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Gli Usa addestrano i militari a Taipei, Xi rivendica: “L’isola è nostra”. Sempre più in crisi l’incontro al G20

In occasione dei 110 anni dalla Rivoluzione cinese del 1911, quella che segnò la fine della Cina imperiale e iniziò il 10 ottobre 1911 con la rivolta di Wuchang, il presidente cinese Xi Jin Ping è tornato a parlare di “riunificazione" con Taiwan, un’isola di fatto indipendente (sebbene la sua sovranità sia riconosciuta solo da 15 paesi al mondo) ma che la Cina considera come sua. Il discorso, pronunciato alla Grande Sala del Popolo di Piazza Tienanmen, arriva dopo che negli ultimi giorni le azioni bellicose della Cina nei confronti di Taiwan si erano fatte più intense, e dopo che si è saputo che da circa un anno gli Stati Uniti stanno addestrando l’esercito di Taiwan per resistere a un eventuale attacco della Cina, che secondo il ministro della Difesa taiwanese potrebbe arrivare entro il 2025. Xi Jing Ping parla alla presidente dell’isola Trai Ing-Wen, parole che però sono dirette a Joe Biden, presidente degli Stati Uniti che da sempre sono molto attenzionati alle sorti del Taiwan. Tra le due potenze globali nelle ultime settimane ci sono state continue provocazioni trasversali: dalla creazione dell’Aukus, l’alleanza nel Pacifico tra Usa, Australia e Gran Bretagna in funzione anti-cinese, all’inasprimento dei toni di Washington verso Pechino.
Per contro, secondo Taiwan, quasi 150 aerei militari cinesi hanno violato la sua zona di difesa aerea all’inizio di ottobre, fra cui bombardieri con capacità nucleare: attività finalizzate a testare la risposta delle forze armate taiwanesi.
L’escalation delle tensioni potrebbe placarsi dopo il vertice bilaterale virtuale entro fine anno concordato tra Biden e Xi, che dovrebbero pure partecipare entrambi al Vertice del G20 sotto presidenza italiana il 30 e 31 ottobre. L’accordo di massima sul bilaterale Biden-Xi è stato annunciato dopo un incontro tra il consigliere alla sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan e il capo della diplomazia del Partito comunista Yang Jiechi. E' un segnale di dialogo per stabilire dei ‘guardrail’ nelle crescenti tensioni tra le due superpotenze in una sfida tra democrazia e autocrazia che ha spinto la Cia a riorganizzarsi concentrandosi sul Dragone. Il presidente Xi sostiene che “il secessionismo di Taiwan è il più grande ostacolo alla riunificazione nazionale”. “Che si farà?”, si chiede, per poi aggiungere: “La riunificazione nazionale con mezzi pacifici serve al meglio gli interessi della nazione cinese nel suo insieme, compresi i connazionali di Taiwan”. “I compatrioti di qua e di là dello Stretto di Taiwan dovrebbero stare dalla parte giusta della storia… Nessuno dovrebbe sottovalutare la determinazione, la volontà e la capacità del popolo cinese nel salvaguardare sovranità e integrità territoriale”. Washington, che non riconosce Taiwan, ma le fornisce armi per difendersi da un eventuale attacco, tace. La replica di Taipei è flebile: “Solo i 23 milioni di taiwanesi hanno diritto di decidere il futuro e lo sviluppo” dell’isola, dice il Consiglio per gli affari con la Cina. L’isola si “sforzerà di mantenere lo status quo di pace e stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan”, si legge in una nota, che invita la Cina ad abbandonare le misure provocatorie e a pensare alla chiave dell’interazione tra “pace, reciprocità, democrazia e dialogo”. Al sussulto di tensioni degli ultimi giorni ha anche contribuito uno scoop del Wall Street Journal, che ha rivelato che unità delle forze speciali Usa e due dozzine di marines sono da almeno un anno a Taiwan per addestrare in segreto le truppe locali. La presenza dei militari non viola i patti in atto tra Washington e Pechino, ma la Cina ha subito fatto sapere che adotterà “tutte le misure necessarie per salvaguardare la sua sovranità e l’integrità territoriale”. Il portavoce del Ministero degli Esteri Zhao Lijian invita gli Usa “a riconoscere l’elevata sensibilità della questione di Taiwan, ad attenersi al principio della “Unica Cina”, a interrompere la vendita di armi all’isola e i contatti militari per non danneggiare seriamente relazioni bilaterali, pace e stabilità nello Stretto di Taiwan”. La presenza bellica statunitense nell’isola sembrerebbe la dimostrazione dei timori della Casa Bianca per un possibile attacco all’isola ed è indice di un cambio di atteggiamento degli Usa, rispetto alle dichiarazioni congiunte Usa-Cina del 1972, del 1979 e del 1982, alle base dei rapporti bilaterali. Gli Stati Uniti non hanno mai promesso alla Cina di non mettere truppe a Taiwan, ma il comunicato congiunto di Shanghai del 1972, legato alla storica visita di Richard Nixon e all’incontro con Mao, “pone l’obiettivo finale del ritiro di tutte le forze e le installazioni militari statunitensi da Taiwan man mano che la tensione nell’area diminuisce”. Gli Stati Uniti restano però impegnati nella difesa di Taiwan e le forniscono, fra l’altro, armamenti. Nel frattempo nelle ultime ore Tsai è stata più dura rispetto ai giorni passati: “Non ci piegheremo alla Cina e ci difenderemo”, ha affermato alla stampa. Taiwan non si piegherà alle pressioni di Pechino e difenderà la sua democrazia, sostiene. "Non siamo più ai margini", ha rivendicato la presidente Tsai Ing-wen nella Giornata nazionale, citando i rapporti "solidi" con gli Usa, quelli "fiorenti" con il Giappone e quelli "sempre più stretti" con l'Ue.

Artwork by Paolo Bassani

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