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Le valutazioni del comportamento nel carcere di Rebibbia del boss stragista: “Distacco dalla vita precedente”

Vedere in libertà Giovanni Brusca, “u verru” (“il maiale”), colui che premette il pulsante che azionò il tritolo a Capaci e ordinò, tra gli altri, l’omicidio del piccolo Di Matteo tenuto sotto prigionia per 779 giorni, ha indignato vittime di mafia, giornalisti e società civile. E giustamente. Tuttavia, come aveva correttamente osservato Vittorio Teresi, già procuratore aggiunto di Palermo, bisogna “scindere il piano giudiziario da quello etico”. E il piano giudiziario è più che chiaro. In 25 anni di carcere, dopo il noto inizio di finto pentito, Giovanni Brusca ha fatto un percorso da vero collaboratore. Lo scrive, nero su bianco, la relazione comportamentale finale e riservata del carcere di Rebibbia dove il boss stragista era detenuto. Una relazione alla quale ha avuto accesso Il Fatto Quotidiano che scansa ogni equivoco o parvenza di illegittimità legale in merito alla scarcerazione. “Il Brusca - si legge - ha più volte rappresentato il suo distacco dalla sua vita precedente cercando di dare concretezza a questo distacco non solo attraverso la collaborazione con la Giustizia, ma anche mettendosi in contatto con quei soggetti che hanno fatto della lotta alla criminalità organizzata una battaglia civile e culturale, al fine di dare il proprio contributo”. In che modo? “Brusca da molto tempo ha manifestato la volontà di chiedere il perdono alle famiglie delle vittime dei suoi reati: per comprensibili motivi di sicurezza e riservatezza, ci sono stati mediatori in questo processo, come con una nota familiare di una vittima”. Il riferimento è all’incontro di oltre 10 anni fa tra Brusca e Rita Borsellino, la sorella di Paolo Borsellino, scomparsa nel 2018 e in prima linea, dopo la strage di via d’Amelio, nell’impegno civile antimafia. Sempre dalla relazione comportamentale, riservata, apprendiamo che Brusca “non si sottrae alla rivisitazione di quanto commesso, evidenziando”. Si legge addirittura nella relazione inviata il 31 marzo scorso al Tribunale di Sorveglianza di Roma, “una sorta di dolore, ma anche di pudore… Sa analizzare il suo vissuto senza letture giustificazioniste, esplicitando una severa critica alla cultura del suo passato deviante”. 
Una descrizione di Brusca detenuto che cozza, e non poco, con Brusca macellaio della mafia fino al suo arresto. “Sente molto la necessità di risarcire la società civile”, aveva chiesto di fare volontariato ma gli è stato negato. Di Brusca detenuto ne parlano bene anche gli uomini del Gom, il gruppo specializzato della polizia penitenziaria, sempre vigili nel denunciare le violazioni dei boss al 41-bis. Nella relazione si legge che “gli agenti hanno sempre riferito che il Brusca con loro parla con rispetto e disponibilità al dialogo e nessuno di loro ha mai avanzato il dubbio che il suo comportamento potesse essere strumentale”. Una psicologa del carcere citata nella relazione, parla di “autenticità del suo ravvedimento”. Tanto che, durante i colloqui che aveva fatto negli ultimi 10 anni, per ottenere i domiciliari, mai concessi dal Tribunale di Sorveglianza, “appare consapevole della difficoltà che gli venga concessa la misura alternativa richiesta, ma ha ribadito che continuerà nel suo percorso di revisione critica e di ravvedimento in modo riservato, ricorrendo a ‘mediatori’ che possano consentirgli di chiedere perdono e attivarsi per risarcire le famiglie delle vittime di mafia e la società civile”. Nove giorni prima di questa relazione, il 22 marzo 2021, Brusca, in una lettera firmata di suo pugno alla direzione di Rebibbia, vuole ribadire che il suo percorso di “ravvedimento” è cominciato oltre 20 anni fa, documentato, sostiene, nel suo libro autobiografico del 1999, i cui proventi sono andati in beneficenza, dopo diversi rifiuti perché “soldi sporchi di sangue”. Ha respinto, ex post, la tesi del Tribunale di Sorveglianza di Roma di non avergli dato i domiciliari nel 2010, nel 2017 e nel 2019 anche per non aver compiuto “gesti concreti di ravvedimento”. Ha accennato a Rita Borsellino, e “all’importanza che tale incontro ha avuto per me e per i miei familiari e gli orizzonti di consapevolezza che ne sono derivati”. Ha riferito, inoltre, della sua richiesta di “perdono” a familiari di “vittime innocenti” grazie a preti antimafia, non avendo avuto il permesso di incontri diretti. L’ultima richiesta a un prete è stata di oltre un anno fa: “Mi rispose che l’avrebbe fatto quanto prima, ma non conosco l’esito, non avendo avuto colloqui recenti a causa del Covid”.

In foto: Giovanni Brusca in un'intervista di Zek e Arte France

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