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tescaroli luca c imagoeconomica 929161Il verdetto definitivo per il processo ‘Borsellino Quater’ arrivato la sera del 5 ottobre è stato tranciante. Dopo 4 ore di camera di consiglio la quinta sezione penale della Suprema Corte ha confermato le condanne per gli imputati: ergastolo per i boss palermitani Salvatore Madonia e Vittorio Tutino; confermate anche le condanne per i falsi collaboratori di giustizia Calogero Pulci (dieci anni) e Francesco Andriotta (da 10 anni a 9 anni e 6 mesi) con l’accusa di calunnia. La Cassazione ha deciso un lieve sconto di pena di 4 mesi per Andriotta in relazione a un episodio di calunnia nei confronti di Vincenzo Scarantino, dichiarando prescritti altri episodi sempre nei confronti di Scarantino.
Esce così confermata la tesi dei giudici del primo grado del 2019 che, nelle motivazioni della sentenza, hanno definito il depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio (in cui hanno perso la vita il giudice Paolo Borsellino  e i cinque agenti della sua scorta   Emanuela LoiAgostino CatalanoWalter Eddie CosinaVincenzo Li Muli e Claudio Traina) come "uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana". Tesi ribadita anche nella requisitoria dal sostituto procuratore generale Pietro Gaeta, secondo cui le dichiarazioni dei falsi pentiti Pulci e Andriotta, sono "una mostruosa costruzione calunniatrice" che "rappresenta una delle pagine più vergognose e tragiche” della nostra storia giudiziaria ed è "di una gravità tale da escludere qualunque circostanza attenuante" in favore degli imputati accusati di calunnia.
Secondo il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli - le cui parole sono state riportate dal Fatto Quotidiano - la sentenza è un "punto d’arrivo del travagliato iter processuale iniziato subito dopo la strage lucidamente attuato con la creazione di prove false, che hanno portato alla condanna di sette innocenti, poi assolti". Ma "la pronuncia della Corte deve, però, rappresentare" anche "un punto di partenza per proseguire nella ricerca della verità. Permangono zone d’ombra e interrogativi rimasti senza risposta" ha scritto il magistrato elencando una serie di fatti ancora da chiarire del tutto: "l’accelerazione della strage, nelle finalità del depistaggio preparato dalla collaborazione di Francesco Andriotta (un ergastolano mai coinvolto in indagini di mafia), iniziata il 14settembre 1993, attuato da Vincenzo Scarantino, non appartenente a Cosa Nostra, nel giugno del 1994 e, in seguito, da Salvatore Candura (ai quali si è aggiunto Calogero Pulci), con la partecipazione verosimile di esponenti delle istituzioni". E poi "occorre verificare se vi sia stata una finalità di occultamento della responsabilità di altri soggetti, nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del magistrato. È poi necessario identificare la persona indicata da Gaspare Spatuzza, come presente al momento della consegna della Fiat 126 nel garage di via Villa Sevaglios. Non si conosce: la provenienza dell’esplosivo utilizzato per imbottire la 126 e chi azionò il telecomando che fece esplodere l’autobomba. Su tale ultimo aspetto l’esecutore materiale Fabio Tranchina ha riferito un’indicazione: Giuseppe Graviano gli aveva chiesto di procurargli un appartamento nelle vicinanze di via D’Amelio, per poi dirgli che aveva deciso di piazzarsi nel giardino dietro un muretto per azionare il telecomando. Non sappiamo se ciò accadde. Non sono state chiarite le modalità della sparizione dell’agenda rossa del magistrato che non fu opera di Cosa Nostra. È rimasto enigmatico il contenuto dell’intercettazione del dialogo di Mario Santo Di Matteo con la moglie sugli infiltrati in via D’Amelio. Vi è poi il dato per cui i vertici di Cosa Nostra ricevettero, nel corso del 1992, un segnale istituzionale, consistito nell’avvio di una trattativa con uomini dello Stato, senza alcuna delega da parte dei magistrati titolari delle indagini che, nella prospettiva dei mafiosi, suonava come una conferma che la loro attività stragista fosse idonea ad aprire nuovi canali relazionali".
Il magistrato anche riferito della fondamentale collaborazione dei pentiti nelle indagini approdate in processi conclusi con l'erogazione di "decine di ergastoli, con plurimi verdetti della Corte di Cassazione - ha scritto - ed è certa la paternità mafiosa dell’attentato, il coinvolgimento nell’ideazione e deliberazione dei componenti degli organi di vertice di Cosa Nostra (la commissione provinciale di Palermo e la commissione regionale) e nell’esecuzione di uomini d’onore appartenenti alle famiglie mafiose di San Lorenzo, di Porta Nuova, di Brancaccio, di Corso dei Mille e della Noce. Sono state individuate le ragioni dell’eccidio, la vendetta nei confronti di un acerrimo nemico di Cosa Nostra; e preventive, in relazione alla possibilità che Borsellino divenisse capo della Procura Antimafia (ricevendo il testimone del giudice Falcone)  derivanti dal pericolo per quanto stava facendo e avrebbe potuto effettuare, che hanno comportato un’accelerazione dell’esecuzione e il congelamento di altro attentato. La destabilizzazione terroristico-eversiva è insita nella modalità della consumazione e nell’inserimento nel più ampio progetto criminale aperto attuato nel triennio 1992-94".
Alla luce di tutto questo non ci resta che attenere ulteriori sviluppi e che si continui ad indagare "vigilando sul rischio concreto di nuovi depistaggi".

Foto © Imagoeconomica

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