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Ai microfoni di ANTIMAFIADuemila la giornalista Maria Grazia Mazzola e i magistrati Carmelo Zuccaro, Gaetano Paci e Leonardo Guarnotta

Si è tenuto oggi venerdì 29 ottobre 2021 al Teatro Flaiano di Pescara il Premio nazionale Paolo Borsellino arrivato alla sua XXV Edizione. Da alcuni anni il Premio - istituito nel 1992, in memoria del Giudice Paolo Borsellino - è coordinato dall'Associazione Falcone e Borsellino che, attraverso numerosi strumenti di comunicazione, cerca di sensibilizzare gli studenti di tutte le scuole d'Italia sul tema del contrasto alle mafie.
Durante la cerimonia sono saliti sul palco a ritirare il premio: il parroco di Caivano, don Maurizio Patriciello, il vescovo della diocesi di Locri-Gerace, Francesco Oliva, il prefetto di Foggia Raffaele Grassi, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Gaetano Paci, il procuratore distrettuale di Catania Carmelo Zuccaro, il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri Teo LuziRosa de Fabritiis, delegata “Progetto Legalità” dell’Istituto alberghiero e turistico “Filippo De Cecco” di Pescara, Antonio La Scala, avvocato penalista e presidente della associazione “Gens Nova”, l’ispettore della Guardia di Finanza Marco Grassi, Pinuccio Fazio, papà di Michele, vittima di mafia, e fondatore dell’Associazione culturale “Michele Fazio”,  il presidente dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo Stefano Pallotta, l’editorialista del Corriere della Sera Giovanni Bianconi, l’inviata speciale del Tg1 Maria Grazia Mazzola, Roberto Lipari, attore comico siciliano e conduttore del programma di Mediaset “Striscia la Notizia” e Giovanni Parapini, direttore della Direzione Rai per il sociale.
Il presidente del Premio, prefetto Luigi Savina, e la presidente dell’Associazione Falcone e Borsellino Gabriella Sperandio nel corso dell’evento hanno illustrato il programma insieme al prefetto di Pescara Giancarlo Di Vincenzo, al questore Luigi Liguori, al sindaco Carlo Masci e alla dirigente dell’Istituto alberghiero e turistico “Filippo De Cecco” Alessandra Di Pietro. Al fine di entrare più nel dettaglio in merito alla situazione della lotta alla mafia in Italia abbiamo raggiunto alcuni addetti ai lavori tra cui i magistrati Gaetano Paci, Carmelo Zuccaro, l’ex membro del pool di Palermo Leonardo Guarnotta e la giornalista Maria Grazia Mazzola.

Procuratore Zuccaro: "Lo Stato dovrebbe avere nei primissimi posti il contrasto alle mafie"
Non ha usato mezze parole il magistrato catanese nel parlare della mancata priorità che il nostro Paese dà al contrasto alle mafie. "Lo Stato dovrebbe avere nei primissimi posti il contrasto alle mafie, a tutte le mafie e in qualunque momento. Finché ci saranno le mafie non ci potrà mai essere uno sviluppo economico che sia sano, sostenibile. Non vi potrà mai essere un impiego delle risorse pubbliche in maniera tale da poter soddisfare le tante esigenze della società". "La vera potenza della mafia si esprime nell'infiltrazione del tessuto economico, sociale e politico. Ed è quello che dobbiamo combattere. E la mafia catanese da questo punto di vista tradizionalmente è stata una mafia di vocazione affaristico imprenditoriale. Non adesso ma già negli anni 80'. Quando Nitto Santapaola capo della famiglia di Cosa Nostra era il capo e titolare di una concessionaria di auto che quando venne inaugurata a Catania ricevette le visite del prefetto e delle istituzioni. Questa è la mafia catanese. E' una mafia che fa affari. Non è una mafia che ama uccidere. Lo fa quando si sente minacciata”. Secondo il magistrato è proprio per questi motivi che non c’è “nella mafia catanese, o in quella palermitana e neanche in quella calabrese la volontà di ripetere le stragi”. “D’altra parte - ha continuato - quelle stragi sono legate a quei momenti” di “carattere eccezionale. La mafia in quel momento (gli anni 90’ ndr) si sentiva in pericolo perché c’erano determinate persone che avevano raggiunto le istituzioni, in particolare Giovanni Falcone, si sentiva in pericolo perché il maxi processo di Palermo era arrivato a conclusione e i capi mafia di Cosa Nostra erano stati condannati per reati che non avevano commesso materialmente ma di cui erano i mandanti. Quindi è nel momento di crisi che porta le mafie a queste tensioni”.
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Il procuratore Carmelo Zuccaro ha poi sottolineato che "uno dei fattori che rende la mafia più forte è il problema dell'ignoranza, della sottocultura e del sottosviluppo che sono strettamente connesse tra di loro e questo fa apparire più evidente lo scollamento con le istruzioni. Però i maggiori responsabili di queste situazioni non sono tanto le persone che non condividono determinate battaglie. E' il problema della credibilità delle istituzioni che le battaglie dovrebbero renderle credibili alla gente. E' il problema che delle persone, avendo responsabilità di qualsiasi tipo, proclamano qualcosa ma poi nell'operato di ogni giorno tradiscono in continuazione quello che affermando di credere. E la credibilità delle istituzioni è uno dei problemi più grossi che rende meno efficace il contrasto alle mafie. Per esempio Falcone e Borsellino hanno pagato con la loro vita perché erano coerenti. Più coerenza e meno necessità di avere degli eroi. Occorrono semplicemente delle persone che facciano fino in fondo il proprio dovere".

La riforma della giustizia e il Pnrr
L'ex membro del pool antimafia di Palermo Leonardo Guarnotta ha espresso infine delle riserve in merito alla tanto chiacchierata riforma della giustizia firmata dal guardasigilli Marta Cartabia:
"Io per certi versi non riesco a comprendere. Questa riforma della giustizia è stata fatta in modo molto veloce" ma ci sarei andato cauto "con queste riforma, perché ne va della giustizia. Quindi ne va di tutti noi". Inoltre l'ex magistrato ha evidenziato che "si correranno dei rischi" in merito alle infiltrazioni mafiose nel Pnrr (Piano nazionale ripresa e resilienza ndr) sottolineando che "bisognerebbe prendere delle misure almeno per evitare in buona parte questi rischi. Ma come sempre accade in queste cose, la mafia e altre attività criminali, sono pronte ad inserirsi" poiché, ha aggiunto, non producono ricchezza, "ma la vanno a prendere da un'altra parte".

La 'Ndrangheta e le sue influenze sull'assetto democratico
Il fatto che la mafia calabrese sia in grado di influenzare gli assetti democratici del nostro Paese è un fatto ormai accertato. Lo ha ribadito anche il procuratore di Reggio Calabria Gaetano Paci, il quale ha detto che "lo dimostrano le tante inchieste degli uffici giudiziari calabresi dove" emergono "soggetti che occupano posti anche istituzionali, oltre che imprenditoriali, sociali e politici. E più che ricorrente direi che è necessario per la 'Ndrangheta coltivare e stabilizzare il proprio potere all'interno dei mercati" e "all'interno della società civile e quindi il rapporto con istituzioni", o meglio "con soggetti legati alle istituzioni i quali spesso cercano la 'Ndrangheta in occasione di competizioni elettorali".
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Questo, ha continuato, "diventa il modo per consolidare un'alleanza criminale per occupare gli spazi dell'agibilità democratica e per creare condizioni di gravissima disuguaglianza perché ovviamente l'obbiettivo primario della 'Ndrangheta è quello di avvantaggiarsi nella gestione delle risorse pubbliche e quindi nella creazione di corsie preferenziali rispetto quelli che dovrebbero essere i criteri demografici anche di gestione della spesa pubblica". Inoltre il magistrato reggino in merito ai possibili intrecci tra la 'Ndrangheta e pezzi infedeli delle istituzioni ha detto che si tratta di "un tema di grande attualità e sicuramente costituisce oggetto di costante e rigoroso accertamento da parte dell'autorità giudiziaria. Certamente se la 'Ndrangheta adesso è diventata quello che le inchieste documentano lo si deve anche al livello di impunità che nel corso dei decenni ha conseguito. Tuttavia però bisogna anche dire che questa impunità progressivamente sta venendo meno proprio perché certi patti e certe alleanze nell'ombra e sotterranee via via si sono sgretolate grazie soprattutto al lavoro efficace e direi inflessibile e rigoroso dell'inchiesta dell'autorità giudiziaria".

Il pericolo che corre il giornalismo di inchiesta
L'inviata del Tg1 Maria Grazia Mazzola ha più volte sottolineato nel corso della cerimonia di premiazione che il giornalismo di inchiesta rischia di scomparire date le gravi pressioni a cui è sottoposta la stampa. Raggiunta dai nostri microfoni ha specificato che "il problema è questo: se non c'è un giornalismo libero, garantito, che sia protetto dalle querele temerarie, dalle minacce, dalle intimidazioni e dalle messe in mora prima della messa in onda noi andremo veramente non più verso una democrazia piena ma andremo verso una democrazia ridotta dove" non ci sarà più "l'inchiesta libera e investigativa". Infine la giornalista ha ribadito l'importanza dell'inchiesta giornalistica nella lotta alla mafia dicendo che occorre "indagare oltre l'ufficialità. Scendere dentro il profondo della realtà Italiana, che è abbastanza malata, e denunciare".

Foto © Davide de Bari

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