Oggi in aula sentito l'ispettore La Monica che già nel 1989 rivelò le confidenze del poliziotto
"Eravamo in barca, a pescare, quando Nino Agostino mi disse che stava cercando di catturare l'allora latitante Bernardo Provenzano, poi mi disse che aspettava un collega del nord che lavorava con lui. Dopo l'omicidio di Nino scrissi tutto in una relazione (datata 6 agosto 1989 e che verrà seguita anche da una successiva del gennaio 1993, ndr). Di questo parlai con il dottor La Barbera, capo della Squadra Mobile, e fu proprio lui a ricordarmi il nome della persona, Paolilli". Ha avuto inizio da qui la testimonianza dell'ispettore Domenico La Monica, sentito oggi dalla Corte d'Assise di Palermo (presidente Sergio Gulotta, Monica Sammartino giudice a latere, ndr) al processo sull'omicidio dell'agente di polizia ucciso il 5 agosto 1989, assieme alla moglie incinta, Ida Castelluccio, che vede imputati Gaetano Scotto, accusato di duplice omicidio aggravato, e Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento.
La Monica, che con Agostino lavorava al commissariato San Lorenzo, rispondendo alle domande dei sostituti Pg, Domenico Gozzo e Umberto De Giglio, ha raccontato di quelle confidenze raccolte in diversi momenti, da cui emergeva come Agostino fosse impegnato in un'attività parallela al servizio ufficiale.
"Sono tre i momenti - ha ricordato il teste - In un'occasione mi disse della cattura di Provenzano (nella relazione di servizio scrisse anche che Agostino fece riferimento a Riina, ndr) poi del suo lavoro con i servizi. Quando? Parlando del nostro funzionario, Lorenzo Antinoro, gli dissi che si avvaleva di buoni confidenti e collaboratori e che uno di questi era Alberto Volo. Lui mi rispose: 'E mi vuoi far conoscere a me Alberto Volo?' e dopo questa frase mi disse 'mi sai parlare dei servizi segreti?'. E a mo di sfottò io dissi a lui: 'tu lavori per i servizi?'. E lui rispose di sì".
La terza occasione è quella in cui Agostino gli riferì di quel soggetto del nord che aspettava, ovvero Guido Paolilli. Nonostante le relazioni di servizio, solo nel maggio 1993 fu convocato a Caltanissetta per riferire su quanto avesse appreso.
Del resto, tra le altre confidenze raccolte, vi era anche un riferimento all'Addaura e al fallito attentato a Falcone: "Eravamo di pattuglia e parlavano dell'attentato. E lui mi disse 'me lo vuoi dire a me?'. L'impressione era come se lui le avesse vissute direttamente certe cose".
La Monica ha anche raccontato i turbamenti di Agostino nei mesi precedenti il delitto quando, in una prima occasione, portò con sé la pistola di ordinanza durante una battuta di pesca. Oppure quando gli chiese di verificare se, durante un servizio, c'era un'auto che li seguiva.
Il Commissariato San Lorenzo e quei rapporti borderline
Durante la deposizione è emerso come all'interno del Commissariato San Lorenzo, istituito nel 1987 nell'omonimo quartiere di Palermo dopo l'omicidio del piccolo Claudio Domino, vi erano rapporti con ambienti borderline. Tra questi quello con il professore Alberto Volo, estremista di Destra sentito che proprio nel 1989 fu assunto a verbale anche dal giudice Giovanni Falcone. E, come emerso dalle indagini, Agostino ne avrebbe anche curato la protezione, proprio in quel periodo.
Altri rapporti pericolosi li avrebbe tenuti il maresciallo Salvatore Mannino, ufficiale di polizia giudiziaria tra i più anziani del commissariato.
"Un collega - ha detto il teste - mi disse che lui conosceva uno dei fratelli della famiglia Biondino. Non so a che titolo andasse a prendere dell'olio per la macchina proprio nella loro attività, vicina al Commissariato. Inoltre un funzionario mi disse che Mannino era parente di appartenenti alla famiglia mafiosa di Carini, Pipitone".
L'ispettore ha anche ricordato ciò che disse a Mannino nei giorni successivi il 5 agosto 1989. "Ci fu un cambio repentino di Mannino. All'inizio sembrava addolorato e si impegnava a cercare il motivo della sua morte, poi iniziò a parlare male dicendo che l'omicidio fu 'per questione di femmine', che lui 'era una cosa inutile', un 'buzzurro' e un 'cretino'.
Quando feci la relazione di servizio mi scappò davanti a Mannino di dire che io sapevo il perché lo avessero ucciso, facendo riferimento alla ricerca dei latitanti. E mi rimase impresso il suo atteggiamento: era terrorizzato".
Nel corso dell'esame La Monica ha anche riferito di avere saputo da un altro collega, tale Elia, "che dopo avere arrestato un tale Puccio, lo stesso La Barbera, davanti a lui - ha proseguito La Monica - chiamò i Servizi per conoscere quale fosse la taglia su questo soggetto. Elia inoltre mi aveva detto di essere figlioccio ufficiale di Bruno Contrada. Tanto che si arruolò nei servizi segreti grazie a Contrada".
L'immediatezza dei fatti
Prima di La Monica sono stati sentiti anche due carabinieri in servizio la sera del duplice omicidio: Barrale Pietro e Francesco Barraco.
In particolare quest'ultimo, nella sua deposizione, ha presentato delle criticità con non poche contraddizioni. A differenza di Barrale, il quale aveva dichiarato di "aver sentito dei colpi di arma da fuoco" per cui accorsero sul luogo del delitto, Barraco ha dichiarato che vi si recarono dopo l'avviso via radio della centrale operativa.
Sempre Barrale, quando fu sentito nel giugno 2007, raccontò che in quel 5 agosto furono superati da una volante di polizia di istituto. E che dopo pochi minuti dal sorpasso sentirono sparare in maniera netta diversi colpi.
Barraco, da parte sua, ha ricordato quelle che furono le prime attività svolte sul posto. In un primo momento, però, ha dichiarato che non furono acquisite informazioni dai vicini. Diversamente, in un verbale, aveva testimoniato che dai vicini furono acquisite dichiarazioni circa i due killer, le modalità dell'omicidio e la cilindrata della moto.
Ed uno dei killer sarebbe stato con i cappelli biondi, mentre l'altro con i capelli scuri. Un dato che si ricava anche documentalmente da un ordine di servizio che non riporta la firma di Barraco, ma solo quella del comandante. Il teste ha anche parlato di una relazione di servizio in cui vi sarebbero anche dei riferimenti ad elementi che, diversamente, non compaiono nell'ordine di servizio. Nell'udienza odierna sono anche stati sentiti Sebastiano Arcieri, che ha riferito i riferimenti fatti da Agostino, in auto con La Monica, su Provenzano, e Giovanni Alba, sottufficiale della guardia di finanza, che ebbe un diverbio con un motociclista il 30 luglio 1989.
Il processo è stato rinviato al prossimo 22 ottobre.
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