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Nuovo rinvio per l'inizio del processo d'Appello

Falsa partenza al processo d’appello “Ndrangheta stragista”, che in primo grado ha dimostrato come nelle stragi di mafia degli anni Novanta sia stata coinvolta anche la ‘Ndrangheta.
Nel luglio 2020 sono stati condannati all'ergastolo il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, mammasantissima di Melicucco e uomo del clan Piromalli, fino al suo arresto rimasto fuori dall’orbita investigativa.

Non un caso, ma una strategia dei massimi vertici della ‘Ndrangheta per tutelare uomini con ruoli chiave. Tale era Filippone, “responsabile delle cariche” per i pentiti della Piana, avatar dei Piromalli nella gestione della parte esecutiva della stagione stragista calabrese, cui ha “immolato” anche il nipote. Giuseppe Calabrò, pentito e poi pentito di essersi pentito, è uno degli esecutori materiali di quei tre attentati contro i carabinieri, costati la vita ai brigadieri Fava e Garofalo e ferite ad altri quattro militari, con cui fra il 93 e il 94 i clan calabresi hanno firmato la propria partecipazione alla strategia eversiva passata anche dagli attentati continentali. Bombe, sangue e morti che sono solo la parte visibile di un piano in più fasi concepito negli anni della caduta del muro di Berlino e del crollo della Prima Repubblica per mantenere intatto quel blocco di potere fatto di mafie, ambienti piduisti, settori dell’intelligence e dell’eversione nera che con il cambio di equilibri e priorità strategiche sarebbe diventato obsoleto. 

Si tratta di un quadro già emerso in dibattimento in primo grado e confermato dalla sentenza, ma che per la procura generale - rappresentata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dal pm Walter Ignazzitto, applicati al processo d’appello - deve essere ancora approfondito. Per questo la pubblica accusa è intenzionata a chiedere la riapertura dell’istruttoria, ma sarà costretta ad aspettare il prossimo 18 novembre. È per quella data che il presidente della Corte d’Assise d’Appello, Bruno Muscolo ha rinviato il processo dopo una camera di Consiglio di quasi tre ore. Tanto ci è voluto per valutare le eccezioni sollevate da Giuseppe Aloisio, legale di Graviano, che ha seguito l’udienza in videocollegamento dal carcere in cui si trova il suo assistito.

Al centro delle doglianze del legale, l’impossibilità di Graviano di accedere alle videointercettazioni dei suoi colloqui in carcere con Adinolfi, finiti agli atti del processo. Questione che tiene banco già dal primo grado, oggetto di fitta quanto inconcludente corrispondenza fra il Dap e la casa circondariale di Terni, in due anni incapaci di fornire al boss di Brancaccio uno strumento adeguato per esaminare quei file. 

"Non abbiamo capito - ha detto il procuratore aggiunto di Reggio Giuseppe Lombardo che rappresenta l'accusa anche in appello - per quale ragione Graviano non è stato dotato di un lettore idoneo. La Procura generale non attenderà più iniziative, ma interloquirà oggi stesso con il carcere di Terni e con il Dap perché il tempo che è passato mi sembra eccessivo". Ulteriore questione sollevata da Graviano, l’autorizzazione a visionare le motivazioni della sentenza, arrivata troppo a ridosso della scadenza termini per la presentazione di motivi di appello per consentirgli di suggerire spunti difensivi al suo legale. 

Per risolvere queste questioni, che in alternativa avrebbero rischiato di zavorrare il procedimento tracciando già la strada per un ricorso in Cassazione, il presidente Muscolo ha concesso un rinvio. Dopo, toccherà ad accusa e difesa. Che si sappia, anche il legale di Graviano è intenzionato a chiedere l’escussione di nuovi testi e l’acquisizione di nuove prove. 
Non si può infine escludere a priori che agli atti finiscano anche documenti e altro materiale sequestrati nel corso delle perquisizioni che lo stesso giorno dell’udienza sono scattate a casa di una decina di familiari e parenti di Graviano per ordine della procura di Firenze. Gli investigatori della Dia sono intervenuti a Palermo, Rovigo e Roma, spesso dalle abitazioni dei parenti di Graviano sono andati via con scatoloni di materiale. Al centro dell’attività, la ricerca di riscontri alle dichiarazioni che il boss di Brancaccio ha reso nel corso del primo grado del processo “’Ndrangheta stragista” e poi avrebbe confermato nel corso di diversi interrogatori con i pm di Firenze. 
Nelle motivazioni della sentenza di primo grado le parole di Graviano venivano indicate come "prive di riscontri". Ma la Procura di Firenze, che già aveva aperto l'inchiesta sui mandanti esterni dopo le intercettazioni in carcere del boss di Brancaccio, vuole comunque approfondire. 
In particolar modo, oggi si cerca quella scrittura privata che secondo Graviano prova il finanziamento da 20 miliardi di lire che suo nonno materno e altre famiglie siciliane avrebbero elargito a Berlusconi negli anni Ottanta. Soldi poi finiti “nelle televisioni, nell’edilizia, tutto” ha detto il boss.

Rielaborazione grafica by Paolo Bassani

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