Continuano le vili illazioni nei confronti del Procuratore capo di Catanzaro
“La befana vien di notte”. Ci sia concessa la licenza cinematografica per rifarci al celeberrimo film di Michele Soavi, in cui un’impeccabile Paola Cortellesi interpretò le vicende di un’insegnante le cui giornate, nella notte, si complicano. Sì perché, per raccontare degli ennesimi attacchi che il Procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri ha subito, si presta bene il paragone con la commedia. Anche perché quanto accaduto è davvero comico, se fatto in buona fede.
Nel film, dicevamo, i guai della maestra Paola iniziano proprio a notte fonda, quando diventa la Befana. Esatto. Quella del 6 gennaio; della calza; dei dolcetti se i bambini sono stati buoni e del carbone se hanno fatto i monelli; quella che organizza i regali e si tiene in forma perché altrimenti non entra nei camini e la povera scopa non si alza da terra. E poi, c’è la costante invidia nei confronti di Babbo Natale.
Ma nella vicenda che riguarda Gratteri il protagonista è l’ex procuratore generale di Catanzaro, Otello Lupacchini. A quanto pare, ad averlo spinto nella notte fonda - proprio come vuole la tradizione natalizia - a iscrivere Gratteri nel registro dei “cattivi” sono state le recenti dichiarazioni del Procuratore capo di Catanzaro in merito alla Riforma Cartabia (rilasciate a Lamezia Terme durante la 10° edizione di “Trame - Festival dei libri sulle mafie”) quando ha detto: “Se fossero in vita Falcone e Borsellino immagino che salterebbero dalla sedia leggendo il termine ‘improcedibilità’, perché vuol dire impedire di celebrare il 50% dei processi in appello dove c’è stata già una condanna in primo grado. Quindi penso che rimarrebbero sconcertati, così com’è sconcertata la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori”. Dal canto suo, invece, Lupacchini - che tra l’altro è stato trasferito d'ufficio in via d'urgenza e poi finito sotto processo per un'intervista in cui, secondo l'accusa, denigrò proprio il procuratore Gratteri all'indomani dell'operazione “Rinascita Scott” - su Facebook ha scritto: "Nicola Gratteri, ancora una volta l'altro giorno, ha tuonato che Borsellino e Falcone, se fossero ancora vivi, farebbero il diavolo a quattro contro la riforma Cartabia (o quel poco che ne resta). Perché, se la Cartabia fosse stata guardasigilli, quando loro facevano il maxiprocesso alla mafia, negli anni ’80, il maxiprocesso sarebbe morto per via dell'improcedibilità. Nulla di più falso: il processo di appello, a Palermo, durò meno di tre anni. Oltretutto per molti dei reati allora contestati sono previste ampie proroghe e per tutti gli altri c'è la non prescrittibilità". "Certamente il procuratore capo di Catanzaro ignora la storia del maxiprocesso istruito dai due grandi magistrati, altrimenti non gli sarebbe mai venuto in mente, per rispetto di sé stesso, di paragonare il suo 'Rinascita Scott' con quella grandiosa impresa giudiziaria, clamorosa in ogni caso sul piano dei risultati - ha aggiunto Lupacchini -. Il maxiprocesso di Falcone e Borsellino, e del giudice Giordano, diede un colpo micidiale a Cosa nostra, la quale reagì con atroci colpi di coda, ma non è riuscita mai a riprendere la sua forza, il suo ruolo, e ora parrebbe ridotta a poca cosa". E ancora: "La storia della ‘Ndrangheta è un po' diversa. Gratteri strombazza di conoscere meglio di chiunque altro la storia della 'Ndrangheta. È dal 1986, continua ad affermare Gratteri, e lo ha fatto anche l'altro giorno, che si impegna ‘usque ad sanguinem’ per conseguire l'obiettivo di sgominarla. Ma se nel 1986 la 'Ndrangheta era una tanto efferata quanto modesta organizzazione criminale, oggi parrebbe invece, a sentire lo stesso Gratteri, la più potente organizzazione malavitosa del mondo. Direi che non vada proprio benissimo, se non sul piano della promozione editoriale, la lotta ingaggiata da Gratteri, se il risultato è l'inarrestabile, oserei dire pressoché incessante, rafforzamento inarginato della 'Ndrangheta stessa".
Alle illazioni di Lupacchini si è aggregato anche il direttore de “Il Riformista”, Piero Sansonetti, che stamane ha concluso il suo articolo - felicemente intitolato “Le polemiche di Gratteri” - riportando quasi fedelmente le parole che a notte fonda ha scritto l’ex pg di Catanzaro sul suo profilo Facebook.
Il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri
Entrambi forniscono delle spiegazioni giuridiche del perché l’improcedibilità non avrebbe colpito il Maxiprocesso. Ma resta il fatto che Gratteri non ha affermato che “se la Cartabia fosse stata ministra quando loro (Falcone e Borsellino, ndr) facevano il maxiprocesso alla mafia, negli anni ’80, il maxiprocesso sarebbe morto per via dell’improcedibilità” come, invece, i due hanno riportato rispettivamente su Facebook e ne “Il Riformista”.
Inoltre, cosa intendono quando scrivono che dopo il Maxiprocesso Cosa nostra “non riuscì mai a riprendere la sua forza, il suo ruolo, ed ora è ridotta a poca cosa”? È vero, oggi la mafia è cambiata ma non perché meno pericolosa, ma al contrario perché è molto più potente rispetto al 1992. È stata in grado di incrementare la sua influenza, prendendo il controllo di molti settori della società ed estendendo i propri tentacoli all’interno di ogni ambito della nostra vita quotidiana, sfruttando le crisi economiche, come quella attuale post pandemica e dimostrando una incredibile capacità di adattamento e di resilienza ai mutamenti politici e sociologici. Tutto questo grazie a stretti rapporti con componenti della politica, dell’imprenditoria, delle banche, e persino con il mondo della massoneria deviata. Forse a Sansonetti e a Lupacchini sfuggono un paio di dati. Ad esempio che le organizzazioni criminali producono, solo in Italia, un fatturato che si aggira intorno ai 150 miliardi di euro all’anno che, se messi a confronto con i ricavi del 2020 di aziende e gruppi imprenditoriali italiani, si evince che la mafia italiana avrebbe 30 miliardi in più rispetto al primo gruppo italiano, Exor, che ha al suo interno Fiat-Chrysler, Ferrari, Cnh, le assicurazioni Partner Re, la Juventus (119 miliardi sono stati i ricavi del gruppo), avrebbe più del doppio dell’Enel (62 miliardi nel 2020), quasi il triplo dell’Eni e dell’Intesa San Paolo, otto volte Telecom e la banca UniCredit, 16 volte Luxottica, 15 volte il gruppo Ferrero e infine 41 volte Mediaset, il gruppo televisivo controllato da Silvio Berlusconi. Una quantità di denaro con cui le mafie sono in grado di ricattare e condizionare le scelte economiche, imprenditoriali, politiche e persino comunicative del nostro Stato.
Infine, cosa intendono Lupacchini e Sansonetti quando con ironia hanno scritto che - data la trasformazione della ‘Ndrangheta da organizzazione criminale modesta a supremazia di livello internazionale - “non è andata benissimo la lotta di Gratteri alla ‘Ndrangheta (“se non sul piano editoriale”, ha aggiunto l’ex pg di Catanzaro)”? Ciò significa che se la ‘Ndrangheta si è potenziata, fortificata e insediata sempre più nel tessuto sociale sano del Paese è colpa di Gratteri che non è riuscito a sconfiggerla? Speriamo non sia questo il senso di tale affermazione. Resta, però, il fatto che quella frase rappresenta uno smacco di poco gusto. Aggravato dal ricordo che proprio Giovanni Falcone e Paolo Borsellino prima di essere uccisi materialmente furono eliminati attraverso attacchi vili, delegittimazioni mediatiche e tradimenti.
Nicola Gratteri, piaccia o meno ai benpensanti, è un uomo che veste la toga con carisma e senso critico. La sua, è la storia di un magistrato che non ha mai avuto remore nel far sentire la propria voce nel dibattito pubblico. Un magistrato con la schiena dritta che rivendica la libertà di pensiero e di espressione, e difende la sua estraneità da schemi politici e logiche di potere. Quindi che continuino le persone a scrivere attacchi vili nella notte. Gratteri ha le spalle larghe e i nervi d’acciaio, mentre la “Befana” avrà sempre le calze rotte e dopo il 6 gennaio non se la ricorderà più nessuno.
Foto originali © Imagoeconomica
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