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Ad ucciderlo un proiettile ad espansione. La famiglia disperata chiede giustizia e in Palestina scoppiano le prime proteste

Israele torna ad assassinare minori in Palestina. Dopo l’offensiva “Guardiano del muro” che in undici giorni di bombardamenti serratissimi sulla Striscia di Gaza ha ucciso 67 bambini (una vittima su quattro delle bombe israeliane era un minorenne), ecco che, a distanza di alcune settimane, un altro giovane finisce nella lista di morte dell’entità sionista. Il suo nome è Mohammad Mounir Tamimi, ed era cugino della giovane attivista Ahed. “Mohammad era uscito ieri sera vestito di tutto punto per festeggiare l’eid (la festività religiosa per i musulmani, ndr), ha raccontato la famiglia chiedendo giustizia, quando soldati dell’esercito di occupazione israeliano, che avevano fatto irruzione nel villaggio di Nabi Salih, a Nord-Est di Ramallah, hanno aperto il fuoco contro i giovani, ferendo Tamimi all’addome. Ad ucciderlo è stato un proiettile di tipo “Dum-Dum”, ovvero una pallottola ad espansione, considerata arma proibita secondo le convenzioni internazionali in quanto progettata per espandersi all'interno del corpo del bersaglio, aumentando così la gravità delle ferite. Il proiettile, infatti, entrato dalla schiena ed uscito dal torace, ha devastato polmoni, vescica, stomaco e un rene del ragazzo. Inutile la corsa al pronto soccorso. Mohammad è morto dopo poche ore nell’ospedale “Martire Yasser Arafat” a Salfit. Nel frattempo in Palestina cresce la rabbia, con manifestazioni in alcuni villaggi come Beita, vicino Nablus, in cui si sono riuniti centinaia di dimostranti. Questa mattina si è svolto il funerale. Toccante un video girato da alcuni dei presenti che mostra fratellini, cugini, amici e compagni di scuola del giovane. Tutti che, prima della sepoltura, a ruota danno l’ultimo saluto a Mohammad che di anni ne aveva solo 17. Lo baciano in fronte, uno dopo l’altro, come è da cultura in Medio Oriente, lo accarezzano, lo abbracciano, lo piangono increduli. Piccoli visi smarriti, disorientati. Quale vuoto lascia il giovane Mohammad? Come cresceranno questi bambini? Cosa scatenerà in loro questo omicidio? Cosa ne sarà del loro futuro? Cosa innescherà questo omicidio in loro un domani? Desiderio di vendetta, resistenza, traumi? E cosa ne sarà della famiglia ora devastata dal lutto? Sono domande alle quali nessuno può rispondere. Sono immagini impossibili da commentare ma, purtroppo, non nuove. In Palestina si assiste periodicamente a scenari simili, la popolazione è quasi abituata a viverli. Si ribella, protesta, ma ha le gambe mozzate perché la comunità internazionale non interviene. E l’Autorità Nazionale Palestinese che, come tale, dovrebbe fare gli interessi della sua gente, non si attiva per pretendere giustizia. Dall’Europa arriva qualche richiamo, timidi cenni di ammonimento contro Tel Aviv, e poi tutto torna a tacere. Non c’entrano i colori del governo israeliano - se di estrema destra fascista come quelli dell’esecutivo Netanyahu, o se di centro-destra come l’attuale esecutivo di Naftali Bennet - i palestinesi assistono da sempre, dal 1948, alla sistematizzazione del crimine e del sopruso e all’indifferenza del mondo. In quale Paese democratico, come Israele ritiene di essere, delle forze militari eseguono raid a notte fonda, in giorni di festa, per terrorizzare, arrestare e assassinare la popolazione civile. In questo caso, minorenni? Ciò che indigna, oltre alla violenza estrema e istituzionalizzata, è il fatto che contro il governo israeliano non si solleva nessuna potenza mondiale, mentre a Cuba, se volessimo azzardare un paragone recente, per molto meno si chiede addirittura un intervento militare straniero e si attivano sanzioni economiche.
Col passare delle ore altri filmati della cerimonia vengono pubblicati su Facebook dalla numerosa stampa presente ai funerali.
Un video riprende la madre di Mohammad che disperata si batte il petto con la mano, impugnando con l’altra la fotografia del figlio morto ammazzato. Le si avvicina l’altro figlio, più piccolo, gli occhi celesti diventati rossi dal pianto. Lo prende e lo stringe forte a sé, come per assicurarsi che non la lasci anche lui. “Questo non è il mio primo figlio ucciso dai sionisti”, afferma la donna tra le lacrime alle telecamere. “Hanno strappato un ragazzo dalle braccia di sua madre e suo padre”. La scena è drammatica. Si dice che natura voglia siano i figli a seppellire i padri. Ma non qui, non in Palestina.

Foto © Quds News Network

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