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"Dicono che corro rischi solo in Sicilia e quindi la scorta serve solo fino allo stretto di Messina. Meno male che non c’è il ponte e che gli uomini di Cosa Nostra non sanno nuotare…". E' con amara ironia che Antonio Ingroia (già pm dei processi Contrada, Dell’Utri e Trattativa Stato-mafia), su Facebook commenta l'ultima decisione del Viminale.
Tramite posta elettronica certificata, il giorno dopo Ferragosto, è stato avvisato dall’amministrazione del ministero dell’Interno, che è in corso una procedura di revisione che ha come oggetto la revoca della sua scorta su tutto il territorio nazionale esclusa la Sicilia. "E' una storia che va avanti ormai da troppo tempo.  L'ex pm, ora avvocato - come riportato dal Il Fatto Quotidiano - ha avuto dieci giorni di tempo dal 16 agosto per presentare rimostranze con le controdeduzioni.  Era già successo che alla fine del 2020 il Viminale aveva dovuto riassegnare la scorta all’ex magistrato, dopo le decisioni di Tar e Consiglio di Stato che hanno obbligato al ripristino della tutela armata.  “Riconoscere il mio diritto alla scorta solo in Sicilia, ma non nel resto d’Italia, mi espone doppiamente - ha spiegato Ingroia - perché se sono a rischio in Sicilia come lo stesso Viminale stabilisce, evidentemente non posso stare molto più tranquillo una volta superato lo Stretto di Messina”. Tanto che il 27 ottobre l’avvocato Ingroia sarà in aula proprio a Reggio Calabria per il processo d’Appello ’Ndrangheta stragista in cui è imputato lo stesso Graviano, appunto, e dove già i due si sono scontrati verbalmente.

Nell'ambito del processo 'Ndrangheta stragista già un anno e mezzo fa il Tar del Lazio nelle motivazioni per il ripristino della scorta aveva colto un punto fondamentale forse sfuggito alla ministra Luciana Lamorgese: ossia che proprio il boss Giuseppe Graviano, amico stretto del superlatitante Matteo Messina Denaro, aveva  mandato messaggi velati in aula all’avvocato Ingroia che lo stava interrogando nel ruolo di difensore delle famiglie dei carabinieri uccisi nel gennaio 1994, Antonino Fava e Vincenzo Garofalo: "Non parlo - aveva detto Graviano in aula-  prima voglio la verità sulla morte di mio padre. Il processo di mio papà per quasi 38 anni ha soggiornato in un cassetto, dal 1982 al 2019. È sufficiente aprire quel cassetto...Il dottor Lombardo mi ha detto che farà accertamenti, io mi fido solo del dottor Lombardo”. L'episodio in questione sottinteso dall'ex boss è l’omicidio del padre, Michele Graviano, ucciso nel gennaio 1982. “In procura troverete tutto se in questi 38 anni qualche procuratore non ha esercitato la professione con tutti i crismi. C’è qualche magistrato che non ha fatto bene il suo lavoro…Non continuate a fare domande a me, io risponderò solo dopo che avrò le risposte. Prima voglio i responsabili della morte di mio padre. C’è qualche giudice di Palermo che è stato fatto eroe, anche se è un vostro collega mi spiace dirlo, ma sapete che la storia ci insegna che a volte le medaglie al valore vengono anche tolte…”. Secondo Ingroia Graviano stava facendo riferimento a Giovanni Falcone.

E poi ancora: "Che cercate l’agenda rossa e gli autori dell’omicidio Agostino? Aprite i cassetti in Procura che sono chiusi da quasi 40 anni, è una vergogna”. Sempre secondo Ingroia Graviano stava continuando "il suo gioco del dire non dire e mandare messaggi a politica e mafia".

Foto: © Imagoeconomica

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