Anche il Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri si è espresso in merito alla neo riforma della giustizia firmata dall'attuale guardasigilli Marta Cartabia. Il magistrato, sentito per oltre venti minuti in video conferenza davanti alla commissione Giustizia della Camera, ha contestato punto per punto gran parte dei contenuti della riforma varata dal Governo Draghi.
A cominciare dalla "nuova prescrizione", ossia dall’improcedibilità: se il processo dura per più di due anni in Appello (tre per i reati più gravi) o per più di un anno in cassazione (o 18 mesi) il processo decade e muore. “Le conseguenze saranno, in termini concreti - ha detto Gratteri - la diminuzione del livello di sicurezza per la Nazione visto che certamente ancor di più conviene delinquere, l’annullamento totale della qualità del lavoro, perché fissare una tagliola con un termine così ristretto vuol dire non assicurare che tutto venga adeguatamente analizzato con la dovuta attenzione, aumento smisurato di appelli e ricorsi in Cassazione perché se prima qualcuno non presentava impugnazioni con questa riforma a tutti, nessuno escluso, conviene presentare appello e poi ricorso in Cassazione non foss’altro per dare più lavoro e ingolfare di più la macchina della giustizia e giungere alla improcedibilità”.
Il meccanismo della 'tagliola' inoltre, ha detto Gratteri provocherà un effetto tale che "un processo su due morirà in appello”, poiché queste scadenze obbligatorie non assicurano "che tutto venga esaminato con attenzione. Anzi provocherà un aumento smisurato delle impugnazioni in Appello e Cassazione: a tutti conviene fare ricorso, anche solo per ingolfare la macchina della giustizia. A questo punto meglio la prescrizione del reato come era prima della riforma Bonafede. Provocherebbe meno danni".
La domanda sorge quasi spontanea: e le condanne che si sono ottenute in primo grado? Cadranno anch'esse. Lasciando i colpevoli impuniti e le vittime senza giustizia.
Sempre sull’improcedibilità Gratteri poi ha spiegato che “prescinde completamente dal tempo trascorso dalla commissione del reato”. Quindi nei processi per direttissima - che si concludono in un giorno - per esempio quelli per rapina in flagranza, in Appello l’improcedibilità scatterebbe in due anni, mentre attualmente la prescrizione scatta dopo sette anni. “Le conseguenze special preventive mi sembrano evidenti”, dice il magistrato. Che quantifica nel 50% i processi che “finiranno sotto la scure della improcedibilità". Tra questi anche “i 7 maxi processi” contro la ‘Ndrangheta che si stanno celebrando nel distretto di Catanzaro. Compreso il famoso Rinascita Scott, maxi procedimento alla cosca Mancuso che vede imputate 355 persone. Tra i procedimenti giudiziari più a rischio ci sono anche quelli riguardanti l'amministrazione pubblica che, come ha spiegato Gratteri "andranno in coda" o non ci celebreranno proprio.
E poi ancora: la riforma della prescrizione, ha detto il procuratore di Catanzaro, parte da “approccio errato. L’idea che il tempo eccessivo per i giudizi di appello sia correlato alla scarsa produttività dei magistrati”, che invece sono “i più produttivi in Europa”.
Infatti nel nostro Paese il motivo per cui i procedimenti hanno un tempo assai lungo non è dovuto alla scarsa produttività dei magistrati, ma al numero dei procedimenti pendenti sulle loro spalle il quale è ulteriormente aggravato dalla sempre più scarna pianta organica della macchina della giustizia. “Gli appelli proposti in Italia sono il doppio di quelli della Spagna e il triplo di quelli della Francia. E in Cassazione i ricorsi sono pari a 10 volte il numero che si registra nei Paesi europei” ha puntualizzato Gratteri, sottolineando che "occorre cominciare a parlare di risorse: da un anno e mezzo non si fanno concorsi per l’accesso in magistratura e così non si riuscirà a coprire i posti di chi va in pensione”.
Gratteri, poi, ha fatto notare che i termini del processo d’Appello “oltre ad essere ridottissimi, decorrono dal 90esimo giorno dal deposito della sentenza di primo grado, mentre per la trasmissione del fascicolo in appello o in Cassazione in genere ci vuole molto più tempo. Quindi il termine per lo svolgimento del giudizio inizia a decorrere quando il giudice non ha ancora il fascicolo”. In altre parole i processi d’Appello non decideranno dopo due anni di dibattimento, ma molto prima. Di conseguenza la riforma, nata con il presunto scopo di assottigliare il numero dei processi pendenti non avrà alcun effetto in tal senso, poiché, ha detto il magistero “gli attuali giudizi di impugnazione non vengono in sostanza toccati, il che significa che non vi è nessun motivo ragionevole per ritenere che i tempi attualmente impiegati possano essere ridotti”.
Infatti se "l’imputato sa che può beneficiare della improcedibilità, troverebbe più conveniente impugnare la sentenza vedendosi azzerata la pena in caso di sforamento dei due anni”.
Durante la video conferenza Gratteri ha inoltre toccato il tasto dello "sconto di pena di 1/6 in caso di mancata proposizione di ricorso in appello" definendolo "poco efficace" e ribadendo che “questo istituto appare assolutamente incoerente con l’intero sistema processuale, tanto è vero che era stato abolito in passato. Infatti, dopo il giudizio di primo grado, in cui si sono assunte le prove davanti al giudice, con tutte le lungaggini che ciò comporta e dopo che il giudice ha dovuto redigere la sentenza, si arriva a un accordo che può letteralmente smontare la sentenza impugnata, evitando la celebrazione del giudizio di appello. Essendo illimitato il concordato, si può negoziare la cancellazione di un reato, ovvero di una aggravante con consistente abbattimento della pena”.
La cosa grave è che questo sistema si può estendere anche ai reati di mafia: "Se passasse la riforma, le parti, dopo il processo di primo grado in cui l’imputato è stato condannato per associazione mafiosa con ruolo di promotore, oppure per partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di droga, oltre a singoli reati di droga, potrebbe concordare la eliminazione della qualità di promotore. La corte di appello ha il potere di non accogliere la richiesta di accordo. Ma, oberata da tante cause e pur di evitare la improcedibilità di un processo che si presenta complesso, difficilmente non avallerebbe l’accordo raggiunto e così si andrebbe ad indebolire il giudizio di primo grado. Per cui lo Stato, dopo avere investito risorse per celebrare un processo di primo grado, consentirebbe di fatto di vanificare il tempo e i denari spesi, con concordati in appello che svuoterebbero di contenuti il processo celebrato in primo grado”.
Un altro aspetto della riforma smontato dal magistrato anti 'Ndrangheta è quello che concede “all’indagato di chiedere al giudice di retrodatare l’iscrizione del suo nominativo nel registro delle notizie di reato in caso di ingiustificato ed inequivocabile ritardo”. Ma cosa vuol dire ingiustificato e inequivocabile ritardo? “Sono concetti molto sfumati e tali da creare non pochi problemi. Normalmente la questione viene sollevata in processi complessi, contrassegnati da numerose imputazioni e persone coinvolte”, ha detto Gratteri. Per esempio: “Viene depositata una informativa di reato di oltre 3000 pagine, nella quale la polizia giudiziaria deferisce centinaia di persone. Ebbene qual è il tempo congruo per valutare la necessità di iscrivere le persone nel registro? Il giudice si dovrà studiare l’informativa e magari solo dopo 3 o 6 mesi potrà dire qual era il tempo adatto. E se poi il pm era impegnato nel frattempo a esaminare un’altra informativa altrettanto ponderosa? Il giudice dovrà studiarsi anche l’altra informativa per valutare se il ritardo era o meno giustificato. Come è dato vedere la questione è più complessa di quello che appare. Tanto è vero che, opportunamente, il legislatore non aveva comminato alcuna sanzione processuale alla tardiva iscrizione lasciando che il comportamento fosse eventualmente censurabile sotto il profilo disciplinare”. Insomma un’altra norma che appesantisce i processi. “Ovviamente se il giudice di primo grado dovesse rigettare la questione verrebbe riproposta anche in appello. In quel caso, la situazione è ben più drammatica, poiché la Corte è tenuta già a fare una corsa contro il tempo, per non incorrere nella tagliola dei fatidici due anni pena la improcedibilità del reato”.
Infine il magistrato di Catanzaro ha proposto delle alternative, le quali sono già state dette più volte prima del varo dell'attuale riforma. “Bisogna modificare il sistema delle impugnazioni - ha detto Gratteri - inserire la possibilità di celebrare anche i giudizi in appello davanti a un tribunale monocratico per reati di minore rilevanza. Va rimosso il divieto di reformatio in peius”, cioè il divieto del giudice di appello di riformare la sentenza di primo grado irrogando una pena o una misura peggiori delle precedenti, e “si deve modificare il sistema delle impugnazioni, non lasciare inalterato il sistema delle impugnazioni (in appello e poi in cassazione) però poi ‘fissare’ un termine tagliola. Tutto questo non ha alcun senso, peraltro attraverso un istituto che il nostro ordinamento non conosce”. Per l’investigatore "qualsiasi proposta per ridurre i tempi deve partire da modifiche a monte e non a valle”. Il magistrato ha poi criticato la facilità con cui si assegnano posti "fuori ruolo" ai magistrati, perché “mentre si fa questa ghigliottina dei processi ci sono 250 magistrati fuori ruolo che fanno i tecnici nei ministeri”, una situazione destinata ad aggravarsi, visto che “non si fanno concorsi da un anno e mezzo, quindi tra un anno saremmo nei guai”. In chiusura il procuratore di Catanzaro si chiede il perché “si ragioni di pene alternative anziché costruire quattro carceri prefabbricate" che potrebbero facilmente risolvere il problema del sovraffollamento ed eviterebbero all'Italia ulteriori sanzioni dalla CEDU, la Corte Europea dei Diritti Umani.
Foto © Imagoeconomica
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