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Ieri la conferenza dalla Camera dei Deputati con avvocati, giornalisti, vittime di mafia, ex magistrati e professori

“Una porcata”, “una palese violazione della Costituzione", “una riforma eversiva”. Sono questi alcuni degli aggettivi che ieri sono stati attribuiti alla riforma della giustizia voluta da Marta Cartabia e Mario Draghi durante una conferenza web organizzata alla Camera dei Deputati dal Movimento Agende Rosse. Tutti gli ospiti - avvocati, giornalisti, vittime di mafia, ex magistrati e professori - hanno sottolineato i vari punti di criticità di questa riforma, nonché l’illogicità strutturale della stessa.
Ognuno dei relatori - dalla deputata Piera Aiello, passando per il fondatore delle Agende Rosse Salvatore Borsellino, il giornalista Marco Travaglio, fino al magistrato Gian Carlo Caselli, gli avvocati Enza Rando e Fabio Repici e il docente Tommaso Montanari - ha concordato sull’incostituzionalità dell’attuale testo della riforma. Un testo di riforma che sin dalla sua approvazione in Consiglio dei Ministri ha ricevuto badilate dai maggiori esperti di diritto e dai più illustri magistrati antimafia. Dopo lunghe trattative in queste ore la riforma è stata ritoccata, o meglio rattoppata. Per l'associazione mafiosa e il voto di scambio, ad esempio, i processi potranno durare "sine die" con proroghe infinite. Ma permangono ancora numerosi elementi critici e considerevoli irragionevolezze che gli ospiti della conferenza hanno saputo evidenziare al pubblico collegato in streaming.

Travaglio: “Riforma è una porcata peggiore del processo breve di B.”
Tra i primi interventi c’è stato quello del direttore de Il Fatto Quotidiano Marco Travaglio, che con il suo giornale ha condotto una battaglia contro questa riforma sin dalla sua ideazione. “Possiamo dire che questa porcata che viene spacciata per riforma della giustizia è, se possibile, ancora peggio del processo breve, che in realtà era il processo morto, presentato dal governo Berlusconi peraltro con gli stessi co-autori dell’attuale contro-riforma Cartabia (Giulia Bongiorno e Nicolò Ghedini)”, ha esordito il giornalista. “Siamo l’unico paese al mondo dove si cambiano continuamente le regole della prescrizione e dove i governi cadono, come nel caso del Conte 1 e Conte 2. O rischiano di cadere, come nel caso di questo, se i 5Stelle tengono duro per una norma che garantisce l’impunità. E questo ci dà l’idea del livello di criminalità delle classi dirigenti che siedono in Parlamento e fuori. Altrimenti - ha affermato - non si spiegherebbe per quale motivo una questione che in altri paesi sarebbe puramente tecnica affidata agli addetti lavori, come i termini di prescrizione, scatena passioni finte e pressioni vere come quella della presicrizione in Italia. Questa non è una riforma della giustizia, ma alcuni emendamenti peggiorativi rispetto alla riforma che è stata presentata dal precedente governo che invece era fatta apposta per riformarla e renderla più rapida. Questi emendamenti tornano indietro e introducono varie lesioni del principio di legalità e del principio di obbligatorietà dell’azione penale e del principio di autonomia e indipendenza della magistratura da ogni altro potere. Diciamo che questa più che una riforma è la prosecuzione con gli stessi mezzi delle politiche impunitarie di Berlusconi anticipate nel famoso piano di Rinascita Democratica di Licio Gelli”.


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“L’altra impostura è che questa riforma ce la chiede l’Europa che in realtà ci chiede di fare esattamente il contrario ovvero far più rapidamente i processi e l’Europa, ci ha minacciati di procedure di infrazione proprio per il nostro sistema di prescrizione precedente alla legge Bonafede”.
“L’Europa molto probabilmente ci farà quella famosa procedura di infrazione che avevamo scampato proprio grazie alla bloccaprescrizione Bonafede. Non c’entra nulla questa riforma con il recovery in quanto collegato a un sistema giudiziario più efficiente”, ha spiegato Travaglio. “Non c’è nulla di efficiente nell’uccidere un sistema giudiziario. L’Europa ci chiede di creare un sistema giudiziario che garantisca di fare dei processi e farli anche più velocemente. Questa riforma invece garantisce di non farli partendo dalla malsana idea, che stava alla base del processo breve di Berlusconi, che per fare i processi più rapidi basta scrivere in una legge quanto deve durare un processo.”
Travaglio ha quindi affermato che “se Draghi e Cartabia sapessero di diritto penale dovremmo dire che stanno mettendo in atto un progetto doloso per ammazzare la giustizia. All’inizio potevano essere in buona fede e salvarsi con l’incompetenza pratica. Ma adesso che il CSM, il procuratore Nazionale Antimafia, tutti procuratori, e i presidenti di corte d’Appello e di Tribunale e pure i Presidenti di Cassazione gli hanno spiegato esattamente cosa succede se insistono vuol dire che c’è del dolo, non solo la colpa dell’ignoranza. E questo mi fa dire che trattare per migliorare una porcata del genere è un esercizio inutile”.

Caselli: “Per molti politici non esiste concorso esterno, spina dorsale della mafia”
In seguito è intervenuto il magistrato Gian Carlo Caselli, ex procuratore capo di Palermo.
“Ragioniamo allo stato degli atti. E’ in corso una sorta di appropriazione indebita del mito di Creso, e cioè che tutto ciò che toccano Draghi e Cartabia diventa automaticamente oro. Bisogna partire da questo dato di fatto perché le proposte di Draghi e Cartabia godono, a torto o ragione, di una credibilità. Sono provvedimenti che all’opinione pubblica vengono presentati come risolutivi - ha spiegato il magistrato - mentre in realtà sono piuttosto inadeguati e nel momento in cui vengono presentati come adeguati, quando in realtà sarà esattamente il contrario, ecco che la conseguenza inevitabile sarà ancora una volta scaricare sulle spalle della magistratura gli esiti infausti di questa riforma come se fosse colpa dei magistrati. Gli stessi magistrati - ha continuato Caselli - che dovranno caricarsi sulle spalle ancora una volta il fallimento di una riforma che promette molto poco”.
Caselli prevede “che ci sarà una grave dispersione di energie sia sul piano procedurale che sul piano organizzativo”. E ha altresì osservato che “nella riforma non c’è nulla in merito alla depenalizzazione che è lo strumento principe per ridurre il carico degli uffici giudiziari”.
“Nel nostro paese si grida molto giustizia ma poi in realtà si preferisce una strada diversa, quella che chiamo un’inefficienza efficiente”, ha detto. “Vale a dire un sistema che non funziona perché questa inefficienza è funzionale a tutela di determinati interessi”.


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Ed ecco quindi il tema annoso della prescrizione. “Siamo stati a lungo l’unico paese al mondo in cui la prescrizione non si interrompeva mai. Ecco la prescrizione diventava un incentivo di prolungamento infinito dei processi. Con una asimmetria incostituzionale gravissima. Chi può permettersi avvocati costosi e agguerriti hanno mille possibilità in più di farla franca, ricorrendo a mille espedienti, consentiti dalla legge, per arrivare alla prescrizione che cancella tutto. Il cittadino comune queste possibilità non le ha. Il ministro Bonafede ha posto fine a questo scempio costituzionale e nella relazione Lattanzi non c’è nessuna urgenza di ritoccare la riforma Bonafede in tema prescrizione”. “Della prescrizione si è fatto un totem politico”, ha affermato l’ex procuratore, e “dal cilindro è stato tirato fuori il coniglio dell’improcedibilità con effetti negativi”. A detta di Gian Carlo Caselli “gli effetti nefasti e negativi di questa riforma non si vedranno solo sui processi di mafia e terrorismo ma anche quelli relativi alla vita quotidiana del cittadino comune che vuole godere di un minimo di sicurezza”. La riforma a detta dell’ex magistrato si traduce in “colpevoli impuniti e innocenti che non riescono ad essere riconosciuti come tali”. “Abbiamo la certezza di una mannaia che cancella un mucchio di processi”. Inoltre Caselli ha messo l’acento sul reato di concorso esterno. “Domani che questo principio potrebbe diventare legge dello Stato operativo alla prima occasione salta il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa”. “Non esiste questo delitto secondo molti dei nostri politici, è un’invenzione di procure giustizialiste”. “Vale la pena allora trattarlo per ultimo - ha detto ironicamente Caselli - tanto non esiste. Tutto questo con i ringraziamenti della mafia che riconosce nel concorso esterno il suo punto di riferimento, la spina dorsale del suo potere”.

Repici: “La tecnocrazia dei presunti migliori sta facendo più danni del berlusconismo”
Anche l’avvocato Fabio Repici, legale di alcuni dei parenti di vittime di mafia come la famiglia Manca e la famiglia Agsotino, ha preso parola al dibattito illustrando le sue perplessità in merito alla riforma. “E’ stato espropriato del tutto il ruolo del Parlamento”, ha esordito il legale. “Stiamo leggendo su tutti i giornali che il dibattito che per le eventuali modifiche non peggiorative avvengono sulla scorta di incontri riservati tra il presidente del Consiglio, la Ministra ed esponenti politici. Tutto al di fuori del Parlamento su interventi che vengono chiesti che vengono chiesti, non al parlamento, ma direttamente al governo. Tutto quindi si gioca all’interno del Consiglio dei Ministri con pratiche che a me sembrano palesemente estorsive e di questo sono state vittime delle personalità che non hanno deciso di uniformarsi alla filosofia antiracket”, ha osservato Repici.


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“E una cosa da dire per sincerità dobbiamo dirla e cioè che tra le tante sfumature filosofiche della riforma Cartabia una principale è quella della giustizia valutata come quesitone di numeri: la ragioneria al posto della giustizia”, ha commentato. "Una giustizia da Goldman Sachs e non proprio una cosa da Calamandrei”. L’avvocato ha quindi parlato del famoso, quanto discutibile, vincolo dell’improcedibilità introdotto nel testo di riforma. “L’improcedibilità sarebbe la prescrizione processuale”, ha spiegato. “Ai tempi in cui studiai giurisprudenza era un concetto che nessun giurista avrebbe compreso. Non si sarebbe neanche capito di cosa si trattava, oggi apprendiamo che si aggiungerebbe una norma, il 344 bis alle condizioni di procedibilità.
Chiunque capisce, specie i non giuristi, che le condizioni di procedibilità sono le condizioni che necessità che esistano perché parta un procedimento. Senza condizioni di procedibilità è ovvio che non si può procedere. E qua invece si arriva alla follia per cui la condizione di improcedibilità o la mancanza di condizione di procedibilità arriva dopo 5 anni, 6 anni, 7 anni in appello. Sarebbe come parlare dell’aborto dopo 5 anni della nascita dell’essere umano. Una cosa inconcepibile. Qua siamo alla legislazione molto più che creativa”.
In questo senso, secondo Repici, “una mole immensa di processi sono destinati a prescriversi in appello con grande scorno delle vittime. Perché perfino le sentenze di primo grado, perfino sulle statuizioni civili, cioè sul risarcimento del danno, evaporeranno come per un sortilegio.
Questi fanno la proposta riforma per velocizzare la giustizia e il risultato sarà che tutti processi penali con sentenze di statuizioni civili in primo grado proseguiranno innanzi alla giustizia civile. Così la parte più malata della giustizia in Italia, che è la giustizia civile, si ingolferà definitivamente”. Sempre sulla riforma l’avvocato ha poi messo l’accento sul passaggio che prevede che “il parlamento deve indicare al pm l'ordine prioritario dei reati da perseguire”.
“Nella maggioranza governativa di oggi c'è un partito che ha tra i principali fondatori un pregiudicato per mafia e un pregiudicato per corruzione. Si indicherà come reati da perseguire prioritariamente la mafia e la corruzione, magari in atti giudiziari?”, si è chiesto il legale.
“E aggiungo infine. Nello studiare il testo ho trovato due codicilli che sembrano ispirati a Bruno Contrada, e cioè alle battaglie della giustizia italiana e fatte da Bruno Contrada.
Uno in materia di esecuzione dei più stravaganti deliberati della corte Europea. E uno in materia di perquisizione.
E poiché la questione è stata, per pura coincidenza, sollevata contemporaneamente dal disegno di legge Cartabia e da Bruno Contrada, alla corte di Strasburgo io segnalo che, a nome dei familiari di Antonino Agostino, cioè della vittima dell'omicidio per il quale Bruno Contrada è stato perquisito tre anni fa, io rappresenterò alla Corte di Strasburgo la irragionevolezza delle rappresentazioni che vengono fatte in quella sede da un funzionario di polizia condannato per avere fatto favori e ricevuto favori da boss mafiosi”.
Repici ha concluso il suo intervento dichiarando che “la tecnocrazia dei presunti migliori sta facendo più danni del berlusconismo”. “Dobbiamo dirlo con chiarezza. La politica riuscirà ad emanciparsi dal servaggio a questa tecnocrazia, che è forma persino più pericolosa quanto alla prospettiva di durata del fascismo in forme più rozze?”.


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Montanari: “I vertici della Repubblica rinunciano a fare giustizia”
Tra i vari interventi ieri pomeriggio c’è stato anche quello di Tommaso Montanari, storico dell’arte, accademico e saggista. “Io vedo un pericolo molto grande. I vertici della Repubblica rinunciano a fare giustizia. Questo è il messaggio molto semplice che va dato.
Noi non mettiamo la giustizia in grado di funzionare, perché in realtà non la vogliamo far funzionare. Il governo in questa fase drammatica di involuzione e di tradimento del progetto costituzionale non vuole far funzionare la giustizia”, ha sentenziato. A detta del saggista “c’è una lesione profondissima della separazione dei poteri che è un cardine, un fondamento della democrazia. Stiamo mettendo le mani nelle fondamenta dell’edificio democratico, per questo bisogna dare l’allarme. È in questione la tenuta democratica del Paese”. Montanari ha quindi ripreso il discorso di Travaglio secondo il quale la riforma Cartabia prende le orme del processo breve di Berlusconi che a sua volta prende le orme del piano di Rinascita Democratica di Licio Gelli, e ha affermato che “il progetto della bicamerale presieduta da D’Alema che conteneva una cosa analoga”. “È un vecchio sogno quello di mettere le mani sulle procure e che le mani siano quelle della maggioranza politica del momento. Di fatto significa realizzare la separazione delle carriere e questo significa mettere sotto controllo i pubblici ministeri e asservirli al potere politico. In concreto non sarà la maggioranza parlamentare, sarà l’esecutivo, in un Paese in cui il potere legislativo è costantemente umiliato anche in questa stessa procedura. Il paradosso è quello di un Parlamento che mai come oggi non ha contato nulla, un presidente del Consiglio che si permette di dire pubblicamente che il parlamento non aggiunga né tolga nulla perché abbiamo fretta, l’Europa ha fretta”. "Questa marcia retorica dell’unità del Paese che piove dal colle più alto su tutta la Repubblica vuole ora che marcino all’unisono anche i magistrati e non sono ammesse voci di dissenso”. Secondo lo storico questo ha a che fare con “una crisi profonda della democrazia. C’è l’idea che la democrazia sia in realtà la dittatura della maggioranza del momento, saltano i corpi intermedi, saltano i bilanciamenti, saltano i poteri autonomi, saltano le opposizioni. Chi ha la maggioranza, non importa se con leggi truffa o con leggi incostituzionali, deve poter disporre del paese come di un corpo morto, come di un cadavere”.
“Da anni che cosa c'è nel mirino del governo politico?”, si è chiesto Montanari. “La discrezionalità tecnica”.
“È stata creata una sovrintendenza speciale per interventi del PRNN. Sarà un caso che il governo che decide di fare il Ponte sullo stretto di Messina è anche il governo che vuole far sì che tutto quello che quel ponte scatenerà non sia perseguibile di fatto?”. A detta di Montanari “c’è un disegno unitario evidente. E questo disegno è mettere tutto nelle mani della maggioranza politica del momento.
Il leitmotiv è sempre quello: abbattere la discrezionalità tecnica di chi si muove non per la ricerca del consenso ma in base ad interessi che sono quelli di una democrazia complessa e matura dove non esiste soltanto il consenso, drogato e rappresentato appunto da leggi truffa”. Infine, secondo Montanari, “c’è un Governo che vuole rimettere il pm sotto il controllo della maggioranza politica, laddove una vera politica forte, una vera politica con il consenso, democratica, quella di Togliatti del 1946, invece, aveva emancipato quegli stessi giudici dal controllo della politica. Sono due estremi di una parabola e non è difficile vedere dove stava la politica sana, quella che generò la carta costituzionale e dove sta quella che invece si può chiamare una post-democrazia che si riduce alla dittatura della maggioranza, ma nella sospensione della politica vera. A chi dovrebbero ubbidire d’ora in poi i magistrati? A quella maggioranza governata da capi bastone, segretari di partiti? Con quale legge elettorale? Davvero pensiamo di democratizzare l’azione della magistratura mettendola sotto elenchi di reati da perseguire prioritariamente da parte del Parlamento? Lo stesso Parlamento che non fa assumere magistrati perché siano tutti, invece, i reati da perseguire? Mi pare un disegno chiarissimo e sta a noi denunciarlo, perché la ricerca è anche la ricerca della verità e la verità è che in questo momento ai vertici della Repubblica non si vuole fare giustizia”, ha concluso.


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L’appello di Borsellino: “Fermate la riforma. Non distruggiamo il sogno di Paolo e Giovanni”

Anche Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso da Cosa nostra e fondatore del movimento Agende Rosse, ha detto la sua sulla riforma. “Questa riforma va in senso esattamente contrario al sogno di giustizia di Paolo. La sua genesi viene da lontano, da quel 1992 quando lo Stato italiano ha rinunciato ad essere uno stato di diritto arrivando a trattare con la criminalità organizzata, rinunciando così alla propria stessa dignità”, ha spiegato.
“Ed è un'ipotesi agghiacciante ma plausibile, dandola in pegno alla controparte criminale come pegno del mantenimento dei patti sottoscritti, per il ripristino della pax mafiosa che serviva per evitare altre stragi. I passi per arrivare a tutto questo vengono da lontano, da quando è stato fatto cadere un governo per poter annullare quella riforma della giustizia varata dal governo Conte, che seppure perfettibile bloccava però la prescrizione sul primo grado di giustizia assicurando che tutti i reati potessero essere perseguiti e tutti i processi potessero essere portati a compimento.
Ora, con il pretesto di ottemperare ad una richiesta dell’Europa che altrimenti ci negherebbe i fondi del Ricovery Found, invece di agire in maniera di sveltire i processi, di potenziare gli organici della magistratura, lo Stato rinuncia di fatto ad esercitare la giustizia inserendo un concetto giuridicamente abnorme come l’improcedibilità”. Secondo Salvatore Borsellino “io Stato nega la giustizia ai cittadini vittime di un reato, e allo stato stesso se il processo di appello non si conclude in un tempo determinato, lasciando così l’imputato in uno stato di limbo: condannato ma non definitivamente.
Rinunciando così ad esercitare il proprio ruolo e a rendere giustizia ai cittadini colpiti dai reati stessi.
Cittadini che giustizia non potranno mai più pretendere”.
Per Borsellino “si aggrava così una già esistente e profonda disuguaglianza tra i cittadini sottoposti ad un processo, da un lato i semplici cittadini i cui processi arriveranno a concludersi nei tempi stabiliti, e dall’altro i potenti, quelli che potranno permettersi gli avvocati in grado di prolungare fino a due anni i tempi dei processi fino ad ottenerne l’improcedibilità.
Non si tiene conto poi della differenza tra le diverse sedi dei processi di appello, alcune delle quali soffrono di una cronica carenza di organico che già di per sé rende la durata dei processi ben superiore ai due anni. Termine dichiarato per lo scattare dell’improcedibilità.” “Si prepara così - ha aggiunto - l’impunità per chi approfitterà degli enormi fondi europei per dirottarli verso la criminalità organizzata piuttosto che per la ripresa dell’economia nazionale e del bene comune. Tanto che in nome dell’emergenza si smaltiscono le procedure e diminuiscono i controlli.
E intanto si introduce un concetto devastante che cozza con il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale e affida al parlamento, violando il principio costituzionale della separazione dei poteri, la scelta della priorità dei reati da perseguire e per riuscire ad ottenere tutto questo si svilisce il ruolo del parlamento e si elimina la discussione in aula, ponendo il voto di fiducia. Tutto questo all’inizio dell’estate in un momento di scarsa attenzione dell’opinione pubblica, la stessa scelta un tempo adottata dalla criminalità mafiosa per compiere le sue stragi.
Siamo purtroppo alle Termopili, una battaglia disperata ma le battaglie se giuste e sacrosante vanno in ogni caso combattute ed è quello che faremo chiamando a raccolta la società civile fino alla fine. Ed è per questo che chiedo a tutti quelli che con il loro voto decideranno l’esito di questa riforma, anche a quelli che improvvidamente l’hanno votata nel consiglio dei ministri, di volerla fermare, di non distruggere il sogno di Paolo Borsellino e di Giovanni Falcone altrimenti non osino più in futuro di pronunciarne neanche il nome”, ha concluso.

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