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"Quello che è accaduto a Santa Maria Capua Vetere è gravissimo, va accertato a ogni livello e in tutte le dimensioni, e i responsabili vanno puniti. Ma sento poche analisi in grado di andare alle cause profonde e strutturali di una patologia che non nasce per caso". Sono state queste le parole che il consigliere togato del CSM Sebastiano Ardita ha rilasciato in un'intervista pubblicata oggi su 'La Stampa' in merito alla mattanza consumata nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Infatti il magistrato dal momento che è stato per diversi anni capo della Direzione generale dei detenuti e del trattamento nel Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia ha voluto dare un'analisi dettagliata delle dinamiche organizzative delle case circondariali indicandone le falle, "le carceri italiane sono strutturate e organizzate secondo un modello consolidatosi negli Anni '70 e fondato sulla concezione afflittiva e retributiva della pena, da scontare nel perimetro della cella. Questo modello è stato superato dall'evoluzione del diritto penale, ma la transizione verso l'apertura e sulla socialità non è stato gestito".
Infatti, ha aggiunto il magistrato, "alla polizia penitenziaria è stata affidata la cosiddetta sorveglianza dinamica. Ciò ha comportato la ritrazione degli agenti fuori dalle sezioni e a volte l'abbandono ad un 'autogoverno' basato su gerarchie criminali".
Ed è proprio sul punto del 'ritiro' della polizia penitenziaria che Ardita ha voluto replicare che il tutto "è questione di numeri, equilibri, rapporti di forza. In un carcere con 500 detenuti, ogni turno non potrà contare su più di 30-40 agenti all'interno. Che la notte possono ridursi fino a qualche unità. Controllare detenuti numericamente cinque o dieci volte superiore è possibile se sono rinchiusi nelle celle, non se sono liberi di muoversi e interagire in istituti vecchi e non dotati di spazi aperti e torrette di sorveglianza. Lo spazio del carcere ripensato in modo meno afflittivo, sarebbe anche più sicuro".
E poi ancora, "sono anni che le carceri sono fuori controllo" infatti con questo tipo di organizzazione le persone "per ore si insultano, urlano, si spintonano" e "le aggressioni al personale della penitenziaria sono più che triplicate".
Nello specifico dei fatti accaduti a Santa Maria Capua Vetere il consigliere togato ha detto che le responsabilità degli atti commessi sono molto gravi e che "condannare non basta se non si capisce. Il carcere è una comunità, i poliziotti sono uomini. Ma - come è stato bene osservato - qui non vale la conta delle mele marce, perché anche agenti anziani sono stati travolti dalla suggestione collettiva, da un sonno della ragione che mostrifica".
Infine, ha concluso Ardita, "il perimetro delle responsabilità è materia dell'inchiesta penale. Una perquisizione generale si può decidere a livello territoriale, ma va comunicata a Roma" e che "ci sono procedure precise" per adempiere a tale scopo ma questo "testimonia una generale implosione del sistema".

Fonte: lastampa

Foto © Imagoeconomica


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