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L’omicidio di Vanessa Zappalà è solo l’ultimo di una interminabile serie di femminicidi. Ma colpisce il modo efferato in cui è avvenuto e l’incapacità della legge di impedirlo.
Vanessa Zappalà inseguita, maltrattata pubblicamente, e poi barbaramente uccisa non è una azione criminale, ma è il prodotto di una subcultura strisciante e che ha una solida base di fiancheggiatori silenziosi: coloro che sotto sotto non riconoscono il ruolo della donna e la sua dignità.
Questo perché l’idea dell’“amore proprietario”, della identificazione della persona con una cosa che è del più forte, prevale su qualunque legge o controllo di polizia o ordine del giudice. Rappresenta un modo capovolto di concepire l'"amore" che trova ancora spazio in pezzi della società: uno strumento della propria affermazione, come nella giungla.
Non deve stupire quindi che nel nostro paese a volte non siano accettate leggi contrarie alla discriminazione. Perché per essere rispettata una legge deve prima essere condivisa dalla cultura di un popolo, altrimenti viene considerata come una “imposizione” ed elusa e violata, col travolgimento dei più elementari principi di civiltà e della costituzione.
E fino a quando questo rispetto non diventerà un caposaldo dominante della nostra cultura, insieme alla lotta contro ogni discriminazione, saremo soltanto un popolo in cerca della civiltà, con l’aggravante di essere la parte ricca e benestante del pianeta. Anche noi, sotto sotto, abbiamo il nostro Afghanistan.

Foto © Imagoeconomica

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