel circuito diplomatico e finanziario internazionale -, è probabile che la trattativa venga accelerata, andando a beneficio di Mosca.
Infine, va anche sottolineato che in Sudan sono presenti anche membri della compagnia paramilitare privata russa Wagner (si attende ancora una conferma ufficiale). Fattore che ha ulteriormente spinto gli Stati Uniti a imporre sanzioni lo scorso anno contro l’uomo d’affari russo Jevgenij Prigozhin, che secondo il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti avrebbe finanziato un tentativo guidato da Wagner di reprimere le proteste contro Bashir. Da parte sua, la Russia ha accusato gli Stati Uniti di interferire negli affari sudanesi, anche nel sostegno al colpo di Stato del 2019. A ribadire le lamentele si è aggregato anche il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov il quale, in una dichiarazione rilasciata la scorsa settimana e lunedì scorso - subito dopo il golpe -, pur senza sostenere esplicitamente le mosse di Burhan ha affermato che tali azioni sembrano trovare origine nelle “carenze” del governo di transizione.
In sintesi, il Sudan si rivela essere ancora una volta uno quadro complesso in cui sono in gioco forti ingerenze e influenze internazionali. Come insegna la Storia, questo è il prezzo che paga chiunque abbia una posizione strategica nello scacchiere internazionale.