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Sono passati quattro anni da quando, nel 2018, la Procura di Palermo ha riaperto l'inchiesta sull'uccisione di Piersanti Mattarella, l'ex Presidente della Regione siciliana, fratello del Capo dello Stato, Sergio. Il procuratore Francesco Lo Voi e l’aggiunto Salvatore De Luca erano ripartiti dall'inchiesta sulla pista neofascista che portava ai Nar, i Nuclei armati rivoluzionari, nell'ipotesi accusatoria entrati in azione per fare un favore alla mafia.
E la prima azione è stata quella di cercare tutti quegli elementi di prova che sono stati raccolti nel corso del tempo.
Perché sui “neri” indagò anche Giovanni Falcone, tanto che portò a giudizio Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini considerati autori materiali del delitto. Entrambi furono processati ed assolti dall'accusa di essere stati i killer e la richiesta di assoluzione fu fatta dal pm Giuseppe Pignatone al termine della requisitoria. Per l'omicidio vennero comunque condannati come mandanti i vertici della Cupola mafiosa, in particolare i boss Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci.
Ma il volto dei killer "con gli occhi di ghiaccio" (così lo descrisse la moglie di Piersanti Mattarella) è sempre rimasto ignoto.
A rafforzare il convincimento che gli estremisti di destra potessero essere coinvolti nel delitto del Presidente della Regione siciliana vi fu un ritrovamento a Torino, nel 1982, di spezzoni di targhe in un appartamento di via Monte Asolone, covo dell'estrema destra.
In quel luogo i carabinieri trovassero una targa con sigla "PA" (come Palermo) e il numero "563091". Sono gli stessi numeri, ma composti diversamente, rimasti agli assassini di Piersanti Mattarella, che avevano utilizzato due targhe rubate per camuffare la Fiat 127 del delitto. 
Grazie a ricostruzioni precedenti, infatti, era emerso che il giorno prima dell'omicidio, i killer avevano prelevato la 127 targata "PA 536623". E sempre quel giorno, il 5 gennaio 1980, avevano asportato da una Fiat 124 una targa con la sigla "PA 540916". 
Successivamente era stata costruita una nuova targa utilizzando i numeri delle altre due (“PA 546623”) che fu poi ritrovata sulla Fiat 127 utilizzata per il delitto. E in tanti anni non si è mai saputo che fine avessero fatto i pezzi di targa rimanenti (“PA 53” e “0916”).
Coincidenza voleva che a Torino i militari, nella perquisizione del covo, trovarono la targa “PA563091". E nel tempo si era fatto forte il sospetto che il 6 fosse stato spostato dall’ultimo posto alla posizione centrale. “Una coincidenza che ha aspetti di stupefacente singolarità”, segnalava proprio Loris D’Ambrosio, in quegli anni in servizio all’Alto Commissariato antimafia.
Ripartire dal ritrovamento della targa di Torino, che fu acquisita dalla Procura di Palermo, era fondamentale. Ed alla fine è stata rinvenuta sotto una montagna di buste e sacchi negli archivi dell'Ufficio Corpi di reato di Palermo, insieme ad altri reperti del caso Mattarella. Adesso, però, è stato chiarito che lo spezzone di targa "563091" è “unico e originale dell’epoca”. A riportare la notizia, oggi, è stato il quotidiano La Repubblica. Certo è che la coincidenza dei numeri delle targhe resta incredibile. Del ritrovamento e del risultato delle prime analisi sui reperti è stata informata anche la Procura di Bologna che sui “neri” indaga per la strage del 2 agosto 1980. Nel frattempo la Procura di Palermo prosegue gli approfondimenti perché ci sono ancora tanti e troppi misteri irrisolti.
A cominciare dai proiettili usati per uccidere Matterella.
I primi quattro sono stati esplosi con una calibro 38 special, tipo Colt. Non era la tipica arma usata dai mafiosi, che quasi mai hanno impugnato le Colt preferendo mitragliatori e fucili. Eppure un’arma simile è stata utilizzata anche per uccidere Michele Reina. E una colt calibro 38 modello Cobra è il tipo di pistola usata da Cavallini per ammazzare con un solo colpo alla nuca il giudice Mario Amato il 23 giugno del 1980. Per gli esperti del Racis dei carabinieri i proiettili che hanno ammazzato Mattarella sono “coincidenti” con la cobra usata dai Nar.
Nei mesi corsi, il procuratore Lo Voi ha incaricato il Ros di raccogliere tutte le armi e i proiettili dei Nar. Anche se la certezza sul dato, come hanno raccontato in passato sull’Espresso Lirio Abbate e Paolo Biondani, non si potrà mai avere, perché i proiettili estratti dal corpo di Mattarella si sono ossidati a causa del cattivo stato di conservazione. Il primo a parlare della pistola usata da Cavallini per ammazzare Amato è il pentito Walter Sordi: la definisce una pistola “delicata” perché “aveva dei difetti” e “poteva incepparsi”.
E' un elemento noto che il killer di Mattarella spara quattro colpi ma poi dovette fermarsi perché la sua arma s’inceppò. L'ennesima coincidenza di un delitto rimasto ancora irrisolto.

Foto © Letizia Battaglia

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