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C’è un equivoco di fondo in tutta la riforma Cartabia: gli obiettivi sono importanti ed anche condivisibili, ma i mezzi sono inadeguati o addirittura in contraddizione con gli scopi dichiarati.
Partiamo dalla lunghezza dei processi. I tempi sono legati agli adempimenti e se gli adempimenti non si riducono è impensabile che i tempi si accorcino. Se poi i tempi massimi vengono imposti dall’alto solo dall’appello in poi, pena l’improcedibilità - e sappiamo già che non potranno essere rispettati -, questa tecnicamente diventa una amnistia, ma strategicamente è una follia perché è un modo per mandare in fumo il lavoro giudiziario senza alcun criterio razionale di gravità o di durata, ma semplicemente a caso. E così un processo per un piccolo spacciatore che dura 10 anni in primo grado e poi due anni in appello (in totale 12 anni) non verrebbe colpito da nessuna sanzione; mentre un grosso trafficante di droga il cui processo duri in totale 3 anni di cui sei mesi in primo grado e due e mezzo in appello se lo vedrebbe dichiarare improcedibile. Mi risulta difficile comprendere quale sia il significato strategico di questa amnistia random, visto che non lo è ne la lunghezza finale di un processo ne’ la gravità dei reati commessi.
Per non parlare poi delle disposizioni relative alla discovery anticipata degli atti del pubblico ministero che potrebbe avvenire in una fase in cui è pendente una richiesta cautelare; o delle disposizioni sul controllo del momento della iscrizione delle notizie di reato sul registro da parte del PM - disposizioni che riguardano un problema rilevante e da risolvere, ma che appaiono farraginose.
La fiducia nella magistratura è bassa perché - a dispetto dell’operato onesto e proficuo dei singoli - essa appare come una struttura di potere organizzata e gelosa delle sue prerogative. La ragione sta nel fatto che la sua rappresentanza che dovrebbe garantirne l’autonomia e indipendenza in realtà si è trasformata in un potere. E la crisi delle altre istituzioni ne ha fatto il più stabile e duraturo dei poteri. I magistrati lavorano con fatica ed onestà ma il loro governo è il più strutturato e meno disponibile al cambiamento. Dal momento che nessun sistema di potere è disponibile ad autosopprimersi, l’unica speranza è una modifica legislativa che continui a mantenere (o forse restituisca) indipendenza ed autonomia e indipendenza ai magistrati e faccia sparire il loro modello reazionario di autogoverno.
Non vedo però gli altri poteri disponibili a cambiare le regole per risolvere questo enorme problema. Basterebbe introdurre anche solo una tantum il sorteggio dei componenti del consiglio superiore . Ma non ci pensano neppure. Questo può voler dire due cose: o che le altre istituzioni ritengono questo potere così forte tanto da temerne reazioni; o che stanno pensando ad una riforma radicale che si porti via il potere della casta ed anche l’autonomia dei magistrati - sottomettendoli a discapito della nostra democrazia. Entrambe le prospettive da cui può essere letta questa inerzia della politica mi preoccupano.

In foto: Sebastiano Ardita, magistrato e consigliere togato del Csm © Imagoeconomica

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